Data di pubblicazione: 15/07/2025
Vorrei avere un vostro parere sulla possibilità di attivare presso un'istituto comprensivo statale (anche senza i finanziamenti della Regione a statuto...
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Data di pubblicazione: 15/07/2025
Uno studente, di anni 19, che ha frequentato il corso di istruzione per gli adulti-secondo periodo (terzo e quarto anno) e ha ottenuto l'ammissione al terzo...
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Data di pubblicazione: 15/07/2025
Il caso prospettato nel quesito si riferisce non ad una cattedra di organico, ma ad uno spezzone che si è venuto a creare a seguito di operazione di adeguamento dell’OD alla situazione di fatto. Tanto premesso, si ritiene debbano essere applicate le indicazioni contenute nell’ordinanza Ministeriale 88/2024, che peraltro conferma quanto già previsto dalla Legge 448/2001. Tali indicazioni possono essere così sintetizzate. Nella scuola secondaria di primo e di secondo grado, fatto salvo il completamento delle cattedre del personale di ruolo con orario inferiore alle 18 ore, il dirigente scolastico provvede alla copertura delle ore di insegnamento pari o inferiori a sei ore settimanali, che non concorrono a costituire cattedra, attribuendole, con il loro consenso, ai docenti in servizio nella scuola medesima, forniti di specifica abilitazione per l’insegnamento di cui trattasi, prioritariamente al personale con contratto a tempo determinato avente titolo al completamento di orario: Successivamente, tali ore saranno attribuite, sempre previo consenso, al personale con contratto ad orario completo - prima al personale con contratto a tempo indeterminato, poi al personale con contratto a tempo determinato - fino al limite di 24 ore settimanali come ore aggiuntive oltre l’orario d’obbligo. In subordine a tali attribuzioni, nei casi in cui rimangano ore che non sia stato possibile assegnare al personale in servizio nella scuola, i dirigenti scolastici provvedono all’assunzione di nuovi supplenti utilizzando le graduatorie di istituto.
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Data di pubblicazione: 15/07/2025
Per rispondere al quesito è necessario tenere conto di tre elementi: - in base all’articolo 43, comma 4 del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021, “Gli obblighi di lavoro del personale docente sono articolati in attività di insegnamento ed in attività funzionali alla prestazione di insegnamento. Prima dell’inizio delle lezioni, il dirigente scolastico predispone, sulla base delle eventuali proposte degli organi collegiali, il piano annuale delle attività e i conseguenti impegni del personale docente, che sono conferiti in forma scritta e che possono prevedere attività aggiuntive. Il piano, comprensivo degli impegni di lavoro, è deliberato dal collegio dei docenti nel quadro della programmazione dell’azione didattico-educativa e con la stessa procedura è modificato, nel corso dell’anno scolastico, per far fronte a nuove esigenze. Di tale piano è data informazione alle OO.SS. di cui all’art. 7”. Da ciò si evince il fatto che l’attività di insegnamento e le attività a essa funzionali sono distinte e infungibili (cfr. anche orientamento applicativo ARAN 22/03/2022 CIRS 97); - in base all’articolo 43, comma 5 del CCNL citato, “Nell’ambito del calendario scolastico delle lezioni definito a livello regionale, l'attività di insegnamento si svolge in 25 ore settimanali nella scuola dell’infanzia, in 22 ore settimanali nella scuola primaria e in 18 ore settimanali nelle scuole e istituti d'istruzione secondaria ed artistica, distribuite in non meno di cinque giornate settimanali. […]”. Ciò significa che l’obbligo di prestare 18 ore settimanali (di insegnamento e non già di attività funzionali ad essa) è esigibile solo “nell’ambito del calendario scolastico delle lezioni” e non al di fuori di esso: - l’articolo 44, comma 3 del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021 dispone che le attività di carattere collegiale riguardanti tutti i docenti siano costituite anche dalla “partecipazione alle riunioni del Collegio dei docenti, ivi compresa l'attività di programmazione e verifica di inizio e fine anno e l'informazione alle famiglie sui risultati degli scrutini trimestrali, quadrimestrali e finali e sull'andamento delle attività educative nelle scuole dell’infanzia e nelle istituzioni educative, fino a 40 ore annue” (lettera a)), così come da “la partecipazione alle attività collegiali dei consigli di classe, di interclasse, di intersezione, inclusi i gruppi di lavoro operativo per l’inclusione. Gli obblighi relativi a queste attività sono programmati secondo criteri stabiliti dal collegio dei docenti; nella predetta programmazione occorrerà tener conto degli oneri di servizio degli insegnanti con un numero di classi superiore a sei in modo da prevedere un impegno fino a 40 ore annue” (lettera b)). Alla luce del successivo comma 4, inoltre, “Fermo restando che le ore di cui alle lettere a) e b) del comma 3 sono prioritariamente destinate alle attività collegiali ivi indicate, le ore non utilizzate a tal fine sono destinate, nei limiti di cui alle lett. a) e b), alle attività di formazione programmate annualmente dal collegio docenti con il PTOF.” In un simile quadro, le riunioni di dipartimento, le sedute dei consigli di classe e la formazione, anche se svolte prima dell’avvio delle lezioni, devono essere previste all’interno del piano annuale delle attività del personale docente, essendo riconducibili o alle attività di programmazione e verifica di inizio anno di cui alla lettera a) dell’articolo 44, comma 3 citato (riunioni di dipartimento) o alla lettera b della medesima disposizione (sedute dei consigli di classe) o al comma 4 dello stesso articolo 44 (formazione). Ciò significa anche che dette attività concorrono tutte al raggiungimento delle 40 ore+40 ore annue e non possono essere imputate invece alle 18 ore settimanali (di insegnamento): sia perché le attività di insegnamento non sono fungibili con le attività a esse funzionali sia perché le 18 ore (di insegnamento) sono dovute solo nel periodo di svolgimento delle lezioni e non già al di fuori di questo. Sia consentito infine ricordare, per quanto riguarda la formazione, che in via cautelativa e in attesa che la giurisprudenza si pronunci sulle nuove disposizioni pattizie, si consiglia di programmare le ore di formazione/aggiornamento nel PTOF e di conteggiarle nelle 80 ore all'interno del piano annuale delle attività. Solo in caso di superamento di detto monte orario annuo, la contrattazione integrativa di istituto dovrà farsi carico di individuare i relativi compensi, anche in misura forfetaria, così come stabilito dall’articolo 36, comma 7 del CCNL 2019-2021 (“Per il personale docente, la formazione avviene in orario non coincidente con le ore destinate all’attività di insegnamento di cui all’art. 43 (Attività dei docenti). Le ore di formazione ulteriori rispetto a quelle di cui all’art. 44, comma 4 (Attività funzionali all’insegnamento) sono remunerate con compensi, anche forfettari stabiliti in contrattazione integrativa, a carico del fondo per il miglioramento dell’offerta formativa di cui all’art. 78.”)
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Data di pubblicazione: 15/07/2025
Partiamo da quanto dichiarano esattamente le norme. Il collegio docenti in merito all’assegnazione dei docenti alle classi può avanzare sue proposte (D.lgs. 297/1994, art. 7, comma 2, lettera b: “[il collegio docenti] formula proposte al direttore didattico o al preside per la formazione, la composizione delle classi e l'assegnazione ad esse dei docenti, per la formulazione dell'orario delle lezioni e per lo svolgimento delle altre attività scolastiche, tenuto conto dei criteri generali indicati dal consiglio di circolo o d'istituto;”. Al successivo art. 10, comma 4, si aggiunge: “Il consiglio di circolo o di istituto indica, altresì, i criteri generali relativi alla formazione delle classi, all'assegnazione ad esse dei singoli docenti,”. Appare chiaro che il collegio ha un potere chiaramente consultivo, che per altro può essere esercitato soltanto dopo che il consiglio ha adottato i criteri, mentre il consiglio “indica”, che in questo caso significa adotta con propria delibera, i criteri ai quali attenersi. Va notato, tra l’altro, che l’art. 10 non prevede che il consiglio d’istituto possa deliberare i criteri dopo aver acquisito le proposte del collegio docenti. Il potere attribuito al consiglio d’istituto è dunque un potere pieno e non condizionato dal parere del collegio docenti, mentre il collegio ha la facoltà di esprimersi nel merito dei criteri adottati. Merita anche aggiungere che non spetta al dirigente scolastico chiedere al collegio di esprimersi, ma è l’organo stesso che può decidere di avanzare proposte e di chiedere, nelle forme previste, che se ne discuta nella sede collegiale. Tali precisazioni possono sembrare pleonastiche, ma servono invece a definire esattamente ruoli e competenze dei diversi organi, soprattutto nelle situazioni in cui il collegio docenti tende ad assumere un ruolo di indirizzo che non gli compete, in quanto appartenente al consiglio d’istituto. Per rispondere al quesito specifico è sufficiente notare che la norma fa riferimento esclusivamente al collegio docenti e non alle sue articolazioni. Pertanto, nel caso in cui l’organo intenda avanzare un parere circa la procedura di assegnazione dei docenti alle classi, deve farlo nella sua interezza e alla condizione che il parere sia sostenuto dalla maggioranza dei suoi membri, tanto più per la ragione che il problema dell’assegnazione alle classi non costituisce un problema di settore ma un problema organizzativo e gestionale di carattere generale.
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Data di pubblicazione: 14/07/2025
La somministrazione dei farmaci a scuola è regolata da dispositivi di legge nazionali e da protocolli regionali anche se si tratta di una studentessa con disabilità le procedure sono le stesse che si adotterebbero per tutti gli studenti affetti da questa patologia. La famiglia della studentessa è il primo e più importante interlocutore. Si consiglia di organizzate un incontro urgente con loro per illustrare la situazione. È probabile che abbiano già un Piano Terapeutico Individualizzato (PTI) redatto dal diabetologo curante della studentessa. Questo piano è essenziale e deve contenere: • Il tipo di diabete e la terapia insulinica (dosaggi, tempi di somministrazione, modalità). • Le procedure per la misurazione della glicemia. • Le indicazioni per la gestione delle ipo/iperglicemie (sintomi, interventi, numeri di emergenza). • Le modalità di conservazione dell'insulina e del materiale necessario. • Eventuali annotazioni sulle attività fisiche e sull'alimentazione. Una volta acquisita tutta la documentazione medica inclusa la certificazione ASL, il PTI e, se disponibile, una dichiarazione del medico curante che specifichi la necessità e le modalità dell'assistenza richiesta, è necessario reiterare la richiesta di Intervento alla ASL, attraverso un sollecito formale e tracciabile (ad esempio tramite PEC o raccomandata A/R), richiamando la precedente comunicazione. Nella richiesta vanno evidenziate chiaramente: La ricezione della certificazione ASL che richiede l'assistenza per la gestione glicemica. L'assenza di personale sanitario (infermiere) qualificato all'interno della scuola. La non disponibilità del personale docente e ATA a effettuare iniezioni di insulina per timore di errori e responsabilità. La necessità impellente di un intervento strutturato da parte della ASL per garantire l'assistenza necessaria alla studentessa e sollevare la scuola da responsabilità non proprie. Va inoltre fatta esplicita richiesta di personale infermieristico qualificato o, in alternativa, l'attivazione di protocolli formativi specifici e certificati per il personale scolastico volontario, con chiara definizione delle responsabilità. I riferimenti normativi sono la Nota Ministeriale prot. n. 2312 del 2005 e le Linee Guida Nazionali per la somministrazione di farmaci a scuola (laddove applicabili e aggiornate dalle normative e protocolli regionali), che sottolineano la necessità di collaborazione tra scuola, famiglia e ASL, nonché, secondo quanto disposto dall’art. 593, c. 2, c.p. chiunque, anche il personale scolastico – docente e ATA –, è tenuto a prestare soccorso ad alunni in difficoltà al di là delle mansioni riferibili ai diversi profili professionali. Le citate Linee guida, adottate congiuntamente dal MIUR e dal Ministero della salute, all’art. 4 “Modalità di intervento”, affermano: “La somministrazione di farmaci in orario scolastico deve essere formalmente richiesta dai genitori degli alunni o dagli esercitanti la potestà genitoriale, a fronte della presentazione di una certificazione medica attestante lo stato di malattia dell’alunno con la prescrizione specifica dei farmaci da assumere (conservazione, modalità e tempi di somministrazione, posologia). I dirigenti scolastici, a seguito della richiesta scritta di somministrazione di farmaci, effettuano una verifica delle strutture scolastiche, mediante l’individuazione del luogo fisico idoneo per la conservazione e la somministrazione dei farmaci; concedono, ove richiesta, l’autorizzazione all’accesso ai locali della scuola durante l’orario scolastico ai genitori degli alunni, o a loro delegati, per la somministrazione dei farmaci; - verificano la disponibilità degli operatori in servizio a garantire la continuità della somministrazione dei farmaci, ove non già autorizzata ai genitori, esercitanti la potestà genitoriale o loro delegati. Gli operatori scolastici possono essere individuati tra il personale docente ed ATA che abbia seguito i corsi di pronto soccorso ai sensi del Decreto legislativo n. 626/94. Potranno, altresì, essere promossi, nell’ambito della programmazione delle attività di formazione degli Uffici Scolastici regionali, specifici moduli formativi per il personale docente ed ATA, anche in collaborazione con le AUSL e gli Assessorati per la Salute e per i Servizi Sociali e le Associazioni. Qualora nell’edificio scolastico non siano presenti locali idonei, non vi sia alcuna disponibilità alla somministrazione da parte del personale o non vi siano i requisiti professionali necessari a garantire l’assistenza sanitaria, i dirigenti scolastici possono procedere, nell’ambito delle prerogative previste dalla normativa vigente in tema di autonomia scolastica, all’individuazione di altri soggetti istituzionali del territorio con i quali stipulare accordi e convenzioni. Tornando alla criticità esposta nel quesito, ossia l’assenza di personale disponibile ad effettuare la somministrazione del farmaco, i dirigenti scolastici possono provvedere all’attivazione di collaborazioni, formalizzate in apposite convenzioni, con i competenti Assessorati per la Salute e per i Servizi sociali, al fine di prevedere interventi coordinati, anche attraverso il ricorso ad Enti ed Associazioni di volontariato (es.: Croce Rossa Italiana, Unità Mobili di Strada). In difetto delle condizioni sopradescritte, il dirigente scolastico è tenuto a darne comunicazione formale e motivata ai genitori o agli esercitanti la potestà genitoriale e al Sindaco del Comune di residenza dell’alunno per cui è stata avanzata la relativa richiesta.” Le Linee guida, in altri termini, subordinano alla disponibilità degli operatori scolastici l’assegnazione a essi del compito di somministrare farmaci salvavita agli studenti che ne necessitano. Tuttavia, come detto in apertura, il personale scolastico, sia docente che ATA, ha l'obbligo giuridico di prestare soccorso agli alunni in difficoltà, come stabilito dalla normativa penale, al di là e a prescindere dalle mansioni specifiche riferibili ai singoli profili professionali. A ciò si unisce il fatto che il dovere di vigilanza sugli alunni da parte dei docenti è un principio fondamentale dell'ordinamento scolastico e che, nel caso di un alunno diabetico, esso non può che estendersi anche all'attenzione verso il suo stato di salute, in particolare ai livelli di glicemia. Pertanto, si precisa che: a) da un lato è necessario che l’istituzione scolastica adotti un protocollo chiaro e condiviso con i genitori, il medico curante e il personale scolastico, che definisca le modalità di intervento in caso di ipoglicemia; b) dall’altro non vi sono basi normative che consentano “di obbligare” i docenti a somministrare il farmaco nei momenti di necessità. Si consiglia invece di utilizzare a questo scopo il personale collaboratore scolastico del piano, solitamente formato per il primo soccorso. A quest’ultimo andrebbero ovviamente indirizzate specifiche disposizioni di servizio in modo che possa intervenire – in caso di necessità – a supporto del personale docente. A seguito della richiesta scritta dei Genitori o Esercenti la potestà genitoriale, il Dirigente scolastico verifica le condizioni e i soggetti per la somministrazione del farmaco in ambito e orario scolastico, che può essere effettuata: (a) dai Genitori o Esercenti la potestà genitoriale, se da loro richiesto; (b) dall’alunno stesso, se maggiorenne, o autorizzato dai Genitori, se minore; (c) dalle persone che agiscono su delega formale dei Genitori stessi, quali familiari o persone esterne identificate dalla famiglia o personale delle istituzioni scolastiche e formative che abbia espresso per iscritto la propria disponibilità, e che sia stato informato sul singolo caso specifico; (d) dal personale sanitario del SSR, su richiesta d’intervento, in relazione alla particolarità della condizione dell’alunno che non dovesse consentire la somministrazione di farmaci da parte di personale non sanitario. Infine, è consigliabile indicare nel PEI, oltre alla richiesta del docente di sostegno e/o dell’assistenza specialistica, la necessità dell'assistenza per la gestione glicemica, specificando che la scuola non dispone di personale qualificato per tale compito e che si è in attesa di una risposta strutturata dalla ASL. Solo nel caso in cui la ASL dovesse continuare a non rispondere o a fornire una soluzione insoddisfacente, è opportuno informare l'Ufficio Scolastico Regionale (USR) di competenza descrivendo la situazione, allegando tutta la corrispondenza con la ASL e la documentazione medica, chiedendo il loro intervento per sollecitare una soluzione da parte dell'ente sanitario. L'USR ha il compito di supportare le scuole nella gestione delle situazioni complesse e può intercedere con la ASL.
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Data di pubblicazione: 14/07/2025
Il quesito non contiene informazioni di dettaglio in merito all’eventuale corretta acquisizione del CIG abbinato alle procedure di affidamento relative alle fatture erroneamente pagate. Risponderemo quindi dando per scontato che l’erronea indicazione del CIG riguarda solo la fase di pagamento delle fatture, ma gli atti propedeutici riguardanti gli affidamenti cui si riferiscono le fatturazioni (decisione di affidamento, documenti di gara/invito, ordine/stipula/contratto, ecc..). contengono l’esatto riferimento al numero di CIG correttamente acquisito e abbinato. Tanto premesso, riteniamo pertanto che, allo stato attuale della situazione descritta nel quesito, l'Istituto possa agire soltanto attraverso le consuete procedure di correzione tipiche degli atti amministrativi, ovvero operare come segue: - Emanare (per ogni fattura pagata con CIG errato) circostanziato e motivato atto con cui viene disposta la modifica del dato erroneo inserito in fase di pagamento. Ogni decreto dovrà contenere il riferimento al numero di CIG corretto e a tutti gli atti della procedura che lo contengono. - I decreti di rettifica, oltre che essere pubblicati in Amministrazione Trasparente, dovranno essere formalmente inviati al fornitore - affinché ne possa tenere conto nei propri documenti contabili e allegarli a tutti i documenti pregressi emanati dalla scuola (decisione di affidamento, documenti di gara/invito, ordine/stipula/contratto, ecc..).Detti decreti dovranno inoltre essere allegati alle fatturazioni, ai mandati di pagamento e a tutti i documenti emanati dalla scuola (decisione di affidamento, documenti di gara/invito, ordine/stipula/contratto, ecc..)..
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Data di pubblicazione: 14/07/2025
Il quadro ordinamentale oggetto di riordino a seguito dei provvedimenti per il primo e secondo ciclo di istruzione di istruzione previsti dal cosiddetto “riordino Gelmini” del 2009 e del 2010 prevede una precisa garanzia per tutti gli studenti di poter fruire di un’offerta formativa coerente con i quadri orari di cui ai DDPPRR 89/09 – 88/10 – 89/2010 e al più recente D.lgs 61/2017. In altre parole, e come è giusto che sia per rispettare un preciso dettato costituzionale sul diritto allo studio, per tutti gli studenti e per tutti gli indirizzi è obbligatorio garantire un monte ore calcolato su base annuale e da gestire in modo flessibile. La questione, quindi, non è tanto quella del recupero della riduzione oraria dei docenti, ma della garanzia del monte ore ordinamentale per gli studenti. Portare (o riportare) al centro dell’attenzione i diritti degli studenti richiede a tutte le istituzioni scolastiche autonome di ricercare le soluzioni organizzative più idonee, che tengano conto anche di eventuali emergenze o cause di forza maggiore. Orami da molti anni, i CCNL del “comparto scuola” prevedono il “non obbligo” di recupero per i docenti in caso di riduzione oraria per cause di forza maggiore, richiamando vecchie circolari del 1979 e del 1980, che comunque fanno riferimento ad una riduzione solo della prima e delle ultime ore e al “non obbligo di recupero” solo per il personale docente. In ogni caso, il CCNL distingue molto chiaramente le esigenze derivanti da cause di forza maggiore dalle scelte autonome degli Organi collegiali per motivi didattici o organizzativi La sintesi tra la fondamentale esigenza di garantire il diritto allo studio e l’applicazione delle “vecchie circolari” del 1979 e del 1980, richiamate anche nel nuovo CCNL, non è semplice, ma va comunque affrontata rispettando in primis le norme di legge e gli ordinamenti vigenti. Si ritiene, quindi, che, per ogni specifico anno scolastico, debbano essere seguiti alcuni passaggi fondamentali che possono essere esplicitati come segue: - Verificare il monte ore complessivo previsto dai quadri ordinamentali vigenti, da assicurare in ogni caso a tutti gli studenti di tutti gli indirizzi; a mero titolo di esempio, se il monte ore annuale del liceo classico ammonta a 891 per il biennio e a 1023 per terza, quarta e quinta, tali attività di lezione vanno assicurate a tutti gli studenti - Verificare, con riferimento allo specifico calendario scolastico, l’orario complessivo che potrà essere garantito, computando tutte le settimane e le giornate utili di tale calendario. - Verificare, con puntualità e nel concreto, gli eventuali motivi di “forza maggiore” che potrebbero indurre alla necessità di ridurre seppur parzialmente l’unità oraria di lezione (generalmente, come nel caso illustrato nel quesito, si tratta di motivazioni collegate al sistema di TPL – trasporto pubblico locale; ma ciò va dimostrato “orari alla mano”). - Pianificare l’orario delle lezioni per tutto l’anno scolastico; in caso di riduzione sistematica dell’unità oraria, verificare se e quanto si discosta dal monte orario di riferimento; - In caso di scostamento in diminuzione da tale monte ore, prevedere le attività didattiche atte ad un eventuale recupero a favore degli studenti. Solo dopo aver pianificato tali operazioni, si potrà verificare la programmazione dell’orario dei docenti, in modo che una eventuale applicazione delle vecchie del 1979 e del 1980, richiamate nell’articolo 43 co 8 del vigente CCNL, non vada a ledere il diritto allo studio. In estrema sintesi, e fatto salvo il monte ore ordinamentale annuale da garantire agli studenti: - Se le delibere collegiali fanno riferimento a motivi di carattere didattico o organizzativo, tutti i docenti devono recuperare tutte le riduzioni del monte ore - Se le delibere collegiali fanno riferimento a documentati e circostanziati motivi di forza maggiore, è possibile ridurre la prima e le ultime ore, pianificando però l’organizzazione del monte orario complessivo come sopra illustrato. Per quanto concerne il secondo punto del quesito, non si ritiene legittimo un eventuale recupero delle ore non svolte tramite attività a distanza; ormai dall’esaurirsi dell’emergenza pandemica, le attività di lezione vanno svolte in presenza, a meno di casi particolari concernenti l’istruzione in ospedale o l’istruzione domiciliare
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Data di pubblicazione: 14/07/2025
Tutte le fonti primarie e secondarie indicano chiaramente, come peraltro riconosciuto nel quesito, che la funzione di responsabile dell’ufficio tecnico debba essere affidata ad un insegnante tecnico pratico. Già nei vecchi ordinamenti, il responsabile dell’Ufficio Tecnico era nominato dal Dirigente Scolastico tra gli insegnanti tecnico pratici, secondo la normativa prevista, in particolare secondo la tabella allegata al D.M. n.39 del 30/01/98 e le indicazioni contenute nella C.M. n. 21 del 14/03/2011, tenendo conto delle competenze tecniche specifiche richieste dal settore e delle capacità organizzative. Tutto ciò rimane confermato nei nuovi ordinamenti. Per quanto concerne gli istituti tecnici, ad esempio, ai sensi dell’articolo 4 comma 3 DPR 88/2010, gli istituti tecnici per il settore tecnologico sono dotati di un ufficio tecnico con il compito di sostenere la migliore organizzazione e funzionalità dei laboratori a fini didattici e il loro adeguamento in relazione alle esigenze poste dall'innovazione tecnologica, nonché per la sicurezza delle persone e dell'ambiente. Per i relativi posti, si fa riferimento a quelli già previsti, secondo il previgente ordinamento, dai decreti istitutivi degli istituti tecnici confluiti negli ordinamenti di cui al presente regolamento in base alla tabella di cui all'Allegato D). In sostanza, nonostante le rilevanti innovazioni introdotte dal riordino del 2010, per quanto concerne i posti relativi agli uffici tecnici, si fa riferimento dei “vecchi” decreti istitutivi, che individuavano la figure dell’insegnante tecnico pratico come responsabile dell’ufficio tecnico (vedi ad esempio il DPR 154 novembre 1967 n. 1490 per gli istituti tecnici industriali). Le Linee guida per il passaggio al nuovo ordinamento, emanate con direttiva n. 57 del 2010, nell’ampio paragrafo destinato all’Ufficio tecnico, non fanno altro che confermare tale indicazione. Per quanto concerne gli istituti professionali, si osserva che i compiti da affidare a tale figura sono perfettamente coerente con il profilo professionale di docenti delle classi di concorso tabella B. Nei regolamenti 92 2018, ad esempio, si legge: gli istituti professionali ,,,,,,si dotano di un ufficio tecnico ovvero riorganizzano quello esistente senza ulteriori oneri di funzionamento se non quelli previsti nell’ambito delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente, con il compito di sostenere la migliore organizzazione e funzionalità dei laboratori e il loro adeguamento in relazione alle esigenze poste dall’innovazione tecnologica nonché per la sicurezza delle persone e dell’ambiente. Si ritiene, pertanto, che, proprio nell’ottica di una razionale gestione dell’organico, l’individuazione del responsabile debba essere affidata ad un docente ITP.
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Data di pubblicazione: 14/07/2025
Un docente di sostegno della scuola dell'infanzia che abbia ottenuto il passaggio di cattedra sul posto comune nella scuola dell'infanzia non deve svolgere il periodo di formazione e prova. Questa specificazione non è presente nel D.M. n. 226/2022, tuttavia è chiaramente indicata nella Nota prot. AOODRVE.REGISTRO-UFFICIALEE.0033668.26-11-2024 (concernente le attività formative per l'anno scolastico 2024-2025, che richiama il Decreto del Ministro dell’Istruzione del 16 agosto 2022, n. 226). Nello specifico, la nota elenca il personale docente che non deve svolgere il periodo di prova, e tra questi rientrano, tra l’altro, "i docenti che abbiano ottenuto il trasferimento da posto comune a sostegno e viceversa nell’ambito del medesimo grado".
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Data di pubblicazione: 14/07/2025
Apriamo la risposta anticipando che dalla formulazione del quesito si ricava che il servizio offerto dall’Azienda sanitaria per la consulenza psicologica non si configuri quale Accordo tra Pubbliche Amministrazioni, ex art. 15 della legge n. 241/1990 e art. 7 del D.Lgs. 36/2023, bensì quale affidamento di servizi sottoposto alla disciplina del Codice Appalti. Data la complessità della materia, riteniamo necessario un breve approfondimento. L’accordo tra pubbliche amministrazioni è disciplinato dall’articolo 15 della legge n. 241/1990 e trova compiuta disciplina nelle normative di settore, ovvero nell’art. 7, comma 4, del D.Lgs 36/2023, che prevede la mancata applicazione del Codice nella cooperazione “tra stazioni appaltanti o enti concedenti volta al perseguimento di obiettivi di interesse comune ” qualora siano soddisfatte tutte le condizioni previste nella norma ovvero: a) l’accordo “interviene esclusivamente tra due o più stazioni appaltanti o enti concedenti, anche con competenze diverse”; b) è garantita “la effettiva partecipazione di tutte le parti allo svolgimento di compiti funzionali all’attività di interesse comune, in un’ottica esclusivamente collaborativa e senza alcun rapporto sinallagmatico tra prestazioni”; c) si “determina una convergenza sinergica su attività di interesse comune, pur nella eventuale diversità del fine perseguito da ciascuna amministrazione, purché l’accordo non tenda a realizzare la missione istituzionale di una sola delle amministrazioni aderenti”; d) “le stazioni appaltanti o gli enti concedenti partecipanti svolgono sul mercato aperto meno del 20 per cento delle attività interessate dalla cooperazione” L’ ANAC, con il recente parere del 17/01/2024, n. 66, ha fornito in materia le ulteriori seguenti indicazioni (https://www.legislazionetecnica.it/system/files/prd_allegati/_/24-1/11176897/ParereANAC17012024n66.pdf ): - La disposizione di cui all'art. 7, comma 4, del D. Leg.vo 36/2023, che disciplina gli accordi tra pubbliche amministrazioni per lo svolgimento in comune di compiti di interesse pubblico, ha subordinato la cooperazione tra amministrazioni mediante accordi (che possono essere conclusi senza gara) alle condizioni indicate (lett. a), b), c) e d). La giurisprudenza ha chiarito che le amministrazioni che partecipano all’accordo possono avere competenze diverse e perseguire finalità pubbliche diverse, purché la reciproca collaborazione consenta a ciascuna di realizzare il proprio obiettivo. Elemento determinante è l’assenza di una logica di scambio, che in questi accordi deve mancare a favore dello svolgimento in comune di attività dirette a soddisfare interessi pubblici, anche non coincidenti ma rientranti nella missione istituzionale di ciascuna amministrazione partecipante all’accordo; - la norma conferma le condizioni legittimanti il ricorso all’istituto, prefigurando un modello convenzionale attraverso il quale le pubbliche amministrazioni coordinano l’esercizio di funzioni proprie in vista del conseguimento di un risultato comune in modo complementare e sinergico, ossia in forma di reciproca collaborazione, in maniera gratuita e nell’obiettivo comune di fornire servizi indistintamente a favore della collettività; - gli accordi di collaborazione possono essere conclusi esclusivamente tra amministrazioni aggiudicatrici o enti aggiudicatori (restando esclusi dagli stessi soggetti non qualificabili come tali); l’accordo deve regolare la realizzazione di un interesse pubblico, effettivamente comune ai partecipanti; alla base dell’accordo deve esserci una reale divisione di compiti e responsabilità; I MOVIMENTI FINANZIARI TRA I SOGGETTI CHE SOTTOSCRIVONO L’ACCORDO DEVONO CONFIGURARSI SOLO COME RISTORO DELLE SPESE SOSTENUTE, essendo escluso il pagamento di un vero e proprio corrispettivo, comprensivo di un margine di guadagno; il ricorso all’accordo non può interferire con il perseguimento dell’obiettivo principale delle norme comunitarie in tema di appalti pubblici, ossia la libera circolazione dei servizi e l’apertura alla concorrenza non falsata negli Stati membri; - negli accordi di collaborazione tra amministrazioni pubbliche, ai sensi dell’art. 15 della L. 241/1990, è di particolare importanza il requisito dell’interesse comune delle pubbliche amministrazioni coinvolte e deve sussistere una effettiva condivisione di compiti e di responsabilità. Ciò che assume rilievo è la posizione di equiordinazione tra le pubbliche amministrazioni la collaborazione nei rispettivi ambiti di intervento su questioni di interesse comune. La disapplicazione del Codice in tali casi è ammissibile esclusivamente in presenza delle condizioni elencate nell’art. 7, comma 4, del D. Leg.vo 36/2023. L’ANAC ha concluso che, ove la stazione appaltante intenda affidare un servizio ad altro soggetto pubblico (vedi ASL) , senza tuttavia perseguire le predette finalità di condivisione e di interesse comune del servizio stesso, tale affidamento è da ricondurre nello schema tipico del contratto di appalto, da affidare secondo le procedure di aggiudicazione contemplate nel D.Lgs. 36/2023 (ipotesi, a parere dello scrivente, riconducibile al caso in trattazione). Per quanto concerne la tracciabilità dei flussi finanziari, la stessa ANAC, nella risposta alla FAQ C2. (https://www.anticorruzione.it/-/tracciabilit%C3%A0-dei-flussi-finanziari), ha chiarito che “[..] è da ritenersi escluso da tale obbligo il trasferimento di fondi da parte delle amministrazioni dello Stato in favore di soggetti pubblici (anche in forma societaria) se relativi alla copertura di costi per le attività espletate in funzione del ruolo istituzionale da essi ricoperto (vedi par. 2.5 della Determinazione n. 4 del 7 luglio 2011 aggiornata con Delibera n. 585 del 19 dicembre 2023. Dall’esame dell’articolato e complesso quadro normativo si evince, a nostro avviso, che il servizio offerto dalla ASL per la per la consulenza psicologica non rientri nell’ambito di applicazione dell’art. 15 della L. n. 241/1990 e dell’art. 7, comma 4, del D.Lgs 36/2026 (come chiarito dal parere ANAC del 17/01/2024, n. 66), ma che rientri nello schema tipico del contratto di appalto, da affidare secondo le procedure di aggiudicazione contemplate nel D.Lgs. 36/2023, con conseguente necessaria acquisizione del CIG ai fini della tracciabilità.
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Data di pubblicazione: 14/07/2025
La società in accomandita semplice (s.a.s.) è regolata dagli articoli 2313 e seguenti del Codice civile. Tali società sono caratterizzate dalla presenza di due distinte tipologie di soci: - soci accomandatari, che rispondono illimitatamente per le obbligazioni sociali (art. 2313 c.c.) e ai quali solo può essere conferita l'amministrazione della società (art. 2318 c.c.); - soci accomandanti, che rispondono limitatamente alla quota conferita (art. 2313 c.c.) e che non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società (art. 2320 c.c.). I soci accomandanti, pertanto, partecipano agli utili della società ma non la gestiscono. La fattispecie di incompatibilità di cui all'art. 60 del decreto del Presidente della Repubblica 10 gennaio 1957, n. 3, che vieta ai dipendenti pubblici, fra l'altro, di accettare cariche in società costituite a fini di lucro, non sussiste, pertanto, nel caso del socio accomandante, dal momento che tale qualifica non solo non costituisce una carica, ma anzi vieta al socio di partecipare alla gestione della società. Di fatto, essere socio accomandante è una forma di investimento in una società, della quale si percepiscono gli eventuali utili senza, però, assumere rischi imprenditoriali (che sarebbero incompatibili con l'impiego pubblico). La circostanza che la figura del DSGA sia unica, all'interno dell'amministrazione scolastica, non ha rilevanza ai fini del regime delle incompatibilità, che non tiene conto di tale aspetto. Quanto alla necessità dell'autorizzazione, la mera assunzione della qualità di socio accomandante, non essendo questa assimilabile a un incarico, la rende superflua; solo qualora il dipendente effettui delle attività nell'ambito della s.a.s. di cui è socio (possibilità concessa dall'art. 2320, comma 2 c.c., purché avvenga sotto la direzione degli amministratori), sarà allora necessaria l'autorizzazione da parte del dirigente scolastico, che la concederà previa valutazione delle modalità di svolgimento delle attività oggetto di autorizzazione.
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Data di pubblicazione: 14/07/2025
Nella scuola che dirigo è presente una biblioteca che raccoglie circa 50000 volumi. L'ambiente della biblioteca è utilizzato a fini didattici da molti docenti...
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Data di pubblicazione: 14/07/2025
Un genitore di un alunno che compirà 6 anni nel mese di maggio del prossimo anno chiede l’inserimento del figlio come uditore in una classe...
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Data di pubblicazione: 14/07/2025
La correzione degli errori materiali commessi da un organo della P.A. rientra nelle competenze dell'organo stesso, in base al principio generale dell'autotutela, che va però esercitata tenendo conto di due criteri fondamentali; il concreto interesse pubblico e una congrua tempistica (cfr articolo 21 nonies della Legge 241/90 e s.m.i.). Nel caso in oggetto, si ritiene doveroso provvedere alla correzione con la massima tempestività, riconvocando l'organo collegiale competente (consiglio di classe) che dovrà rilevare l'errore (se effettivamente sussistente) e provvedere alla correzione.
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Data di pubblicazione: 14/07/2025
Trattandosi di esercizio di una delega di funzione, correlata ad un legittimo impedimento del dirigente scolastico (e ad una sua precisa scelta), non si ritiene vi siano vincoli specifici e perentori. Essendo non più sussistente l'impedimento, il dirigente scolastico potrebbe "riappropriarsi del suo ruolo", ma, per motivi di opportunità e per omogeneità nello svolgimento delle operazioni di esame, si può ritenere consigliabile che la commissione operi nella stessa composizione della sessione ordinaria, tramite conferma della delega di cui sopra.
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Data di pubblicazione: 14/07/2025
Si premette che il D.P.R. n. 249/1998, modificato con D.P.R. n. 235/2007, significativamente denominato “Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria”, si applica anche ai convittori e semiconvittori in quanto studenti delle scuole secondarie di primo o – come nel caso di specie – secondo grado. In altri termini, poiché sono studenti della scuola secondaria, i convittori e semiconvittori rientrano nell'ambito di applicazione di detto regolamento. Ciò significa che, in forza dell’art. 4, c. 1 del D.P.R. n. 249/1998, il procedimento disciplinare nei confronti dei convittori e dei semiconvittori deve trovare apposita e specifica disciplina all’interno del regolamento dell’istituzione scolastica: è infatti ad esso che spetta prevedere “le relative sanzioni, gli organi competenti ad irrogarle e il relativo procedimento, secondo i criteri di seguito indicati.“ Dunque, il regolamento interno ben può differenziare le sanzioni per le mancanze più gravi tra coloro che sono solo studenti e coloro che sono anche convittori o semiconvittori (risulta infatti ovvio che a chi pone in essere comportamenti pericolosi ben può essere interdetta la frequenza del convitto o del semiconvitto ma consentita, ad esempio, la frequenza delle attività didattiche). Tuttavia è pur sempre all’art. 4 del D.P.R. n. 249/1998 che occorre guardare per individuare gli organi competenti ad irrogarle. Ciò significa che le sanzioni e i provvedimenti che comportano l'allontanamento dalla comunità scolastica per un periodo non superiore a quindici giorni sono sempre adottati dal consiglio di classe nella composizione allargata a tutte le componenti, inclusi studenti e genitori. Le sanzioni che comportano un allontanamento superiore a quindici giorni, l'esclusione dallo scrutinio finale o la non ammissione all'esame di Stato conclusivo del corso di studi, sono invece sempre adottate dal consiglio di istituto (cfr. comma 6 dell’art. 4 del D.P.R. n. 249/1998). Il collegio degli educatori non può dunque assurgere a organo competente per irrogare le sanzioni di allontanamento dalla comunità scolastica. Per tali sanzioni, infatti, la competenza è riservata a consiglio di classe e consiglio di istituto. Detto organo collegiale semmai, alla luce della Circolare ministeriale n. 111 del 31/3/1989, può formulare proposte al consiglio di classe o al consiglio di istituto, ogniqualvolta le sanzioni da irrogare coinvolgano un convittore o un semiconvittore, posta la competenza del collegio degli educatori a “esamina[re] i casi di alunni che presentino particolari difficoltà di inserimento nella vita convittuale allo scopo di individuare le iniziative idonee a rimuovere tali difficoltà.” Circa le sanzioni alternative, poi, si osserva che la normativa le prevede e ne promuove l'applicazione, soprattutto in caso di allontanamento dalla comunità scolastica. Infatti, alla affermazione secondo cui “I provvedimenti disciplinari hanno finalità educativa e tendono al rafforzamento del senso di responsabilità ed al ripristino di rapporti corretti all'interno della comunità scolastica, nonché al recupero dello studente attraverso attività di natura sociale, culturale ed in generale a vantaggio della comunità scolastica” (art. 4, c. 2 del D.P.R. n. 249/1998), segue quella in base alla quale “Allo studente è sempre offerta la possibilità di convertire le sanzioni in attività a favore della comunità scolastica” (art. 4, c. 5 del citato D.P.R.). Nello specifico, per i periodi di allontanamento non superiori a quindici giorni, deve essere previsto un rapporto con lo studente e i suoi genitori per preparare il rientro nella comunità scolastica. Per i periodi di allontanamento superiori a quindici giorni, la scuola ha l'obbligo di promuovere un percorso di recupero educativo in coordinamento con la famiglia e, se necessario, con i servizi sociali e l'autorità giudiziaria al fine di favorire l'inclusione, la responsabilizzazione e, ove possibile, il reintegro nella comunità scolastica (cfr. comma 8 del citato art. 4). Sono possibili diverse tipologie di attività di recupero, quali attività di volontariato scolastico, attività di segreteria, pulizia dei locali, attività di ricerca, riordino di archivi, corsi di formazione su tematiche sociali/culturali, o produzione di elaborati riflessivi. Nonostante la complessità organizzativa, la finalità educativa della sanzione richiede l’offerta e la conseguente predisposizione di simili percorsi. Si segnala peraltro che la materia potrebbe essere impattata dalla pubblicazione del regolamento prefigurato dalla legge n. 150/2024. Per quanto riguarda infine l'organo di garanzia interno alla scuola, esso deve essere istituito nel rispetto di quanto previsto dal comma 1 dell’art. 5 del D.P.R. n. 249/1998 (“Contro le sanzioni disciplinari è ammesso ricorso, da parte di chiunque vi abbia interesse, entro quindici giorni dalla comunicazione della loro irrogazione, ad un apposito organo di garanzia interno alla scuola, istituito e disciplinato dai regolamenti delle singole istituzioni scolastiche, del quale fa parte almeno un rappresentante eletto dagli studenti nella scuola secondaria superiore e dai genitori nella scuola media, che decide nel termine di dieci giorni. Tale organo, di norma, è composto da un docente designato dal consiglio di istituto e, nella scuola secondaria superiore, da un rappresentante eletto dagli studenti e da un rappresentante eletto dai genitori, ovvero, nella scuola secondaria di primo grado da due rappresentanti eletti dai genitori, ed è presieduto dal dirigente scolastico.”) Dunque, nel rispetto delle prescrizioni ivi contenute – nell’organo di garanzia devono essere presenti almeno un docente designato dal consiglio di istituto, un rappresentante eletto dagli studenti e uno eletto dai genitori, sotto la presidenza del dirigente scolastico – il regolamento di istituto può prevedere la presenza di ulteriori componenti quando si tratti di esaminare l’impugnativa presentata da un convittore o da un semiconvittore. Si ritiene pertanto che i componenti indicati nel quesito debbano aggiungersi alla composizione minima indicata nell’art. 5 del D.P.R. n. 249/1998, ogniqualvolta si faccia questione dell’impugnazione di sanzioni irrogate a un convittore o a un semiconvittore. Infine, alla luce della premessa effettuata, si ritiene che la possibilità di appello al Direttore dell'ufficio scolastico regionale sussista anche per i convittori e semiconvittori, in quanto studenti della scuola secondaria di secondo grado.
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Data di pubblicazione: 14/07/2025
La carica di componente della RSU di istituto è una carica elettiva, non di servizio; i diritti sindacali rimangono inalterati anche quando, riguardo al servizio, è collocato in una particolare situazione di status (come, ad esempio, l’assenza ex lege 104/1992) che ne comporta l’esonero. Conservando pertanto pienamente la sua funzione, il componente della RSU, ancorché assente fino a gennaio 2026, ha diritto di partecipare alle sedute di informazione/confronto/contrattazione e il dirigente deve regolarmente convocarlo.
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Data di pubblicazione: 11/07/2025
Un nostro docente a tempo indeterminato rivendica le ferie dell'a.s.23/24 in quanto non ne ha fatto formale richiesta e appellandosi all'art.13 del CCNL...
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Data di pubblicazione: 11/07/2025
L’art.55 bis, comma 4, del D.Lgs 165 2001 prevede che “L'ufficio competente per i procedimenti disciplinari conclude il procedimento, con l'atto di archiviazione o di irrogazione della sanzione, entro centoventi giorni dalla contestazione dell'addebito”. L’unico provvedimento contemplato diverso dall’irrogazione della sanzione è l’archiviazione. Nulla pertanto impedisce motivare l’archiviazione in ragione della sopravvenuta estinzione del potere disciplinare.
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Data di pubblicazione: 11/07/2025
A seguito di una significativa violazione del Regolamento di Istituto e seguendo l'intero iter procedurale garantito dallo "Statuto delle Studentesse e degli Studenti".....
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Data di pubblicazione: 11/07/2025
Anche per questo anno scolastico, in tema di compensi da corrispondere ai Presidenti ed ai Commissari impegnati negli esami di Stato, la normativa cui fare riferimento è il D.I. 24 maggio 2007 e le relative indicazioni di cui alla Nota prot. n. 7054 del 2.07.2007 e prot. n. 7321 del 12 novembre 2012 del Ministero dell'Istruzione. I compensi per gli esami conclusivi dei corsi di studio di istruzione secondaria superiore sono omnicomprensivi e sostitutivi di ogni altro emolumento accessorio. Il MIUR, con la nota prot. n. 5850 del 23.06.2015, ha fornito ulteriori chiarimenti sui compensi in argomento, al fine di uniformare l'operato delle singole Istituzioni Scolastiche, in relazione ai costi relativi allo svolgimento degli esami medesimi. Si riporta pertanto il dettaglio dell'applicazione della normativa da rispettare sui compensi stessi da attribuire, sia applicando il quadro A - Compenso correlato alla funzione, sia applicando il quadro B - Compenso correlato alla distanzla del luogo di residenza o servizio dalla sede di esame. QUADRO A: Gli importi concorrono per il 100% a formare la base contributiva e pensionabile; sono assoggettati alle ritenute previste per legge e relative ai compensi accessori. QUADRO B: I compensi concorrono a formare la base contributiva-fiscale per la parte eccedente € 46,48 giornalieri. Come si calcola la base imponibile nel compenso forfettario per trasferta: La base imponibile e fiscale è il risultato della differenza tra la quota spettante ed il prodotto di € 46,48 per le giornate di durata della commissione, come disposto dall'art. 6, comma 2 del D.I. 24.05.2007 che recita:" I compensi indicati nella tabella 1- QUADRO B concorrono a formare la base retributiva e fiscale per la parte eccedente € 46,48 giornalieri". Esempio: punto b TABELLA 1 quadro B: 568,00 :10 giorni di lavoro della commissione = 56,80 56,80 - 46,48 = 10,32 quota imponibile giornaliera 10,32 x10 gg= 103,20 quota imponibile per 10 giorni di lavoro della commissione. Si precisa che il compenso forfettario spettante, sia per la funzione, sia per la trasferta, è dovuto per la durata complessiva delle operazioni d'esame. Solo nel caso di impegno per periodi inferiori al citato periodo (ad esempio, in caso il commissario sia impossibiltato allo svolgimento dell'incarico per grave, eccezionale e documentato motivo, o in caso di personale nominato in sostituzione del componente assente, o in caso di nomina del commissario successiva alla riunione preliminare), i compensi vanno corrisposti in proporzione al periodo continuativo di servizio prestato rispetto alla durata complessiva delle operazioni d'esame.
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Data di pubblicazione: 11/07/2025
In base all’art. 11 del D.M. n. 249/2010, “1. Per lo svolgimento delle attività di tirocinio le facoltà di riferimento si avvalgono di personale docente e dirigente in servizio nelle istituzioni scolastiche del sistema nazionale di istruzione. Ai predetti docenti sono affidati compiti tutoriali, in qualità di: a) tutor coordinatori; b) tutor dei tirocinanti. […] 5. Con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze sono stabiliti i contingenti del personale della scuola necessario per lo svolgimento dei compiti tutoriali di cui ai commi 2 e 4 e la loro ripartizione tra le facoltà o le istituzioni dell'alta formazione artistica, musicale e coreutica di riferimento, nonché i criteri di selezione degli aspiranti ai predetti compiti. Sulla base dei criteri di selezione stabiliti, e nei limiti dei contingenti ad esse assegnati, le facoltà di riferimento provvedono all'indizione ed allo svolgimento delle selezioni. La facoltà provvede all'affidamento dell'incarico tutoriale, che ha una durata massima di quattro anni, non è consecutivamente rinnovabile ed è prorogabile solo per un ulteriore anno. L'incarico è soggetto a conferma annuale secondo quanto previsto al comma 7. Il suo svolgimento comporta, per i tutor coordinatori, un esonero parziale dall'insegnamento e, per i tutor organizzatori, l'esonero totale dall'insegnamento stesso.” Il decreto citato stabilisce un esonero parziale dall’insegnamento per i tutor coordinatori che, dunque, non potranno che essere assimilati – ai fini del computo dei servizi utili per il percorso di formazione e periodo annuale di prova in servizio di cui all’art. 3 del D.M. n. 226/2022 – ai “docenti con prestazione o orario inferiore su cattedra o posto”, come suggerito nel quesito. Non vi è alcuna specifica disposizione applicabile nella fattispecie e, pertanto, i docenti non potranno che essere sottoposti alla disciplina prevista dal D.M. n. 226/2022. Non si ravvede a priori, per contro, la necessità di rinviare il periodo di formazione e prova dei docenti coinvolti, dal momento che – seppure non per l’intero orario cattedra – gli stessi svolgeranno attività didattica e dovranno dunque essere valutati alla luce di essa, se compiranno i requisiti di servizio così come riproporzionati in ragione del loro ridotto impegno lavorativo presso l’istituzione scolastica di titolarità.
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Data di pubblicazione: 10/07/2025
Il secondo comma dell’art. 49 D.Lgs. 36/2023 non è stato interpretato nel senso prospettato in quesito. Dopo un primo momento in cui l’orientamento degli interpreti si era avvicinato all’ipotesi del “terzo” affidamento come il primo momento di applicazione della rotazione, la giurisprudenza si è assestata su letture più restrittive, come quella del T.A.R. Calabria (sent. 1099/2024): “I “due consecutivi affidamenti” fanno, quindi, riferimento a quello da aggiudicare e a quello “immediatamente precedente” con la conseguenza che la disposizione vieta il secondo consecutivo affidamento (avente ad oggetto la stessa categorie di opere) e non – come dalla ravvisato dalla parte ricorrente (v. pag. 12- 13 del ricorso introduttivo) – il “terzo” affidamento da parte dell’operatore già affidatario di due consecutivi affidamenti”, non rivenendosi, per una simile interpretazione, né elementi testuali, né elementi sistematici tenuto anche conto che la disposizione si pone in linea di continuità con la precedente regolamentazione di cui alle linee guida ANAC n. 4 che al punto 3.6 faceva espresso riferimento all’affidamento “precedente” e a quello “attuale”.”. La risposta al quesito è pertanto negativa: se non sussiste una delle altre eccezioni di cui all’art. 49 (commi da 3 a 6), l’uscente dovrà essere escluso.
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Data di pubblicazione: 10/07/2025
La soluzione prospettata nel quesito appare pienamente condivisibile. L’iscrizione a scuola è un atto “bi-genitoriale”, di talché la manifestazione di un dissenso espresso da parte di un genitore in caso di affido condiviso è ostativo al perfezionamento della fattispecie. La redazione ritiene pertanto che sia opportuno aprire un contraddittorio procedimentale che metta in luce anche la necessità di assicurare l’assolvimento dell’obbligo scolastico. Ovviamente, in difetto di un componimento tra i genitori, la decisione sarà assunta dall’autorità giudiziaria.
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