Data di pubblicazione: 13/06/2025
Questa scuola intende istituire una associazione di ex alunni con finalità culturali. Si intendono conoscere le modalità più adeguate...
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 13/06/2025
Ai sensi dell'art. 70 del CCNL 2024 (che ha abrogato l’art. 59 del CCNL 2007) il personale ATA in servizio con rapporto di lavoro a tempo indeterminato può accettare, nell’ambito del settore scuola, contratti a tempo determinato, su posto intero di Area superiore o – a parità di Area – di diverso profilo professionale o relativo alle categorie di cui all’art. 33, comma 2 (Categorie professionali), di durata non inferiore al 30 giugno o ad un anno scolastico (31 agosto), mantenendo senza assegni, complessivamente per tre anni scolastici, la titolarità della sede. L’accettazione dell’incarico comporta l’applicazione della relativa disciplina prevista dal presente CCNL per il personale assunto a tempo determinato, ivi inclusa quella relativa alle ferie. Per quanto concerne le ferie del personale ex art. 59 ( ora art 70 CCNL 2024) ricordiamo che il MEF, con una mail del 21 luglio 2009 indirizzata all’USP di Torino, ha precisato che per il personale ATA con contratto a tempo indeterminato che accetta un incarico a tempo determinato ai sensi dell’art. 59 del C.C.N.L. 2006/2009, non è previsto da alcuna disposizione di legge o contrattuale il pagamento delle ferie non godute (pagamento comunque ora non più possibile alla luce della normativa sulla Spending Review), le quali devono essere concesse o disposte (se non fruite durante il corso dell’anno), al rientro nella sede di titolarità (cfr anche l’Orientamento applicativo SCU14 dell'ARAN per il Comparto Scuola). Il citato Orientamento applicativo (SCU14) ARAN per il Comparto Scuola ha precisato: “Al personale a tempo indeterminato che accetta un incarico a tempo determinato, ai sensi dell’art. 59 del CCNL 2006/2009, spetta il pagamento delle ferie non godute? Si precisa che il parere sulla legalità del decreto di liquidazione delle ferie maturate e non godute esula dai compiti di questa Agenzia che può, invece, formulare orientamenti riguardanti le clausole contrattuali. Nel caso specifico l’art. 59 del CCNL 2006/2009 consente al personale ATA di accettare contratti a tempo determinato, nell’ambito del comparto scuola e di durata non inferiore ad un anno, mantenendo senza assegni, complessivamente per tre anni, la titolarità della sede. L’accettazione dell’incarico prevede l’applicazione della disciplina prevista dallo stesso CCNL per il personale assunto a tempo determinato, fatti salvi i diritti sindacali. In materia di ferie l’art 13, comma 8, (norma comune sia per il personale docente e ATA a tempo indeterminato sia per il personale docente e ATA a tempo determinato) esplicita perentoriamente che le ferie sono un diritto irrinunciabile e non sono monetizzabili tranne quanto previsto dal comma 15 (all’atto di cessazione dal rapporto di lavoro, qualora le ferie spettanti non siano state fruite). Il comma 10, del medesimo articolo, stabilisce che la fruizione della ferie non godute a causa di particolari esigenze di servizio o in caso di motivate esigenze di carattere personale e di malattia dal suddetto personale possa essere differita rispetto a quanto disciplinato dal precedente comma 9. Pertanto, a parere di questa Agenzia, per quanto espressamente previsto dal vigente CCNL e considerato che personale destinatario dell’art. 59 rientrando nella sede di titolarità al termine del contratto a tempo determinato non cessa il rapporto di lavoro, non si ravvisano le condizioni per attivare un provvedimento di liquidazione del compenso sostitutivo per le ferie maturate e non fruite. La fruizione delle ferie maturate e non godute dovrebbe essere favorita al rientro nella sede di titolarità.” Pertanto, solo le ferie maturate e non godute per motivate esigenze di servizio od altri motivi oggettivi ( es. malattia) andranno fruite al rientro nella scuola di titolarità al 1° luglio. Nel caso di specie non si applica, a nostro avviso, il disposto dell’art. 13 comma 11 del CCNL 2007 “11. Compatibilmente con le esigenze di servizio, il personale A.T.A. può frazionare le ferie in più periodi. La fruizione delle ferie dovrà comunque essere effettuata nel rispetto dei turni prestabiliti, assicurando al dipendente il godimento di almeno 15 giorni lavorativi continuativi di riposo nel periodo 1 luglio-31 agosto” stante che nel caso di specie il dipendente ATA ha fino al 30 giugno un contratto a t.d. con applicazione del relativo regime anche per quanto concerne maturazione e fruizione delle ferie.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 13/06/2025
L’INPS, con il Messaggio numero 1074 del 9 marzo 2018 citato nel quesito, ha fornito precisazioni sulle assenze dei dipendenti in caso di permanenza presso le unità operative di Pronto Soccorso, per trattamenti sanitari a seguito di accesso, di durata anche prolungata nel tempo (due o più giorni). L’Istituto ha precisato che nei suddetti casi, la permanenza di un paziente presso il Pronto Soccorso presenta le medesime caratteristiche del ricovero ospedaliero e tale deve quindi essere considerata ai fini dell’assenza per malattia e della correlata certificazione medica da produrre. Quindi, nei casi in cui i trattamenti o l’osservazione presso le unità operative di Pronto Soccorso richiedano ospitalità notturna, deve applicarsi, nell’ambito della tutela della malattia, la medesima disciplina prevista per gli eventi di ricovero ospedaliero. Per i dipendenti della Scuola il riferimento è all’art. 17 comma 8 del CCNL 2007 e all'art. 35 CCNL 2024 per il personale a t.d.: il ricovero ed il successivo periodo di convalescenza non sono soggetti alle decurtazioni economiche ma sono computabili ai fini del superamento del periodo di comporto (cfr anche per il trattamento del periodo di post ricovero il Parere n. 53 del 2008 della Funzione Pubblica). Più specificamente, l’INPS ha precisato quanto segue: 1. situazioni che richiedono ospitalità notturna del malato equiparabili ad un ricovero. In tal caso, il lavoratore dovrà farsi rilasciare, ove nulla osti da parte della struttura ospedaliera, apposito certificato di ricovero; 2. situazioni che si esauriscono con dimissione del malato senza permanenza notturna presso la struttura da gestire come evento di malattia ( come nel caso di specie); il certificato da produrre sarà quindi quello di malattia. Ne consegue, a nostro avviso, che l'assenza di cui al quesito ( cinque giorni del PS assorbiti poi dal certificato del medico curante di trenta giorni) è da ricondurre a malattia ordinaria con decurtazione del trattamento accessorio per i primi dieci giorni.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 13/06/2025
In caso di assenza per grave patologia, l’art. 17, comma 9 del CCNL 2007 (non modificato dal CCNL 2024) prevede che in caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia, di cui ai commi 1 e 8 del citato articolo 17 (che disciplinano, rispettivamente, il periodo massimo di comporto e la retribuzione spettante in caso di assenza per malattia), oltre ai giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital anche quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie; pertanto per i giorni anzidetti di assenza spetta l'intera retribuzione. Pertanto, l'assenza per grave patologia, ai sensi dell'art. 17, comma 9, del CCNL 2007, oltre ad essere retribuita al 100%, non rileva ai fini del superamento del periodo di comporto e, pertanto, il contratto non può essere risolto per assenze per malattia oltre il limite massimo di cui all'art. 17 del CCNL 2007. Ne consegue che il dirigente non può procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro o alla sottoposizione alla visita collegiale in caso di superamento del periodo di assenza di 18 mesi. Ad ogni modo, come già rilevato in precedenti risposte, in caso di assenza prolungata per grave patologia (ed indipendentemente dagli anni di servizio del dipendente), il dirigente può comunque richiedere d'ufficio una visita medica collegiale ai sensi del DPR 27 luglio 2011, n. 171 allorchè le condizioni fisiche del dipendente stesso facciano presumere l'inidoneità fisica permanente assoluta o relativa al servizio. Si ricorda che dal 1° giugno 2023 la competenza è passata dalle CMV del MEF all'INPS (cfr. Messaggi INPS 18 maggio 2023 n. 1834 e 2064 del 1 giugno 2023). Nel caso di specie, trattandosi di assenze giustificate alla visita collegiale, non si applica la sospensione cautelare di cui all’art. 6 del DPR 171 del 2001 ai sensi del quale “l'amministrazione può disporre la sospensione cautelare dal servizio del dipendente nelle seguenti ipotesi……. c) in caso di mancata presentazione del dipendente alla visita di idoneità, in assenza di giustificato motivo”. Pertanto: - non sussistono i presupposti per la sospensione cautelare con richiesta di nuovo accertamento stante che comunque, da quanto si evince dal quesito, la mancata presentazione alle visite fissate è stata dovuta a motivi medici - se allo stato attuale l’assenza è ancora per grave patologia non è possibile procedere con la risoluzione del rapporto di lavoro per superamento del comporto - si ritiene che la scuola debba reinviare a visita collegiale la dipendente rappresentando alla commissione INPS la necessità di procedere con un accertamento o con una valutazione se l’assenza è giustificata o meno - ad ogni modo la competenza alla risoluzione del rapporto ai sensi del DPR 171 del 2011 è sempre del DS
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 13/06/2025
Si chiede in quale tipologia di sanzione prevista dagli artt 492 e ss del Dlvo n.297/94 possa essere eventualmente inquadrato...
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 13/06/2025
L’articolo 69 del CCNL comparto “Istruzione e Ricerca” 2019-2021, per quanto qui interessa, replica la disciplina specifica delle assenze dovute a visite, terapie, prestazioni specialistiche o esami diagnostici del personale ATA contenuta nel precedente articolo 33 del CCNL comparto “Istruzione e Ricerca” 2016-2018. Secondo l'articolo 69 del CCNL 2019-2021, come già in precedenza secondo l’articolo 33: - al personale ATA sono riconosciuti permessi specifici per l'espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche o esami diagnostici, utilizzabili su base giornaliera o oraria, fino a un massimo di 18 ore per anno scolastico, inclusi i tempi di percorrenza (comma 1); - essi sono assimilati alle assenze per malattia ai fini del computo del periodo di comporto e sono sottoposti al medesimo regime economico (comma 2); - tuttavia, simili permessi, quando fruiti su base oraria, non sono soggetti alla decurtazione del trattamento economico accessorio prevista per le assenze per malattia nei primi 10 giorni (comma 3, lettera b); - ai fini del computo del periodo di comporto, sei ore di permesso fruite su base oraria corrispondono convenzionalmente ad una intera giornata lavorativa (comma 4); - ad ogni modo il personale ATA può imputare l'assenza a malattia (con relativo trattamento economico) nelle ipotesi previste dai commi 11,12 e 14 dell'articolo 69. Se la visita specialistica o la terapia coincide con una situazione di incapacità lavorativa temporanea del dipendente a causa di una patologia in atto oppure se l'incapacità lavorativa è determinata dalle caratteristiche di esecuzione della visita/terapia, allora l'assenza viene imputata alla malattia (commi 11 e 12). Nel primo caso, l’assenza per malattia è giustificata mediante: a) attestazione di malattia del medico curante individuato in base a quanto previsto dalle vigenti disposizioni, comunicata all’amministrazione secondo le modalità ordinariamente previste in tale ipotesi; b) attestazione, redatta dal medico o dal personale amministrativo della struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione, secondo le previsioni dei commi 9 e 10 (cfr. art. 11). Nel secondo caso invece, l’assenza è giustificata mediante l’attestazione, anche in ordine all’orario, redatta dal medico o dal personale amministrativo della struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione dalla quale emerga l’incapacità lavorativa (comma 12). Quando infine i dipendenti, a causa delle patologie sofferte, debbano sottoporsi periodicamente a terapie comportanti incapacità al lavoro, è sufficiente un'unica certificazione, anche cartacea, del medico curante che attesti la necessità di trattamenti sanitari ricorrenti comportanti incapacità lavorativa, secondo cicli o calendari stabiliti. I lavoratori interessati producono tale certificazione all'amministrazione prima dell'inizio della terapia, fornendo il calendario, ove previsto. A tale certificazione fanno seguito le singole attestazioni di presenza, ai sensi dei commi 9, 10 e 11, dalle quali risulti l'effettuazione delle terapie nelle giornate previste, nonché il fatto che la prestazione è somministrata nell’ambito del ciclo o calendario di terapie prescritto dal medico (comma 14). Una simile disciplina che replica – come detto – il contenuto dell’articolo 33 del CCNL di comparto precedente ha fatto sorgere il dubbio circa la sua conciliabilità con l’istituto della malattia, disciplinato dall’articolo 17 del CCNL comparto scuola 2007. Sotto questo profilo, l'ARAN, con l’Orientamento applicativo CIR 2 dell'8 novembre 2018, ha fatto chiarezza rispondendo al quesito "Come si concilia il nuovo art. 33 del CCNL Istruzione e Ricerca del 19.04.2018, che prevede la possibilità di utilizzare fino a 18 ore annuali, fruibili sia su base oraria che giornaliera, per effettuare visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici, con l’istituto della malattia disciplinato dall’art. 17 del CCNL del 29.11.2007? Vi rientrano anche i tempi di percorrenza o di viaggio necessari per recarsi a visita specialistica?" L'ARAN ricorda che l'articolo 33 introduce per il personale ATA una nuova tipologia di permessi per effettuare visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici, prima non prevista dai CCNL. Inoltre, per regolare organicamente tutte le possibili fattispecie di assenze per l’espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici, la disposizione in questione disciplina anche una diversa e ulteriore casistica riguardante la possibilità di imputare le visite, terapie, prestazioni o esami a malattia, in talune specifiche e tassative ipotesi, espressamente indicate nella citata disposizione contrattuale. Si tratta, in particolare: ? del caso in cui la visita, l’esame o la terapia siano concomitanti ad una situazione di incapacità lavorativa conseguente ad una patologia in atto (comma 11); ? del caso in cui l'incapacità lavorativa sia determinata dalle caratteristiche di esecuzione e di impegno organico di visite, accertamenti, esami o terapie (comma 12); ? del caso in cui, a causa della patologia sofferta, il dipendente debba sottoporsi, anche per lunghi periodi, ad un ciclo di terapie implicanti incapacità lavorativa (comma 14). Tutte e tre dette ipotesi sono caratterizzate da uno stato di incapacità lavorativa e, proprio in virtù di tale specifico aspetto, si differenziano dai permessi regolati negli altri commi: presentando una più diretta riconducibilità alla nozione di malattia, essi possono essere attribuiti a tale ultimo istituto, come specificatamente previsto nel CCNL (“la relativa assenza è imputata a malattia”). Conseguentemente, in tali casi l’assenza non è fruibile ad ore e non vi è la riduzione del contingente di 18 ore annue. Per quanto concerne l’ipotesi di cui al comma 11 il CCNL ha richiesto, in aggiunta all’attestazione di malattia del medico curante, anche l’ulteriore attestazione della struttura presso la quale il dipendente si è sottoposto alla visita o alla prestazione medica, in quanto la prestazione viene effettuata al di fuori del proprio domicilio con conseguente necessità di giustificare la mancata presenza presso lo stesso. Relativamente alle modalità di giustificazione dell’assenza nell’ipotesi di cui al comma 12, l’ARAN ha precisato che il contratto non prevede specifiche caratteristiche, limitandosi a richiedere un’attestazione di presenza, anche in ordine all’orario, redatta dal medico o dalla struttura interessata, anche privati, dove si è svolta la visita o prestazione, che può essere inoltrata all’amministrazione di appartenenza da parte del dipendente o trasmessa telematicamente dallo stesso medico o dal personale della relativa struttura. Tale attestazione, per coerenza con la fattispecie disciplinata, deve recare l’indicazione che la prestazione effettuata, per le caratteristiche di esecuzione, determina “incapacità lavorativa”. Invece nelle ipotesi di cui al comma 14 è sufficiente un'unica certificazione, anche cartacea, del medico curante che attesti la necessità di trattamenti sanitari ricorrenti comportanti incapacità lavorativa, secondo cicli o calendari stabiliti. A tale certificazione fanno seguito le singole attestazioni di presenza dalle quali risulti l'effettuazione delle terapie nelle giornate previste, nonché il fatto che la prestazione è somministrata nell’ambito del ciclo o calendario di terapie prescritto dal medico. Rispetto agli istituti da utilizzare in alternativa ai permessi, l'ARAN invita a fare riferimento a quanto stabilito dal comma 15 del medesimo articolo 33 sopra citato (adesso trasposto nell’articolo 69), ove si prevede espressamente che, per le finalità in oggetto, possono essere utilizzati, sulla base delle modalità applicative previste dal CCNL, anche i permessi orari a recupero, i permessi per motivi personali e familiari, i riposi connessi alla banca delle ore, i riposi compensativi per le prestazioni rese per lavoro straordinario. A tali permessi e riposi il dipendente può ricorrere sia in base ad una sua specifica scelta, sia anche nell’ipotesi in cui lo stesso abbia la necessità di assentarsi per visite, terapie, prestazione od esami in misura superiore al monte ore sopraindicato e non sussistano le condizioni per il ricorso all’istituto della malattia stabilite dai sopraindicati commi 11, 12 e 14 dello stesso articolo 33. Ciò significa, in altri termini, che se il dipendente intende imputare l’assenza per visite e terapie all’istituto della malattia deve comprovare la ricorrenza dei presupposti previsti, alternativamente, nei commi 11, 12 o 14 dell’articolo 69 del CCNL comparto “Istruzione e Ricerca” 2019-2021 con le conseguenti ricadute sulle certificazioni da produrre: a) nell’ipotesi del comma 11: certificato medico + attestazione presenza b) nell’ipotesi del comma 12: attestazione presenza recante anche indicazione della conseguente incapacità lavorativa c) nell’ipotesi del comma 14: unica certificazione medica iniziale + singole attestazioni presenza. In assenza di una simile documentazione, l’assenza sarà trattata come permesso per visite/terapie a ore o giornaliero (se copre almeno sei ore di servizio) con la necessità di produrre la sola attestazione di presenza presso la struttura, anche privata, che ha svolto la visita o la terapia.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 12/06/2025
Per quanto concerne le ferie del personale a t.d. è intervenuta la recente interpretazione della Cassazione che, con l'Ordinanza 17/06/2024 n. 16715, ha affermato che il docente a tempo determinato che non ha chiesto di fruire delle ferie durante il periodo di sospensione delle lezioni ha diritto all'indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo inutilmente invitato a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie e alla indennità sostitutiva, in quanto la normativa interna - e, soprattutto, l'art. 5, comma 8, del D.L. n. 95 del 2012, come integrato dall'art. 1, comma 55, della legge n. 228 del 2012 - deve essere interpretata in senso conforme all'art. 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE, che, secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia, Grande Sezione (con sentenze del 6 novembre 2018 in cause riunite C-569/16 e C-570/16, e in cause C-619/16 e C-684/16), non consente la perdita automatica del diritto alle ferie retribuite e dell'indennità sostitutiva, senza la previa verifica che il lavoratore, mediante una informazione adeguata, sia stato posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare effettivamente il proprio diritto alle ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro. In particolare, il detto docente non può essere considerato automaticamente in ferie nel periodo fra il termine delle lezioni e il 30 giugno di ogni anno. Pertanto, alla luce dell’orientamento interpretativo fatto proprio dalla Corte di cassazione, il dirigente scolastico deve procedere, all’atto dell’instaurarsi del rapporto di lavoro o anche nel corso del rapporto stesso, ad invitare formalmente i docenti con contratto a tempo determinato a presentare istanza di fruizione delle ferie, maturate e maturande, durante i periodi di sospensione delle lezioni o anche nel periodo intercorrente tra la fine delle lezioni e il 30 giugno, con espresso avviso della perdita, in assenza di domanda volontaria, del diritto alle ferie e all’indennità sostitutiva ( adempimento che nel caso di specie è stato fatto - cfr Nota MIM del 27 marzo 2025). In sostanza, non è più possibile quindi la decurtazione automatica, a titolo di giorni di ferie godute, dei periodi di sospensione delle lezioni presenti nel contratto. Solo se, nonostante la domanda di ferie nei periodi di sospensione delle lezioni, non è stato possibile fruire di tutte le ferie maturate si procederà alla relativa monetizzazione. L'art. 35 del nuovo CCNL 2024 al comma 2 prevede che le ferie del personale assunto a tempo determinato sono proporzionali al servizio prestato. Qualora la durata del rapporto di lavoro a tempo determinato sia tale da non consentire la fruizione delle ferie maturate, le stesse saranno liquidate al termine dell'anno scolastico e comunque dell'ultimo contratto stipulato nel corso dell'anno scolastico. Il personale che svolge l’attività lavorativa in regime di part-time verticale ( cui va equiparato il personale a td in spezzone orario), cioè con prestazione lavorativa svolta solo in taluni giorni della settimana, del mese o dell’anno, ha diritto ad un numero di ferie proporzionale alle giornate di lavoro prestate nell’anno (cfr. per il personale ATA l’art. 58 comma 11 CCNL 2007 mentre per il personale docente l’art. 39 comma 11 del medesimo CCNL). Conclusivamente, fermo restando quanto detto sopra in merito al nuovo orientamento giurisprudenziale sulla gestione delle ferie del personale a t.d., le giornate in cui il docente a t.d. in part time può richiedere le ferie sono solo quelle in cui avrebbe avuto servizio proprio perché il numero delle ferie spettanti è riproporzionato. Atteso ciò, in applicazione del principio del riproporzionamento, riteniamo che debbano essere detratte solamente le sospensioni coincidenti con i giorni in cui il docente avrebbe dovuto essere in servizio.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 12/06/2025
L’art. 6 comma 7 del DPR 171 del 2011 prevede che al dipendente sospeso in via cautelare dal servizio ai sensi del comma 1, lettere a) e b), é corrisposta un'indennità pari al trattamento retributivo spettante in caso di assenza per malattia in base alla legge e ai contratti collettivi. Al dipendente sospeso in via cautelare dal servizio ai sensi del comma 1, lettera c), é corrisposta un'indennità pari al trattamento previsto dai CCNL in caso di sospensione cautelare in corso di procedimento penale. Il periodo di sospensione è valutabile ai fini dell' anzianità di servizio. L’art. 13 comma 14 del CCNL 2007, non modificato dal CCNL 2007, prevede che il periodo di ferie non è riducibile per assenze per malattia o per assenze parzialmente retribuite, anche se tali assenze si siano protratte per l'intero anno scolastico. Pertanto, a meno che durante il collocamento in sospensione cautelare il dipendente non avesse avuto il trattamento retributivo a zero ( calcolato secondo l’art. 17 del CCNL 2007), il periodo di sospensione cautelare è utile ai fini della maturazione delle ferie.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 12/06/2025
Gli "accomodamenti ragionevoli" appartengono ad un ambito extragiudiziale, ma allo stato non è dato al Dirigente scolastico di sostituirsi al medico (o alla Commissione collegiale). Essendo pervenuta la Commissione Medica al riconoscimento dell’inidoneità assoluta a qualsiasi attività lavorativa, ancorché per un periodo di tempo limitato, il dipendente si trova in malattia a tutti gli effetti. A nulla rileva che tale stato si configuri come “malattia d’ufficio” secondo provvedimento del dirigente scolastico, in quanto questi ha agito in veste amministrativa, dando applicazione di un giudizio medico emesso dall’autorità sanitaria preposta. Lo stato di malattia impedisce ogni ipotesi di prestazione lavorativa per tutto il periodo della prognosi clinica o della declaratoria medico-legale di inidoneità assoluta. Solo il sopravvenire di un nuovo e diverso pronunciamento da parte di un soggetto avente competenza sanitaria – nel caso specifico, la revisione del giudizio della CMV da parte della Commissione di seconda istanza – permetterebbe al datore di riammettere sul posto di lavoro il dipendente in anticipo rispetto alla originaria data stabilità dal provvedimento medico-legale. Quanto alla normativa invocata nell’istanza, essa risulta del tutto inconferente in quanto: - l’art. 42 del D. Lgs. 81/2008, in virtù dell’esplicito rimando alla dalla L. 68/1999, riguarda i soggetti “disabili”, non quelli “inidonei”, com’è invece il caso della DSGA; - l’art. 3 del D. Lgs. 216/2003 afferma il principio di non-discriminazione nell’accesso al lavoro (intendendosi le procedure di reclutamento) e ANCHE di non-discriminazione nelle “condizioni di lavoro, compresi […] la salute e la sicurezza”, pertanto proprio non riammettendo anticipatamente al lavoro la DSGA in malattia si ottempera al pari trattamento con tutti gli altri dipendenti in malattia. In definitiva, il presupposto giustificativo dell’assenza per malattia del dipendente (per certificazione o mediante la equivalente messa in malattia d’ufficio) è esclusivamente il verbale della visita medica collegiale, o, quando adita, della Commissione di seconda istanza.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 12/06/2025
Come noto, la legge n. 107/2015 ha istituito l’organico dell’autonomia (cfr. commi 5 e 63 dell’art. 1, in particolare). Di detto organico fanno parte l’organico di diritto e l’organico di potenziamento su posti comuni e su posti di sostegno, come reso evidente da: - il comma 65 (“Il riparto della dotazione organica tra le regioni è effettuato sulla base del numero delle classi, per i posti comuni, e sulla base del numero degli alunni, per i posti del potenziamento, senza ulteriori oneri rispetto alla dotazione organica assegnata. Il riparto della dotazione organica per il potenziamento dei posti di sostegno è effettuato in base al numero degli alunni disabili. Si tiene conto, senza ulteriori oneri rispetto alla dotazione organica assegnata, della presenza di aree montane o di piccole isole, di aree interne, a bassa densità demografica o a forte processo immigratorio, nonché di aree caratterizzate da elevati tassi di dispersione scolastica. Il riparto, senza ulteriori oneri rispetto alla dotazione organica assegnata, considera altresì il fabbisogno per progetti e convenzioni di particolare rilevanza didattica e culturale espresso da reti di scuole o per progetti di valore nazionale. In ogni caso il riparto non deve pregiudicare la realizzazione degli obiettivi di risparmio del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81. Il personale della dotazione organica dell'autonomia è tenuto ad assicurare prioritariamente la copertura dei posti vacanti e disponibili”); - il comma 95 secondo cui “I posti di cui alla Tabella 1 sono destinati alla finalità di cui ai commi 7 e 85. […] A decorrere dall'anno scolastico 2016/2017, i posti di cui alla Tabella 1 confluiscono nell'organico dell'autonomia, costituendone i posti per il potenziamento”. I richiamati commi 7 e 85 fanno riferimento all’impiego dei posti di potenziamento al fine di favorire il potenziamento di determinate competenze ovvero di sostituire i docenti assenti fino a dieci giorni, senza che in nessun caso vengano in considerazione esigenze specificamente legate all’IRC; - la Tabella 1 che fa riferimento ai soli posti comuni e di sostegno. Che i posti di IRC siano esclusi dall’organico di potenziamento emerge del resto anche dal fatto che la nota annuale sulle dotazioni organiche (per l’anno scolastico 2025/2026 si fa riferimento al prot. n. 93862 del 17/04/2025) recita: “Le attività di potenziamento introdotte dalla L. 107/2015, finalizzate al raggiungimento di obiettivi formativi individuati come prioritari, sono da ritenersi comuni a tutti gli alunni e quindi, analogamente a quanto avviene per quelle curriculari, devono restare estranee alle attività alternative all’insegnamento della Religione cattolica.” Se così è, non possono essere previsti neppure posti di potenziamento di IRC perché le attività di potenziamento devono essere, in principio, rivolte indistintamente a tutti gli alunni. Alla luce di quanto riportato, si conferma pertanto che non è prevista la possibilità di destinare un posto di IRC o parte di esso alle attività organizzative di cui all’art. 25, c. 5 del D.Lgs. n. 165/2001 (collaborazione con il dirigente scolastico), data l’assenza di un organico di potenziamento corrispondente.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 12/06/2025
In premessa va ricordato che le Pubbliche Amministrazioni fanno fronte ai propri fabbisogni mediante le risorse umane di cui dispongono al proprio interno, nel rispetto dei principi di efficienza, imparzialità e buon andamento di cui all’art. 97 della Costituzione. Pertanto, in materia di incarichi aventi a oggetto attività aggiuntive, le istituzioni scolastiche sono chiamate a espletare specifiche procedure di individuazione delle figure richieste nel rispetto dei principi generali di trasparenza, pubblicità, parità di trattamento, buon andamento ed economicità dell’azione amministrativa, utilizzando in primis le risorse umane di cui sono dotate al fine di soddisfare i propri fabbisogni. Solo in caso di accertata impossibilità di ricorrere a tali risorse, l’articolo 7, comma 6 del D.lgs. n. 165/2001 prevede il conferimento di contratti di lavoro autonomo a personale esterno. Il Quaderno 3 MIM recante “Istruzioni per l'affidamento di incarichi individuali” – pubblicato in versione aggiornata il 5 giugno 2025 – riporta il medesimo quadro regolatorio di riferimento. A esso aggiunge le previsioni di cui agli articoli 35 e 57 del CCNL del comparto scuola del 29 novembre 2007, non abrogati né sostituiti dal CCNL del comparto “Istruzione e ricerca” 2019-2021 del 18 gennaio 2024. Si fa riferimento alle cosiddette “collaborazioni plurime” con personale di altre istituzioni scolastiche statali alle quali le istituzioni scolastiche possono ricorrere in assenza o in mancanza di disponibilità di particolari competenze professionali per la realizzazione di specifici progetti all’interno del loro personale. Non sfuggono a tale quadro le procedure sugli incarichi conferiti nell’ambito delle linee di investimento del PNRR. Infatti, le “Istruzioni operative” su ciascuna di esse, comprese quelle relative al D.M. n. 65/2023 pubblicate il 15 novembre 2023 con prot. n. 132935, riportano che “Il personale necessario ed essenziale allo svolgimento delle attività di progetto, in qualità di formatore o esperto in possesso delle relative competenze, deve essere individuato dalle scuole, soggetti attuatori degli interventi, nel rispetto dei principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, pubblicità, assenza di conflitto di interessi, attraverso procedure selettive. […] In caso di incarichi aggiuntivi da conferire al personale interno individuato, gli stessi dovranno essere conferiti nel rispetto della parte normativa dei CCNL vigenti di riferimento per ciascuna figura operante nella scuola ed essere autorizzate sulla base delle norme vigenti.” Ciò è confermato anche nei “Chiarimenti e FAQ” sulle azioni di potenziamento delle competenze STEM e multilinguistiche del 28 febbraio 2024 (prot. n. 30662), in particolare nel secondo periodo della FAQ n. 7: “[…] Nel caso in cui l’istituzione scolastica intenda, invece, procedere all’affidamento di un incarico individuale, la procedura sarà soggetta alle regole generali in materia di pubblico impiego, effettuando una ricognizione circa la sussistenza o meno di professionalità interne, prima di ricorrere ad altro personale, ai sensi dell’art. 7, comma 6, del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165.” In nessun documento di accompagnamento alle procedure del PNRR è contemplata l’eventualità di incarichi conferiti a personale a tempo determinato per il cui svolgimento si possa esondare in termini temporali la durata del contratto di lavoro. In assenza di disposizioni derogatorie in materia, l’applicazione di quanto riportato sull’iter per il conferimento degli incarichi fornisce la risposta al quesito. Infatti, l’individuazione del personale ATA in oggetto è avvenuta nel periodo in cui esso godeva del requisito di “interno”, condizione essenziale per la sua partecipazione agli avvisi relativi all’investimento 3.1 del PNRR. Ovviamente, fin quando gli incarichi conferiti prevedono lo svolgimento di attività funzionali alla realizzazione del progetto entro il 30 giugno non sussiste alcun problema di legittimità degli stessi. Tuttavia, nel momento in cui il contratto di lavoro termina, il personale decade dagli incarichi poiché perde il requisito di “interno” sulla base del quale era stato individuato e non è possibile dare prosecuzione ai medesimi incarichi mutando automaticamente disposizioni destinate a personale interno in atti riservati a personale esterno all’Amministrazione. In buona sostanza, il personale individuato tramite avviso interno è destinatario di lettere di incarico mentre con il personale esterno selezionato dall’istituzione scolastica tramite procedure di cui all’articolo 7, comma 6 del D.lgs. n. 165/2001 vengono stipulati contratti di prestazione d’opera. La trasformazione “tout court” degli incarichi in detti contratti ai medesimi soggetti transitati dalla condizione di “personale interno” a quella di “personale esterno” si configura, a parere della redazione, quale violazione delle procedure per il conferimento di incarichi individuali previste dalla normativa vigente e dei principi a essa sottesi. Pertanto, il personale ATA dovrà completare le ore assegnategli entro il termine del 30 giugno. Diversamente, gli saranno retribuite solo quelle espletate sino a tale data. Qualora l’istituzione scolastica dovesse poi trovarsi nella necessità di conferire ulteriori incarichi, dovrà percorrere il canonico iter: 1) ricognizione del personale interno; 2) “collaborazioni plurime”, ove possibile, ai sensi dell’articolo 57 del CCNL Comparto Scuola del 29 novembre 2007; 3) nel caso in cui le procedure sub 1) e 2) abbiano dato esito negativo, affidamento di un contratto di lavoro autonomo, ai sensi dell’art. 7, comma 6, del D.lgs. n. 165/2001, al personale dipendente di altra Pubblica Amministrazione ( passaggio non obbligatorio) oppure al personale esterno.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 12/06/2025
Dovendo stipulare un contratto di assicurazione triennale di importo annuale di circa 4.500,00 € (per un totale nel triennio di circa 13.500,00€)...
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 12/06/2025
Il CCNL del comparto “Istruzione e Ricerca” 2019-2021, sottoscritto il 18 gennaio 2024, non ha innovato alcunché circa l’aspettativa per altra attività lavorativa. Dunque, risulta tuttora vigente quanto disposto dall’art. 18, c. 3 del CCNL comparto scuola 2007 che difatti non è stato abrogato dall’ultimo contratto collettivo nazionale. La disposizione citata stabilisce: "Il dipendente è inoltre collocato in aspettativa, a domanda, per un anno scolastico senza assegni per realizzare, l’esperienza di una diversa attività lavorativa o per superare un periodo di prova". Essa limita la durata di questa specifica tipologia di aspettativa a "un anno scolastico". Non sono previsti proroga o rinnovo per le medesime finalità. Pertanto, l'aspettativa concessa alla dipendente per svolgere altra attività lavorativa non può essere prorogata oltre tale termine (ovvero il 31 agosto di ciascun anno). Ciò è stato confermato da ARAN il quale, con l'Orientamento Applicativo SCU_100 del 1° agosto 2016, ha precisato in merito all'aspettativa di cui all’art. 18, c. 3 del CCNL 2007 per svolgimento di altra attività lavorativa che: - è senza retribuzione; - risulta concedibile al massimo per un anno scolastico; - può essere richiesta anche per un più breve periodo ma comunque esaurirà i suoi effetti alla fine dell’anno scolastico; - una volta fruita, anche se per un periodo inferiore all’anno scolastico, non può essere prorogata. È importante notare che altre tipologie di aspettativa pur previste dall’art. 18 citato – come quelle per motivi di famiglia o personali, regolate dagli artt. 69 e 70 del D.P.R. n. 3/1957 a cui rinvia l'art. 18, c. 1 del CCNL 2007 – hanno presupposti diversi e sono incompatibili con lo svolgimento di altra attività lavorativa. L'aspettativa per motivi di famiglia o personali, infatti, non comporta la sospensione del rapporto di impiego, ma soltanto la sospensione dell'obbligo di prestare servizio e di quelli a esso connessi, rimanendo fermi tutti gli altri e, in particolare, l’obbligo di non svolgere attività professionali incompatibili (T.A.R. Roma Lazio sez. III 04 gennaio 2006 n. 73). Per quanto concerne la questione della compatibilità con altra attività lavorativa l’ARAN, in merito ad un quesito inerente il comparto Enti Locali – applicabile analogicamente anche al comparto scuola – sulla possibilità del dipendente di poter svolgere attività lavorativa durante un periodo di aspettativa ha precisato: “Nessuna norma contrattuale consente, (o potrebbe consentire) al dipendente di poter instaurare un secondo rapporto di lavoro o lo svolgimento comunque, di altra attività di lavoro autonomo, anche di natura libero professionale, durante la fruizione di periodi di aspettativa senza diritto alla retribuzione previsti dall’art. 11 del CCNL del 14.9.2000. Il primo rapporto, infatti, con tutte le situazioni soggettive che vi sono connesse (ivi comprese le incompatibilità) sussiste ancora anche se in una fase di sospensione delle reciproche obbligazioni. […]” Né a rigore risulterebbe applicabile, nel caso di specie, l’art. 23-bis, c. 1 del D.Lgs. n. 165/2001, a mente del quale: “1. In deroga all'articolo 60 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ivi compresi gli appartenenti alle carriere diplomatica e prefettizia e, limitatamente agli incarichi pubblici, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato sono collocati, salvo motivato diniego dell'amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale. Resta ferma la disciplina vigente in materia di collocamento fuori ruolo nei casi consentiti. Il periodo di aspettativa comporta il mantenimento della qualifica posseduta. È sempre ammessa la ricongiunzione dei periodi contributivi a domanda dell'interessato, ai sensi della legge 7 febbraio 1979, n. 29, presso una qualsiasi delle forme assicurative nelle quali abbia maturato gli anni di contribuzione. Quando l'incarico è espletato presso organismi operanti in sede internazionale, la ricongiunzione dei periodi contributivi è a carico dell'interessato, salvo che l'ordinamento dell'amministrazione di destinazione non disponga altrimenti.” Il successivo comma 4 aggiunge: “Nel caso di svolgimento di attività presso soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche, il periodo di collocamento in aspettativa di cui al comma 1 non può superare i cinque anni, è rinnovabile per una sola volta e non è computabile ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza.” Infatti, Il Dipartimento della Funzione Pubblica, con il Parere n. 7147 del 3 febbraio 2021, pubblicato in data 8 marzo 2021, ha fornito chiarimenti in merito al fatto se – alla luce delle previsioni dell’art. 23-bis del D.Lgs. n. 165/2001 – sia possibile concedere al pubblico dipendente l’aspettativa per lo svolgimento di altra attività lavorativa in forza di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato presso altra pubblica amministrazione od organizzazione privata. La Funzione Pubblica, dopo aver ricordato che è vigente nel nostro ordinamento il divieto di cumulo di impieghi pubblici posto dall’art. 65 del DPR n. 3/1957, ha specificato che, a ragione della sua specialità, l’aspettativa in questione può trovare applicazione esclusivamente in termini di residualità rispetto ad altri istituti previsti da norme di rango legislativo disciplinanti in dettaglio le ipotesi in cui il dipendente pubblico può prestare servizio per un’amministrazione diversa da quella nei cui ruoli è inquadrato e che, comunque, è subordinata alla previa valutazione dell’esigenze organizzative e funzionale al perseguimento di obiettivi di crescita professionale del dipendente interessato. Secondo il Dipartimento, dunque, l’aspettativa di cui all’art. 23-bis del D.Lgs. n. 165/2001 costituisce una deroga del principio dell’esclusività del lavoro alle dipendenze dell’amministrazione. In assenza di previsioni espresse sul rapporto con il divieto generale di cumulo degli impieghi, la Funzione Pubblica ritiene così che tale aspettativa non sia utilizzabile nell’ipotesi di instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato con altra amministrazione conseguente al positivo esperimento di procedure a carattere selettivo. La ratio sottesa alla norma, ossia quella di favorire lo sviluppo di esperienze lavorative più articolate da parte dei dipendenti pubblici, dovrebbe riferirsi a situazioni e contesti contigui ma non identici, in modo tale da generare esperienze professionali diverse non altrimenti conseguibili nell’organizzazione di provenienza. La previsione normativa, che pone a carico del soggetto presso cui è svolta la diversa esperienza lavorativa gli oneri relativi al trattamento previdenziale, è sintomatica dell’applicabilità dell’istituto in situazioni non coperte da discipline già tipizzate che consentono il lavoro presso altre amministrazioni. Alla luce di quanto precede, si può sostenere che: - l’aspettativa ex art. 18, c. 3 del CCNL comparto scuola non può essere prorogata oltre il 31 agosto prossimo; - la dipendente non può fruire di aspettativa per motivi personali poiché essa è incompatibile con lo svolgimento di altra attività lavorativa in forza di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato; - in via prudenziale e onde non incorrere in rilievi della RTS, alla luce del citato parere del Dipartimento della Funzione Pubblica, il dirigente può valutare la concessione dell’aspettativa ex art. 23-bis D.Lgs. n. 165/2001 solo dopo interlocuzione anche informale con la stessa RTS e l’acquisizione di ulteriori elementi che possono deporre per un “superamento” della posizione del suddetto Dipartimento.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 12/06/2025
Avrei bisogno di un parere in merito ad una docente che è entrata di ruolo per concorso ordinario ai fini giuridici il 01/09/2024...
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 12/06/2025
In base a quanto riportato nel quesito, la questione della necessità di un docente di sostegno per il collegio perfetto, in relazione a questo studente, è secondaria, poiché la sua assenza prolungata e il superamento del limite di frequenza che di solito è il 25% del monte ore annuale personalizzato, rendono l'anno scolastico non valido ai fini della scrutinabilità. La normativa scolastica (in particolare il DPR 122/2009, art. 14, comma 7) è chiara: la validità dell'anno scolastico ai fini della valutazione finale di ciascun studente è subordinata alla frequenza di almeno tre quarti del monte ore annuale personalizzato. Il mancato rispetto di questo limite, a meno di deroghe eccezionali e motivate deliberate dal collegio docenti, comporta l'esclusione dallo scrutinio finale. Anche se l'alunno ha una disabilità e un PEI, la norma sulla frequenza rimane applicabile. Il PEI definisce gli obiettivi e le metodologie didattiche per l'alunno con disabilità, ma non esonera dal rispetto delle regole generali sulla validità dell'anno scolastico legate alla frequenza. L'assenza totale rende impossibile qualsiasi processo di valutazione degli apprendimenti previsti dal PEI. A questo punto, a parere dello scrivente, non è necessario nominare un docente di sostegno specifico per lo scrutinio della classe o dell'alunno con disabilità se non è presente un docente di sostegno di ruolo o incaricato per quell'alunno al momento dello scrutinio. Sebbene il principio del "collegio perfetto" vige anche in questo caso, occorre precisare che il collegio perfetto si riferisce alla necessità che il consiglio di classe sia costituito da tutti i docenti titolari delle discipline per la validità delle operazioni di scrutinio. L'assenza di un docente di sostegno, qualora non fosse mai stato assegnato o se si è assentato e non è stato sostituito, non invalida di per sé lo scrutinio del consiglio di classe, purché il consiglio sia regolarmente costituito con la presenza di tutti i docenti delle discipline curricolari. Occorre anche ricordare che in caso di assenza prolungata di uno studente con disabilità il dirigente scolastico ha l’obbligo di segnalare la mancata frequenza del ragazzo all’ufficio inclusione dell’UST di competenza, il quale avrebbe valutato la possibilità di confermare il docente di sostegno nella stessa scuola se vi dovessero essere altri studenti con disabilità o di trasferirlo presso altre sedi. In sintesi, per lo scrutinio dell'alunno e della classe, il consiglio di classe è l'organo competente. L'assenza del docente di sostegno, se non dovuta a cause che inficiano la regolarità del consiglio di classe, non rende nullo lo scrutinio.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 11/06/2025
La rettificazione dell'attribuzione di sesso è disciplinata dalla Legge 14 aprile 1982, n. 164. Essa consente di modificare i propri dati anagrafici relativi al sesso e al nome per allinearli alla propria identità di genere. La rettificazione avviene in forza di una sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisce a una persona un sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita, a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali (art. 1 della Legge n. 164/1982). La sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso non ha effetto retroattivo (art. 4 della Legge n. 164/1982). Tuttavia, l'accoglimento della domanda di rettificazione consente l'aggiornamento dei documenti relativi alla persona. L'articolo 5 della Legge n. 164/1982 dispone infatti: “Le attestazioni di stato civile riferite a persona della quale sia stata giudizialmente rettificata l'attribuzione di sesso sono rilasciate con la sola indicazione del nuovo sesso e nome.” Una volta ottenuta la sentenza, la persona può aggiornare documenti come carta d'identità, passaporto e tessera sanitaria per riflettere il nuovo genere. Alla luce di quanto precede, si evidenzia che: - i documenti prodotti al momento dell'immissione in ruolo (titolo di studio, relazione sull'anno di prova, conferma in ruolo) riportano legittimamente i dati anagrafici che la docente aveva in quel periodo, coerenti con lo stato civile antecedente alla rettificazione. La sentenza di rettificazione non comporta l’annullamento di quegli atti e provvedimenti, ma stabilisce che la persona a cui si riferiscono è ora legalmente riconosciuta con un sesso e un nome diversi; - per gestire correttamente la discordanza anagrafica e comprovare alla RTS che la persona indicata nei documenti antecedenti alla rettificazione è la stessa persona per cui si inoltra la ricostruzione di carriera, è necessario fornire il collegamento giuridico tra le due identità. Questo collegamento è rappresentato dalla sentenza del tribunale che ha disposto la rettificazione; Pertanto, per la pratica di ricostruzione carriera, oltre ai documenti storici (con i dati anagrafici precedenti) e ai documenti attuali della docente (con i nuovi dati anagrafici), la documentazione essenziale da acquisire e allegare per chiarire la situazione alla RTS è la copia conforme della sentenza del tribunale che ha pronunciato la rettificazione di attribuzione di sesso. Questa sentenza è l'atto giuridico che attesta che la persona, precedentemente identificata con determinati dati anagrafici, è ora legalmente riconosciuta con i nuovi dati anagrafici a seguito del procedimento di rettificazione. La sentenza costituisce, cioè, un "ponte" tra le due identità presenti negli atti trasmessi dalla istituzione scolastica. In sintesi, la normativa italiana prevede e regola la rettificazione del sesso tramite sentenza che comporta l'aggiornamento dei dati anagrafici su tutti i documenti ufficiali. Per gestire la pratica di ricostruzione carriera, è necessario trasmettere la sentenza di rettificazione per dimostrare che la persona a cui si riferiscono i documenti storici è la stessa persona con la nuova identità legale. Allegare la sentenza, insieme ai documenti storici e ai documenti aggiornati, fornisce alla RTS il quadro completo e giustifica la discordanza anagrafica in modo corretto e giuridicamente fondato. Ovviamente, come previsto nel provvedimento del Garante della Privacy n. 1/2016 circa le “Prescrizioni relative al trattamento di categorie particolari di dati nei rapporti di lavoro”, “i documenti che contengono categorie particolari di dati, ove debbano essere trasmessi ad altri uffici o funzioni della medesima struttura organizzativa in ragione delle rispettive competenze, devono contenere esclusivamente le informazioni necessarie allo svolgimento della funzione senza allegare, ove non strettamente indispensabile, documentazione integrale o riportare stralci all’interno del testo. A tal fine dovranno essere selezionate e impiegate modalità di trasmissione della documentazione che ne garantiscano la ricezione e il relativo trattamento da parte dei soli uffici o strutture organizzative competenti e del solo personale autorizzato”. Si abbia cura infine di verificare l’informativa circa il trattamento dei dati personali dei dipendenti al fine di allinearla eventualmente al caso di specie, previa interlocuzione con il DPO.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 11/06/2025
In base al calendario degli Esami, è già noto che un docente di sostegno non potrà partecipare agli esami orali della classe III a cui è assegnato...
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 11/06/2025
Una studentessa ha svolto l’anno scolastico all’estero: al suo rientro il C.D.C. ha provveduto al colloquio con la studentessa e ad esaminare...
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 11/06/2025
L’accesso agli atti e documenti afferenti alla gestione e vita scolastica dei propri figli è caratterizzato da un interesse qualificato “in re ipsa”, derivante dalla natura stessa del documento e dalla riconducibilità al proprio figlio minore. La richiesta di copia delle deleghe al ritiro del figlio, depositate a scuola dall’altro genitore, rientra tra le azioni di vigilanza sulla vita del figlio stesso e come tale legittima, posta comunque l'incontestabilità della scelta operata, nel caso di atti di ordinaria amministrazione, in cui ciascun genitore è libero di autodeterminarsi nella gestione quotidiana del figlio. E' questo il caso della delega al ritiro da scuola del figlio, nei cui riguardi ciascun genitore, pur non potendo impedire o limitare le deleghe rimesse a terzi dall'altro genitore, ha pieno diritto a conoscerle. Va considerato infatti che in base all’art.316 Cod.Civ. anche il genitore “che non esercita la responsabilità genitoriale vigila sull'istruzione, sull'educazione e sulle condizioni di vita del figlio”. In tale contesto i genitori non assumono la qualità di controinteressati, specie considerando la definizione che di controinteressato offre la L.241/1990 all’art.22 comma 1 lett.c) come “tutti i soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza”. Appare evidente che i due genitori non possono tra loro opporre vincoli di riservatezza su atti che riguardano il loro figlio, del quale entrambe esercitano congiuntamente la responsabilità genitoriale. Neppure sembra possibile da parte della scuola un'eccezione relativa alle motivazioni addotte nella richiesta di accesso o all’estraneità della richiesta alle procedure amministrative e alle finalità dell'istituto, in quanto la valutazione dell’accoglibilità della richiesta deve aver riguardo all’interesse qualificato o meno dell’istante. Per quanto emerge nel quesito, non sembrano sussistere ragioni di rifiuto neppure connesse alla lite giudiziaria in atto tra i due genitori.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 11/06/2025
Si ritiene utile richiamare in premessa le disposizioni che regolano attualmente le operazioni di scrutinio finale nella scuola secondaria di primo grado. In base all’art. 6, cc. 1 e 2, D.lgs. n. 62/2017, “1. Le alunne e gli alunni della scuola secondaria di primo grado sono ammessi alla classe successiva e all'esame conclusivo del primo ciclo, salvo quanto previsto dall'articolo 4, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249 e dal comma 2 del presente articolo". E il comma 2: “Nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline, il consiglio di classe può deliberare, con adeguata motivazione, la non ammissione alla classe successiva o all'esame conclusivo del primo ciclo.” Il MIUR poi, con nota prot. n. 1865 del 10/10/2017, ha precisato inoltre: “AI fine di garantire equità e trasparenza, il collegio dei docenti delibera i criteri e le modalità di valutazione degli apprendimenti e del comportamento che vengono inseriti nel PTOF e resi pubblici, al pari delle modalità e dei tempi della comunicazione alle famiglie. In particolare, considerata la funzione formativa di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo, il collegio dei docenti esplicita la corrispondenza tra le votazioni in decimi e i diversi livelli di apprendimento (ad esempio definendo descrittori, rubriche di valutazione, ecc.). Definisce, altresì, i criteri generali per la non ammissione alla classe successiva e all'esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione nel caso di voto inferiore a 6/10 in una o più discipline. […] L'articolo 6 del decreto legislativo n. 62/2017 interviene sulle modalità di ammissione alla classe successiva per le alunne e gli alunni che frequentano la scuola secondaria di primo grado. L'ammissione alle classi seconda e terza di scuola secondaria di primo grado è disposta, in via generale, anche nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline. Pertanto, l’alunno viene ammesso alla classe successiva anche se in sede di scrutinio finale viene attribuita una valutazione con voto inferiore a 6/10 in una o più discipline da riportare sul documento di valutazione. A seguito della valutazione periodica e finale, la scuola provvede a segnalare tempestivamente ed opportunamente alle famiglie delle alunne e degli alunni eventuali livelli di apprendimento parzialmente raggiunti o in via di prima acquisizione e, nell'ambito della propria autonomia didattica ed organizzativa, attiva specifiche strategie e azioni che consentano il miglioramento dei livelli di apprendimento. In sede di scrutinio finale, presieduto dal dirigente scolastico o da suo delegato, il consiglio di classe, con adeguata motivazione e tenuto conto dei criteri definiti dal collegio dei docenti, può non ammettere l'alunna o l'alunno alla classe successiva nel caso di parziale o mancata acquisizione dei livelli di apprendimento in una o più discipline (voto inferiore a 6/10). La non ammissione viene deliberata a maggioranza; il voto espresso nella deliberazione di non ammissione dall'insegnante di religione cattolica o di attività alternative - per i soli alunni che si avvalgono di detti insegnamenti - se determinante per la decisione assunta dal consiglio di classe diviene un giudizio motivato iscritto a verbale.” Dalla descrizione del quesito si evince che il docente, in sede di scrutinio finale, ha espresso una valutazione positiva relativamente alla materia insegnata. Sulla base delle valutazioni nelle altre materie il dirigente scolastico o il suo delegato, in riferimento ai “criteri e modalità di valutazione degli apprendimenti e del comportamento” deliberati dal collegio e inseriti nel PTOF e tenendo conto delle opinioni espresse in merito dai docenti nell’esame del caso, ha proposto con “adeguata motivazione” alla delibera consiliare la “non ammissione”. A questo punto tutti i docenti del consiglio sono stati chiamati a esprimersi con un voto sulla predetta motivata proposta di “non ammissione”. Quindi il voto (favorevole o contrario) era relativo al particolare contenuto della proposta (nel nostro caso di non ammissione) e non già alle risultanze dell’alunno nella materia di ciascun docente; e il docente in questione poteva (come ha fatto) condividere la proposta di non ammissione anche se l’alunno, nella sua materia, aveva riportato una valutazione sufficiente. Se tutti i passaggi procedurali di cui sopra sono stati seguiti correttamente e riportati con precisione nel verbale non ci sono dubbi sulla legittimità della delibera anche nel caso in cui il voto del docente in questione sia risultato determinante.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 11/06/2025
La Nota n. 105914 del 7 maggio 2025 del Ministero dell'Istruzione e del Merito chiarisce le modalità di applicazione del Decreto Ministeriale n. 32 del 26 febbraio 2025 al fine di assicurare la continuità didattica degli studenti con disabilità. L'articolo 2 del citato decreto ministeriale stabilisce che il dirigente scolastico valuta la sussistenza delle condizioni per procedere alla conferma del docente nell'interesse del discente. Analizziamo nel dettaglio gli aspetti procedurali per la riconferma del docente di sostegno: • acquisizione della richiesta da parte delle famiglie degli alunni con disabilità certificata entro il 31 maggio 2025 • valutazione della sussistenza delle condizioni per procedere alla conferma del docente, anche sentendo il GLO con riferimento alla specifica situazione dell’alunno e della classe, da comunicare all’USR, alla famiglia e al docente entro il 15 giugno • espressa manifestazione di consenso alla conferma da parte del docente interessato. Fatta questa premessa occorre tener presente che sussiste una sorta di bilanciamento tra il diritto del docente all'assenza per motivi legittimi (maternità, congedo parentale, malattia, Legge 104/92) e il diritto dello studente con disabilità alla continuità didattica che è l'obiettivo primario della normativa. Nonostante la formulazione della norma ponga l'accento sulla valutazione del dirigente scolastico e sull'interesse del discente, non esistono indicazioni esplicite che permettano al dirigente di negare la conferma di un docente a tempo determinato su posto di sostegno esclusivamente a causa di assenze dovute a motivi riconosciuti dal contratto di lavoro e normativamente tutelati, anche se queste assenze portano a una presenza limitata nell'arco dell'anno scolastico. Oltretutto si osserva che il Decreto Ministeriale e la relativa Nota ministeriale non specificano una percentuale minima di presenza in servizio come condizione per la conferma. La valutazione del dirigente deve essere orientata a garantire la migliore offerta formativa per lo studente, considerando tutti gli elementi in presi in esame. Per quanto riguarda il GLO (Gruppo di Lavoro Operativo), la normativa attribuisce al GLO il compito di formulare una proposta in merito alla richiesta di continuità. Se il GLO valutata la sussistenza delle condizioni per procedere alla conferma del docente, anche con riferimento alla specifica situazione dell’alunno e della classe formula il proprio parere favorevole, il dirigente scolastico può procedere alla conferma del docente di sostegno. Inoltre spetta al dirigente scolastico inserire all’ordine del giorno del GLOI l’analisi della situazione del docente di sostegno che potrebbe essere riconfermato sullo stesso alunno con disabilità e richiedere durante la riunione il loro parere. Pertanto negare la conferma basandosi unicamente sull'assenza dovuta a maternità, congedo parentale o malattia, a fronte di una richiesta di continuità della famiglie e in assenza di un parere sfavorevole del GLO, potrebbe esporre l'amministrazione a ricorsi legali per discriminazione o per violazione di diritti tutelati dalla legge. In sintesi, sebbene la decisione finale spetti al dirigente scolastico, la sua discrezionalità deve essere esercitata nel rispetto delle normative vigenti che tutelano i diritti dei lavoratori. La priorità è la continuità didattica, ma questa non può essere perseguita a discapito dei diritti del docente, altrimenti si rischia un ricorso davanti al giudice del lavoro che vedrebbe la scuola perdente.
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 10/06/2025
Assenza docente esami di stato del primo ciclo. La docente insegna scienze in due terze. Non sarà presente agli orali...
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 10/06/2025
Per quanto riguarda la formazione: - il c. 4 dell’art. 44 del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021 stabilisce che: “Fermo restando che le ore di cui alle lettere a) e b) del comma 3 sono prioritariamente destinate alle attività collegiali ivi indicate, le ore non utilizzate a tal fine sono destinate, nei limiti di cui alle lett. a) e b), alle attività di formazione programmate annualmente dal collegio docenti con il PTOF”; - il c. 7 dell’art. 36 del medesimo CCNL precisa poi che “Per il personale docente, la formazione avviene in orario non coincidente con le ore destinate all’attività di insegnamento di cui all’art. 43 (Attività dei docenti). Le ore di formazione ulteriori rispetto a quelle di cui all’art. 44, comma 4 (Attività funzionali all’insegnamento) sono remunerate con compensi, anche forfettari stabiliti in contrattazione integrativa, a carico del fondo per il miglioramento dell’offerta formativa di cui all’art. 78.” Ciò significa che le ore di formazione programmate dal collegio docenti nel PTOF confluiscono nelle 40 ore+40 ore, con obbligo di remunerazione a carico dell’istituzione scolastica di quelle eventualmente eccedenti, anche con compensi forfettari stabiliti in sede di contrattazione integrativa di istituto. In altri termini, se i percorsi di formazione vengono inseriti nel piano triennale dell’offerta formativa, di essi si può imporre la frequenza fino a concorrenza delle 40 ore+40 ore. Oltre questo monte orario annuo, la formazione per il personale docente diviene volontaria (come accade con tutte le attività aggiuntive); tuttavia, se effettuata, deve essere remunerata anche con compensi stabiliti in misura forfetaria come previsto dal c. 7 dell’art. 36 citato. Se invece i percorsi formativi non sono stati inseriti nel PTOF, a rigore viene meno la possibilità di imporne la frequenza fino a concorrenza delle 40 ore+40 ore ma anche e parimenti l’obbligo di prevedere una remunerazione della formazione svolta in eccedenza, secondo quanto previsto dall’art. 36, c. 7, CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021. Dunque: se le ore di formazione di cui al quesito sono state inserite nel PTOF – come pare evincersi dal quesito – esse risultano obbligatorie e il dirigente può esigerne l’effettuazione. A fronte del mancato svolgimento della formazione dovuta, non sorretto da alcun legittimo impedimento, quest’ultimo deve procedere sia alla decurtazione del compenso per le ore relative sia all’avvio del procedimento disciplinare, previa richiesta di chiarimenti scritti ai docenti coinvolti. Infatti, la mancata effettuazione di attività funzionali obbligatorie rileva sotto entrambi i profili: come violazione dei doveri inerenti alla funzione docente ex art. 493 D.Lgs. n. 297/1994 (T.U. Istruzione) e come mancata prestazione lavorativa che implica la ripetizione dell’indebita retribuzione percepita. Si consiglia pertanto, come accade ogniqualvolta non venga prestata l’attività lavorativa dovuta, di richiedere chiarimenti scritti, assegnando a tal fine ai docenti coinvolti un breve lasso di tempo per fornirli (non più di 5 giorni). Se la mancata frequenza dei corsi di formazione deliberati dal collegio non è sorretta – come detta – da alcun legittimo impedimento, competono al dirigente sia l’azione disciplinare sulla base dell’art. 493 T.U. Istruzione sia la decurtazione stipendiale corrispondente alle ore non prestate. Ovviamente, è sempre possibile, da parte dei docenti inadempienti, ottemperare all’obbligo formativo entro il termine dell’anno scolastico (31 agosto prossimo).
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 10/06/2025
A partire dall'anno scolastico 2024/2025: - il comportamento degli alunni della scuola secondaria di primo grado è valutato con un voto in decimi ex art. 2, c. 5 del D.Lgs. n. 62/2017, come modificato dall’art. 1, c. 1, lettera a2) della legge n. 150/2024. In precedenza, la valutazione del comportamento era espressa con un giudizio sintetico; - il voto in decimi attribuito dal consiglio di classe al comportamento, in sede di scrutinio finale, si riferisce all'intero anno scolastico (art. 5, c. 2 dell’O.M. n. 3/2025); - il voto di comportamento inferiore a sei decimi nello scrutinio finale comporta la non ammissione dell'alunno alla classe successiva o all'esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione (cfr. artt. 6, c. 2-bis del D.Lgs. n. 62/2017 e 5, c. 3 dell’O.M. n. 3/2025). Esso è cioè determinante ai fini dell’ammissione alla classe successiva e all’esame di Stato. Per quanto riguarda il quesito relativo alla media dei voti e, in particolare, se il voto di comportamento concorra a detta media nella scuola secondaria di primo grado, occorre considerare che, se è pur vero che la valutazione periodica e finale degli apprendimenti nelle discipline di studio è espressa con voti in decimi, l’unico riferimento normativo alla media dei voti è contenuto nelle disposizioni relative all’esame di Stato conclusivo del primo ciclo di istruzione. Infatti, l’art. 8, cc. 7 e 8, D.Lgs. n. 62/2017 – il cui contenuto risulta replicato nell’art. 13 del D.M. n. 741/2017 – stabilisce che: “7. La commissione d'esame delibera, su proposta della sottocommissione, la valutazione finale complessiva espressa con votazione in decimi, derivante dalla media, arrotondata all'unità superiore per frazioni pari o superiori a 0,5, tra il voto di ammissione e la media dei voti delle prove e del colloquio di cui al comma 3. L'esame si intende superato se il candidato consegue una votazione complessiva di almeno sei decimi. 8. La valutazione finale espressa con la votazione di dieci decimi può essere accompagnata dalla lode, con deliberazione all'unanimità della commissione, in relazione alle valutazioni conseguite nel percorso scolastico del triennio e agli esiti delle prove d'esame.” Il voto di ammissione all'esame conclusivo del primo ciclo, per contro, è sì espresso in decimi dal consiglio di classe, ma considerando il percorso scolastico compiuto dall'alunna o dall'alunno (cfr. art. 6, c. 5 del D.Lgs. n. 62/2017). L’art. 2, cc. 4 e 5 del D.M. n. 741/2017 specifica, a questo riguardo: “4. In sede di scrutinio finale il consiglio di classe attribuisce alle alunne e agli alunni ammessi all'esame di Stato, sulla base del percorso scolastico triennale e in conformità con i criteri e le modalità definiti dal collegio dei docenti inseriti nel piano triennale dell'offerta formativa, un voto di ammissione espresso in decimi, senza utilizzare frazioni decimali, anche inferiore a sei decimi. 5. Il voto di ammissione concorre alla determinazione del voto finale d'esame nei termini di cui al successivo articolo 13.” Ciò significa che, dal punto di vista normativo, l’unica media che deve effettuarsi è tra il voto di ammissione e la media dei voti delle singole prove dell’esame di Stato. Il voto di ammissione allo stesso non è a sua volta l’automatica risultante della media dei voti riportati dallo studente nello scrutinio finale della classe terza, bensì la risultante di una valutazione del percorso scolastico triennale compiuta alla luce dei criteri e delle modalità definiti dal collegio dei docenti e inseriti nel PTOF. Si è ben consapevoli che spesso i collegi dei docenti non deliberano sul punto oppure preferiscono rinviare semplicemente alla media dei voti riportati nello scrutinio finale; ciò tuttavia non è strettamente conforme al dettato normativo che richiede una valutazione del “percorso triennale” dell’alunno e non già del solo terzo anno di scuola secondaria di primo grado. In conclusione, il disposto normativo non esplicita se il voto di comportamento concorra alla media dei voti oppure no semplicemente perché tale media, dal punto di vista normativo, non ha rilievo alcuno: ai fini della determinazione del voto di ammissione all’esame di Stato conclusivo del primo ciclo, infatti, spetta al collegio individuare criteri e modalità applicabili, eventualmente (ma non necessariamente) anche a partire dalla media pur senza appiattirsi su di essa e nell’ottica della ricostruzione del percorso triennale dell’alunno. In una simile valutazione, il collegio stesso è dunque libero di attribuire al voto di comportamento il rilievo e il ruolo che ritiene più opportuni – anche quello di farlo concorrere a detta media, anzi se viene presa a riferimento la media è necessario farlo – nell’ottica della valorizzazione delle competenze di cittadinanza, cui lo stesso risulta collegato (cfr. art. 1, c. 3 del D.Lgs. n. 62/2017).
KEYWORDS
Data di pubblicazione: 10/06/2025
Non mi è molto chiaro se, all’interno del percorso della scuola secondaria di secondo grado, l’assegnazione del 6 come voto di comportamento...
KEYWORDS
Se sei abbonato a LexForSchool abbiamo trovato questi contenuti che ti potrebbero interessare:
Questo sito o gli strumenti terzi da questo utilizzati si avvalgono di cookie necessari al funzionamento ed utili alle finalità illustrate nella COOKIE POLICY.
Gentile utente, se vede questo messaggio è possibile che ci sia un problema con l'account che sta utilizzando per accedere a Italiascuola.it.
Per verificare che il suo utente sia abilitato, selezioni l'icona del profilo in alto a destra. L'account sul quale cliccare presenterà l'icona "ITLS" sulla sinistra.
Se l'icona "ITLS" non è presente, significa che il suo utente non è abilitato. Se desidera abbonarsi oppure richiedere il nostro supporto, visiti la sezione "Abbonamenti e Contatti" presente sul sito. Grazie!