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    Data di pubblicazione: 18/09/2025

  • Un dubbio sulla riduzione dell’orario settimanale di servizio da 36 a 35 ore: quali sono le condizioni?
  • La riduzione dell’orario settimanale di servizio da 36 a 35 ore è un beneficio contrattuale riservato al personale ATA, ma subordinato a precise condizioni, stabilite nell’art. 55 del CCNL di comparto del 2007 tuttora vigente. La prima condizione riguarda l’apertura dell’istituto con un orario di servizio giornaliero superiore alle dieci ore per almeno 3 giorni a settimana. Tale condizione è soddisfatta dal fatto che l’istituto è aperto dalle 7.30 alle 23 circa per l’intera settimana. La seconda condizione prevede che il personale ATA sia “adibito a regimi di orario articolati su più turni o coinvolto in sistemi d’orario comportanti significative oscillazioni degli orari individuali, finalizzati all’ampliamento dei servizi all’utenza e/o comprendenti particolari gravosità”. Il verificarsi della condizione richiede pertanto un’accurata valutazione circa l’effettiva onerosità dei turni di lavoro, non facile, soprattutto perché suscettibile di diverse interpretazioni, più o meno di comodo. Il comma 2 dell’art. 55 chiarisce, inoltre, che: “Sarà definito a livello di singola istituzione scolastica il numero, la tipologia e quant’altro necessario a individuare il personale che potrà usufruire della predetta riduzione in base ai criteri di cui al comma 1.”. Su questo comma sono possibili due osservazioni: la prima riguarda il fatto che la riduzione oraria non è subordinata a contrattazione integrativa d’istituto, quindi rientra tra gli atti organizzativi di competenza del dirigente scolastico, anche se sarà opportuno e corretto che sulla questione sia acquisito il parere del DSGA. La seconda riguarda invece la questione della distinzione necessaria tra chi possiede i requisiti per beneficiare della riduzione e chi non li possiede. Succede a volte che gli istituti applichino il beneficio erga omnes, anche per evitare possibili polemiche tra il personale, ma il contratto prevede invece che si distingua tra caso e caso e che l’attribuzione del beneficio sia selettivo. Tutto ciò premesso e appurato che uno dei criteri per l’attribuzione della riduzione oraria è rispettato, diventa necessario valutare se e quale unità di personale sia sottoposto a turnazione (non a flessibilità, che richiede soltanto lo slittamento dei turni di servizio in funzione delle esigenze organizzative dell’istituto) e sia coinvolto in sistemi orari che comportino significative oscillazioni degli orari di lavoro. Se, ad esempio, il collaboratore scolastico addetto ai corsi serali non fosse sottoposto a cambi di turno tra serale e servizio antimeridiano e pomeridiano non potrà usufruire della riduzione oraria. Lo stesso varrà per le altre unità di personale. Lo stesso ragionamento va applicato al personale di segreteria, a seconda degli orari di effettiva apertura degli uffici e della eventuale necessità di far ruotare il personale amministrativo in modo tale da garantire i servizi amministrativi anche nelle ore serali. La turnazione prevede che i turni di servizio cambino su base settimanale o plurisettimanale ed è quindi opportuno che la valutazione avvenga su questa base e che si rilevi l’oggettivo aggravio che l’organizzazione funzionale dell’istituto richiede ad alcune unità di personale. Può succedere che i revisori dei conti, nell’ambito della loro azione di controllo, vadano a verificare anche l’organizzazione dei turni di lavoro del personale ATA; è pertanto opportuno concedere il beneficio contrattuale dopo un serio accertamento delle condizioni che lo giustificano, resistendo, se necessario, alle eventuali pressioni sindacali.

    Data di pubblicazione: 18/09/2025

  • Un docente di scuola secondaria superiore su 18 ore può usufruire del permesso per allattamento in un'unica giornata?
  • Il riposo per allattamento è disciplinato nell’art. 39: “1. Il datore di lavoro deve consentire alle lavoratrici madri, durante il primo anno di vita del bambino, due periodi di riposo, anche cumulabili durante la giornata. Il riposo è uno solo quando l'orario giornaliero di lavoro è inferiore a sei ore. 2. I periodi di riposo di cui al comma 1 hanno la durata di un’ora ciascuno e sono considerati ore lavorative agli effetti della durata e della retribuzione del lavoro. Essi comportano il diritto della donna ad uscire dall’azienda. (…)” La legge, ha riconosciuto alla lavoratrice madre questo diritto, con la precisa finalità di assicurare alla stessa dipendente la possibilità di allattare direttamente il bambino, possibilità che non sussisterebbe qualora la lavoratrice stessa dovesse svolgere il proprio orario di lavoro per l’intera durata giornata di lavoro normalmente previsto. Infatti, lo stesso termine di «riposo» presuppone logicamente che la lavoratrice madre continui ad espletare anche attività lavorativa dopo aver fruito del periodo di riposo. La riduzione d'orario è relativa alla singola giornata lavorativa, per la sua stessa finalità non è possibile cumulare le ore e, se non fruite si perdono, non sono monetizzabili. Il CCNL di comparto vigente, all’art. 34 relativo ai “Congedi dei genitori” diversamente dal congedo parentale non specifica nulla di diverso rispetto alla norma. Ulteriori indicazioni operative sono contenute in diverse circolari INPS (n. 109/2000, n .91/2003, n. 112/2009, n. 118/2009) che si condividono e, a cui si può fare riferimento. Quindi in risposta al quesito, non è possibile per la stessa finalità della legge e per la specifica funzione, non solo a sostegno delle esigenze puramente fisiologiche del minore, ma diretti anche a soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali, cumulare in un unico giorno il previsto riposo.

    Data di pubblicazione: 18/09/2025

  • Vediamo il criterio per l’individuazione delle ore di programmazione da svolgersi nella scuola primaria in caso di part time...
  • Il criterio per l’individuazione delle ore di programmazione da svolgersi nella scuola primaria in caso di part time è indicato nella nota MIM prot. n. 157048 del 09/07/2025 (nel paragrafo “Disposizioni particolari per la scuola primaria”), secondo cui: “Sulla base di quanto previsto dal CCNL di comparto e dall’articolo 2, comma 3, dell’Ordinanza ministeriale, i posti comuni, di sostegno e di educazione motoria della scuola primaria – nonché i corrispondenti spezzoni orari e i posti part-time – che residuino dopo le operazioni relative al personale di ruolo sono integrati con le ore di programmazione da attribuire nei contratti a tempo determinato, entro il limite orario massimo previsto dal CCNL, con l’integrazione di un’ora di programmazione fino a undici ore di insegnamento e due ore fino a ventidue. Non è comunque possibile eccedere complessivamente il numero massimo di due ore di programmazione.” Ciò significa che, se il contratto a tempo parziale prevede lo svolgimento di 20 ore settimanali, le stesse dovranno intendersi come la risultante di 18 ore settimanali di attività di insegnamento oltre 2 ore settimanali di programmazione.

    Data di pubblicazione: 18/09/2025

  • Calcoliamo i permessi ex L. 104/92 spettanti a un dipendente in part-time verticale...
  • Per quanto concerne l’utilizzò dei permessi di cui all’art. 33 comma 3 della legge 104/92, in caso di part-time verticale, la Cassazione, con le Sentenze n. 4069 del 20 febbraio 2018 e n. 22925 del 29 settembre 2017, ha affermato che i tre giorni di permesso non si riproporzionano in caso di part-time superiore al 50%. Ad avviso della Suprema Corte appare ragionevole distinguere l’ipotesi in cui la prestazione di lavoro part-time sia articolata sulla base di un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, da quello in cui comporti una prestazione per un numero di giornate di lavoro inferiori, o addirittura limitata solo ad alcuni periodi nell’anno e riconoscere, solo nel primo caso, stante la pregnanza degli interessi coinvolti e l’esigenza di effettività di tutela del disabile, il diritto alla integrale fruizione dei permessi previsti dall’art. 33 della Legge n. 104/1992. L’ARAN, con l’O.A. CFC34 del 25 novembre 2019, ha affermato che l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 22925/2017, ribadito anche nella sentenza n. 4069 del 20/02/2018, in tema di permessi ex Legge n. 104/1992, per l’autorevolezza della fonte rappresenti un indirizzo applicativo concreto e fattuale. Fermo restando, quindi, il generale obbligo di riproporzionamento nei casi di rapporto di lavoro a tempo parziale, in considerazione della natura di strumento di politica socio-assistenziale del permesso riconosciuto per l’assistenza alla persona con grave disabilità, a parere della Suprema Corte non va operato il riproporzionamento dei tre giorni di permesso ex art. 33 della Legge n. 104/1992 nei confronti del lavoratore con contratto in part-time verticale che effettui prestazione lavorativa per un numero di giornate superiori al 50% rispetto all’ordinario orario lavorativo in regime di full time. L’INPS, con la Circolare n. 45 del 19 marzo 2021, ha fornito chiarimenti in merito alle formule di calcolo da applicare ai fini del riproporzionamento dei tre giorni di permesso mensile, di cui all’art. 33 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, nei casi di rapporto di lavoro part-time di tipo verticale e di tipo misto con attività lavorativa part-time superiore al 50%. L’INPS, ha chiarito che le formule, indicate nel messaggio n. 3114 del 7 agosto 2018, devono essere riviste alla luce degli orientamenti della Suprema Corte di Cassazione che, come detto sopra, ha statuito che la durata dei permessi, qualora la percentuale del tempo parziale di tipo verticale superi il 50% del tempo pieno previsto dal contratto collettivo, non debba subire decurtazioni in ragione del ridotto orario di lavoro. Pertanto: - in caso di part-time di tipo orizzontale, i tre giorni di permesso non andranno riproporzionati; - con riferimento ai rapporti di lavoro part-time di tipo verticale e di tipo misto fino al 50%, si procede con il riproporzionamento e rimangono valide le disposizioni fornite con il messaggio n. 3114/2018 (formule che vengono ribadite anche con la circolare n. 45/2021); - per i dipendenti in regime di part-time con percentuale a partire dal 51%, verranno riconosciuti interamente i tre giorni di permesso mensile; - il riproporzionamento orario dei giorni di permesso di cui all’articolo 33, commi 3 e 6, della Legge n. 104/1992 dovrà essere effettuato solo nel caso in cui il beneficio venga utilizzato, anche solo parzialmente, in ore (possibile per il personale ATA ai sensi dell’art. 68 del CCNL 2024). Tutto ciò premesso, in riferimento al quesito si ritiene quanto segue. 1) Quante giornate o ore di permesso sono spettanti mensilmente? Come redazione, abbiamo sempre osservato che come per il caso specifico i 3 giorni di permesso devono essere proporzionati al numero dei giorni di lavoro. Il calcolo basato sui giorni settimanali di lavoro ordinario (cinque) è il seguente: 3 giorni di lavoro settimanale: 5 giorni (settimana lavorativa ridotta) = x: 3 (giorni di permesso mensili) uguale 1,20 giorni che arrotondato per difetto è pari a 1 giorno. Nella singola giornata c'è un massimo di ore fruibili? Se, invece, i ‘interessata sceglie di fruire i tre gironi in ore, come da indicazioni INPS per il settore privato, in questo caso, il calcolo dovrebbe essere il seguente, 15 (ore di lavoro settimanali): 36 ore settimanali ordinarie= x : 18 (totale delle ore previste per CCNL per il permesso a ore), il risultato è uguale a 7,50 su 18 da suddividere nel mese.

    Data di pubblicazione: 18/09/2025

  • Gestione delle deleghe per il ritiro alunni: obblighi di protocollazione e modalità operative...
  • Gentile utente, sono oggetto di registrazione obbligatoria, ai sensi dell’art. 53, comma 5, del D.P.R. n. 445 del 2000, i documenti ricevuti e spediti dall'amministrazione e tutti i documenti informatici. Inoltre, l’art. 40-bis del CAD, come modificato dagli artt. 37, comma 1, e 66, comma 1, del D.lgs. 13 dicembre 2017, n. 217, prevede che formano oggetto di registrazione di protocollo ai sensi dell'articolo 53 del D.P.R. n. 445 del 2000, “le comunicazioni che provengono da o sono inviate a domicili digitali eletti ai sensi di quanto previsto all'articolo 3-bis, nonché le istanze e le dichiarazioni di cui all'articolo 65 in conformità alle Linee guida”. Sono invece esclusi dalla registrazione obbligatoria, a norma dell’art. 53, comma 5, del D.P.R. n. 445 del 2000: le gazzette ufficiali, i bollettini ufficiali e i notiziari della Pubblica Amministrazione, le note di ricezione delle circolari e altre disposizioni, i materiali statistici, gli atti preparatori interni, i giornali, le riviste, i libri, i materiali pubblicitari, gli inviti a manifestazioni, tutti i documenti già soggetti a registrazione particolare dell'Amministrazione (es. circolari). Stante poi l’importanza sotto tutti profili dei documenti di cui al quesito (deleghe per ritiro minori all’uscita di scuola) si raccomanda un’attenta e puntuale registrazione degli stessi al Protocollo dell’Istituzione. Rispetto alla modalità di registrazione, è fondamentale attenersi a quanto disposto nel D.P.R. n. 445 del 2000, all’art. 53 c. 1: “La registrazione di protocollo per ogni documento ricevuto o spedito dalle pubbliche amministrazioni è effettuata mediante la memorizzazione delle seguenti informazioni: a) numero di protocollo del documento generato automaticamente dal sistema e registrato in forma non modificabile; b) data di registrazione di protocollo assegnata automaticamente dal sistema e registrata in forma non modificabile; c) mittente per i documenti ricevuti o, in alternativa, il destinatario o i destinatari per i documenti spediti, registrati in forma non modificabile; d) oggetto del documento, registrato in forma non modificabile; e) data e protocollo del documento ricevuto, se disponibili; f) l'impronta del documento informatico, se trasmesso per via telematica, costituita dalla sequenza di simboli binari in grado di identificarne univocamente il contenuto, registrata in forma non modificabile.” E’ quindi evidente che ogni numero di protocollo individua un unico documento e gli eventuali allegati allo stesso e, di conseguenza, ogni documento con i relativi allegati reca un solo numero di protocollo immodificabile. Quindi non è consentito, in caso di spedizione ed arrivi massivi, come nel caso di specie, apporre una segnatura del tipo es.: 1741/1, 1741/2, 1741/3, ecc… oppure attribuire ad essi lo stesso numero di protocollo. Tutte queste indicazioni dovrebbero essere inserite in maniera organica ed esaustiva nel Manuale per la gestione dei flussi documentali dell’Istituzione Scolastica. Infatti, le “Linee Guida sulla formazione, gestione e conservazione dei documenti informatici”, emanate dall’AgID, prevedono l’obbligo per le Pubbliche Amministrazioni di redigere con provvedimento formale e pubblicare sul proprio sito istituzionale il Manuale di gestione documentale. Il Manuale di gestione documentale, adottato dall’Istituzione scolastica al fine di adeguarsi alle disposizioni di cui sopra, descrive il sistema di gestione dei documenti e fornisce le istruzioni per il corretto funzionamento del servizio per la tenuta del protocollo informatico, della gestione dei flussi documentali e degli archivi. Nel dettaglio, il Manuale descrive il modello organizzativo adottato dalla scuola per la gestione documentale e il processo di gestione del ciclo di vita del documento, oltre a fornire specifiche istruzioni in merito al documento amministrativo ed al documento informatico, al protocollo informatico e alle tematiche di accesso, trasparenza e privacy.

    Data di pubblicazione: 18/09/2025

  • Una questione sulla carriera alias: può il Dirigente Scolastico autorizzarne l’uso senza regolamento approvato?
  • Per quanto riguarda la istituzione della carriera alias, occorre preliminarmente rilevare che l’art. 1 della legge n. 164/1982 “Norme in materia di rettificazione dell’attribuzione di sesso” dispone tuttora: “La rettificazione si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell'atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”. Ciò significa che la modifica nell’attribuzione di sesso e dunque della identità anagrafica consegue al passaggio in giudicato della relativa sentenza. Nessun’altra indicazione viene fornita a livello normativo; in particolare, non vi è alcuna previsione circa la possibilità di una anticipazione degli effetti della sentenza di rettificazione durante la transizione di genere. La cosiddetta “carriera alias” è nata dunque in seno ad alcune Università sulla scorta della necessità di garantire un ambiente di studio sereno agli studenti e alle studentesse che stanno percorrendo quella strada. Consiste nell’assegnazione di una identità provvisoria e non consolidabile nei soli documenti interni all’università stessa (ad esempio, il tesserino o libretto universitario). Le certificazioni ad uso esterno contengono comunque il riferimento all’identità anagrafica. Parimenti, nel caso in cui il titolo finale sia conseguito prima che sia intervenuta una sentenza del tribunale, tutti gli atti della carriera si intenderanno riferiti alla effettiva identità anagrafica. Parimenti, nelle scuole che l’hanno attivata, la carriera ALIAS dispiega effetti solo all'interno dell’istituzione scolastica medesima e non incide su alcuni degli atti a rilevanza esterna (scheda di valutazione, diploma, certificazioni attestanti la frequenza ecc.). L’impiego del nome di elezione in quell’ambito mira alla creazione e al consolidamento di un ambiente pienamente inclusivo per gli studenti in transizione di genere. Non è strada imposta dalla normativa vigente, ma – a fronte delle richieste delle famiglie e degli alunni – risulta tuttavia opportuno che la scuola adotti una regolamentazione proprio al fine di garantire la inclusione di tutti e di ciascuno. Farlo, peraltro, seppure non imposto dalla normativa vigente, non implica al tempo stesso alcuna sua violazione: né dell’art. 6 c.c., né dell’art. 5 della legge n. 164/1982, né infine degli artt. 11 e 89 del D.P.R. n. 396/2000, in materia di attribuzione di un nome corrispondente al sesso anagrafico. L’identità ALIAS non viene infatti utilizzata negli atti a rilevanza esterna, ha solo rilevanza interna alla scuola. Alcuna confusione viene dunque indotta sull’identità del soggetto, posto che la carriera alias non modifica i dati anagrafici della persona e non viola le norme in materia di attribuzione di un nome corrispondente al sesso anagrafico. Incide solo sul nome d'uso all'interno della scuola. Detta identità, del resto, possiede una natura provvisoria e transitoria, tanto che – nelle previsioni dei regolamenti delle scuole – essa viene meno qualora lo studente o i genitori comunichino di aver abbandonato il percorso per la rettifica o di averlo concluso positivamente. L’utilizzo della carriera ALIAS nelle università è favorito dal fatto che non vi è vera e propria costituzione di un gruppo classe, né è prevista la pubblicità di snodi fondamentali della carriera dello studente: non vengono pubblicati i risultati dei singoli esami, né il voto di laurea. Poiché gli atti ad uso esterno su cui viene riportata l’identità anagrafica reale non hanno come destinatari né i docenti né i compagni di corso, né sono da loro conoscibili l’identità ALIAS dello studente risulta pienamente tutelata. La stessa distinzione applicata alla scuola porta invece ad esiti diversi, in ragione del regime di pubblicità di snodi fondamentali della carriera degli studenti quali ad esempio le valutazioni finali. L’identità ALIAS potrà dunque essere utilizzata, in via generale e di regola, nei soli documenti a uso interno della scuola e riservati alla famiglia mentre vi sarà la necessità di collegare alla identità anagrafica il gestionale del registro elettronico e l’esito degli scrutini anche nell’ottica del dialogo con l’applicazione SIDI. È infatti la pubblicità che connota il registro – visibile a tutti i docenti del consiglio di classe – e l’esito degli scrutini – visibile a tutti gli studenti della classe – a determinare la conoscibilità della identità anagrafica dello studente. Risulta tuttavia evidente che chi chiede l’attivazione di detta carriera debba essere edotto dei limiti della stessa e della conoscibilità della identità anagrafica dello studente quantomeno da parte dei docenti del consiglio di classe. Da quanto fin qui detto risulta evidente che la strada del regolamento deliberato dal consiglio di istituto non è imposta dalla normativa vigente (essendo la carriera alias sconosciuta all’ordinamento) ma consigliabile proprio per questo, ovvero alla luce dell’assenza di qualsiasi disposizione applicabile nonché nell’ottica della maggiore condivisione possibile della finalità inclusiva della stessa. Per di più, la “cristallizzazione” di una disciplina della carriera alias in un regolamento legittimerebbe anche la integrazione del piano di formazione del personale docente e ata con percorsi specifici sul tema del superamento degli stereotipi di genere e in generale dell’educazione al rispetto secondo le indicazioni del Piano nazionale del 2017 (disponibile al link: https://www.miur.gov.it/documents/20182/0/Piano+Nazionale+ER+4.pdf/7179ab45-5a5c-4d1a-b048-5d0b6cda4f5c?version=1.0). Tuttavia, proprio perché nessuna disposizione normativa impone l’adozione (della carriera alias e, a maggior ragione) di un regolamento a tale riguardo, si ritiene che il dirigente scolastico possa – nella denegata ipotesi che gli organi collegiali non pervengano alla relativa delibera – dettare disposizioni circa l’utilizzo del nome di elezione dello studente in transizione negli atti interni della scuola. Si consiglia comunque: - di pervenire a questo esito solo dopo aver esperito tutti i tentativi per ottenere la delibera favorevole del consiglio di istituto; - di esplicitare – nella premessa alle disposizioni interne dettate a tale proposito – la finalità inclusiva delle stesse, finalità cui la scuola non può sottrarsi in presenza di richieste di famiglie e/o studenti; - di limitarsi a dettare disposizioni relative all’utilizzo del nome di elezione e di muoversi gradualmente, a partire dal coinvolgimento del consiglio di classe o dei consigli di classe direttamente interessati, verso misure ulteriori (come quelle riguardanti l’utilizzo dei bagni e degli spogliatoi); - di proporre percorsi formativi (facoltativi) sul tema del superamento degli stereotipi di genere; - di coinvolgere il proprio staff e, se ritenuto opportuno, il presidente del consiglio di istituto nella individuazione delle criticità da superare per poter ottenere che il consiglio di istituto deliberi un apposito regolamento. Difatti, si suggerisce di non abbandonare la strada del regolamento di istituto ma di continuare a sollecitarne l’adozione ai competenti organi collegiali, anche dopo la emanazione di disposizioni da parte del dirigente scolastico.

    Data di pubblicazione: 18/09/2025

  • Periodo di formazione e prova: necessità di nuovo svolgimento in caso di passaggio dalla classe di concorso B017 alla A037...
  • Nel CCNI sulla mobilità 2025/2028 il passaggio da ITP a docente laureato della scuola secondaria di II grado può attuarsi o sotto forma di passaggio di ruolo (art. 4, c. 3) o sotto forma di passaggio di cattedra (art. 4, c. 7). La prima disposizione citata stabilisce: “In particolare può chiedere il passaggio: […] nel ruolo dei docenti laureati della scuola secondaria di II grado, purché in possesso dell’abilitazione: a) il personale insegnante delle scuole dell’infanzia, primarie e della scuola secondaria di primo grado; b) il personale educativo; c) il personale diplomato delle scuole secondarie di II grado che aspira a passare nei ruoli del personale insegnante laureato; […].” L’art. 4, c. 7 afferma invece: “Il passaggio di cattedra alle classi di concorso della scuola secondaria di primo e di secondo grado può essere richiesto: - dai docenti rispettivamente titolari della scuola secondaria di primo grado e di secondo grado, in possesso della specifica abilitazione; - dagli insegnanti tecnico-pratici, che siano in possesso del titolo di accesso di cui al DPR 19/2016 di riordino delle classi di concorso e successive modifiche e integrazioni tabella B.” Poiché l’insegnante tecnico-pratico del quesito ha ottenuto il passaggio di ruolo e non già di cattedra, rientra nella prima fattispecie delineata. Se così è, egli è tenuto allo svolgimento del periodo di prova sulla base dell’art. 2, c. 1, lettera c) del D.M. n. 226/2022 (“Sono tenuti ad effettuare, il percorso di formazione e periodo annuale di prova in servizio: […] c) i docenti per i quali sia stato disposto il passaggio di ruolo; […].”)

    Data di pubblicazione: 18/09/2025

  • Docente di sostegno con lunga utilizzazione: può partecipare al dipartimento della disciplina curricolare di titolarità
  • Negli istituti di istruzione, per "dipartimenti" si intendono delle articolazioni del collegio dei docenti, istituite dalle scuole nell'ambito dell'autonomia organizzativa loro riconosciuta dall'articolo 2, comma 3 del D.P.R. n. 275/1999. Per i licei, l'articolo 10, comma 2 del D.P.R. n. 89/2010 prevede espressamente la possibilità di costituire dipartimenti, definiti "articolazioni funzionali del collegio dei docenti, per il sostegno alla progettazione formativa e alla didattica". Analoghe disposizioni sono previste dall'articolo 5, comma 3 del D.P.R. n. 88/2010 per gli istituti tecnici, nonché dall'articolo 5, comma 3 del D.P.R. n. 87/2010, per gli istituti professionali. Non si rinviene nella normativa una norma simile per il primo ciclo di istruzione; tuttavia, è indubbio che anche in queste scuole possano essere istituti dipartimenti, in nome della medesima autonomia organizzativa. Trattandosi di una possibilità offerta alle scuole, spetta agli organi di queste ultime e, in particolare, al collegio dei docenti, stabilire le norme per la costituzione, le attribuzioni (pur sempre di natura non deliberativa) e il funzionamento dei dipartimenti. Nella prassi, i dipartimenti sono costituiti per disciplina di insegnamento, per assi culturali o anche per indirizzo. Nulla vieta, comunque, di adottare altre soluzioni organizzative. Ciò premesso, la risposta al quesito va ricercata nelle norme adottate dalla scuola, all'atto della costituzione dei dipartimenti. Se queste prevedono, ad esempio, che i docenti di sostegno afferiscano a un determinato dipartimento, non sarà possibile per tali docenti partecipare ad altri dipartimenti. Osserviamo, comunque, che se risulta senza dubbio fuori luogo una "pretesa", da parte di un docente, di partecipare a una riunione di un dipartimento diversa da quella prevista dalle norme regolamentari di cui l'istituto ha voluto dotarsi, tale possibilità potrebbe talora essere utile, qualora si volesse, per esempio, elaborare delle strategie interdisciplinari o, nel caso del sostegno, di inclusione. I dipartimenti, in altre parole, ben potrebbero (e, riteniamo, dovrebbero) avere una natura flessibile, tale da adattarsi agli argomenti di volta in volta in discussione. Si tratta di un aspetto, però, che non potrebbe certo essere posto come "pretesa", che appare come una rivendicazione di carattere personale del tutto estranea a natura e scopo dei dipartimenti. In conclusione, la "pretesa" del docente di partecipare a riunioni diverse da quelle di ordinaria appartenenza appare inammissibile. Ciò non esclude che, in presenza di valide motivazioni di ordine didattico e/o riferite a iniziative in favore degli studenti, possa essere consentita la partecipazione, limitatamente a detti scopi, a riunioni di dipartimenti diversi da quello di appartenenza.

    Data di pubblicazione: 18/09/2025

  • Vediamo una richiesta di frequenza della classe quinta in attesa dell’esito del ricorso contro la non ammissione...
  • Preliminarmente si osserva che il ricorso contro il provvedimento di non ammissione alla classe successiva presentato all'ufficio scolastico regionale non è disciplinato dalla normativa, essendo il ministero dell'istruzione e del merito non più organizzato in via gerarchica, ma attraverso una serie di competenze funzionali che impediscono la proposizione di simili ricorsi. Come noto infatti, il provvedimento di mancata ammissione alla classe successiva è impugnabile in via amministrativa con un reclamo, che si sostanzia in un ricorso in opposizione, da presentare all'organo che ha emanato l'atto, a mente dell'articolo 14 del D.P.R.275/1999, oppure in via giudiziale attraverso ordinario ricorso al TAR. Pertanto si ritiene che il ricorso giustiziale di tipo gerarchico presentato all'ufficio scolastico regionale non andrà a buon fine. A margine di ciò si osserva che non è prevista dall'ordinamento alcuna forma di frequenza con riserva alla classe successiva che sarebbe peraltro illegittima non solo per la mancanza di una base normativa, ma soprattutto in quanto contraria ad una decisione della scuola di non ammissione alla classe successiva dello studente. Si sconsiglia di aderire alla richiesta avanzata dalla famiglia dello studente non ammesso che deve ora frequentare la classe per la quale ha titolo.

    Data di pubblicazione: 17/09/2025

  • Una docente a tempo pieno può essere anche titolare di un Bed and breakfast senza partita Iva?
  • La materia della incompatibilità del personale scolastico è regolata dall’art. 53 del D.Lgs.30 marzo 2001 “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze pubbliche”, dagli artt. 60 e seguenti del DPR 10 gennaio 1957 n. 3 “Testo Unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato”, dall’art. 508 del D.L.vo n. 297 del 16 aprile 1994 e da alcune disposizioni del CCNL-Scuola del 29 novembre 2007 confermate dal nuovo CCNL 2024. L’art. 53, primo comma, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del Testo Unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. L’art. 60 del DPR n. 3 citato prevede che l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Tuttavia, il medesimo art. 53 del Testo Unico del 2001 ha introdotto un regime di incompatibilità “relativa”, consentendo, in presenza di determinate condizioni sostanziali e procedimentali, sia il conferimento di incarichi diversi dai compiti di ufficio da parte delle Amministrazioni ai propri dipendenti, sia l’autorizzabilità di incarichi provenienti da soggetti terzi. Infatti, il comma 6 del più volte citato art. 53 prevede che la normativa in materia di incompatibilità disciplinata dal medesimo articolo si applica ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, oltre che dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero professionali. Pertanto, nel pubblico impiego, il divieto di espletare incarichi extraistituzionali è attenuato dalle disposizioni contenute nel comma 6 e nel comma 7 dell'art. 53 D.lgs. n. 165 del 2001, in base alle quali al dipendente pubblico è concesso, rispettivamente, di svolgere attività occasionali "liberalizzate" o espletabili previa autorizzazione datoriale, ovvero attività liberamente esercitabili anche senza previa autorizzazione, in quanto espressive di basilari libertà costituzionali (in tali termini Corte Conti reg., Lombardia, sez. giurisd., Sent. 25/11/2014, n. 216). Deve essere considerata come esercizio del commercio e dell’industria ogni attività imprenditoriale. In giurisprudenza (cfr Corte di Cassazione, sez. lav., Sent. 26/11/2012, n. 20857) è stato affermato che l'impiegato della Pubblica Amministrazione non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione, senza alcun riferimento ad attività retribuita, onde il divieto deve ritenersi assoluto, a prescindere dalla sussistenza o meno di una remunerazione, ovvero di una continuità della prestazione lavorativa diversa da quella espletata alle dipendenze della P.A. Il Consiglio di Stato ha affermato che non vale ad escludere la situazione d'incompatibilità di un pubblico dipendente, che eserciti un'attività imprenditoriale, il fatto che egli eserciti regolarmente il suo lavoro, in quanto la norma d'incompatibilità mira anche a salvaguardare le energie lavorative del dipendente stesso, ai fini di un miglior rendimento nei confronti della p.a. datrice di lavoro (cfr. Consiglio Stato sez. V sent. 13 gennaio 1999 n. 24). Per poter svolgere attività ed incarichi extraistituzionali è necessaria l'autorizzazione del dirigente scolastico (cfr art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001). A meno che non si tratti di personale in part time con prestazione lavorativa non superiore al 50% (a cui può essere equiparato il dipendente a t.d. con spezzone orario non superiore al 50% dell'orario del titolare) i presupposti per il conferimento di incarichi extraistituzionali a dipendenti pubblici sono l'occasionalità, la saltuarietà, la mancanza di conflitto di interessi anche potenziale, la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento, con la ulteriore precisazione che l’attività deve essere svolta necessariamente al di fuori dell’orario di servizio (cfr. Circolare Funzione Pubblica 3 del 1997; Parere Funzione Pubblica 24 gennaio 2012, n. 1). Inoltre si rileva che, a chiusura dei lavori del tavolo tecnico, a cui hanno partecipato il Dipartimento della Funzione Pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l'ANCI e l'UPI, avviato ad ottobre 2013 in attuazione di quanto previsto dall'intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013, è stato formalmente approvato il documento contenente "Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti". Obiettivo del documento è quello di supportare le amministrazioni, ivi comprese le istituzioni scolastiche, nell'applicazione della normativa in materia di svolgimento di incarichi da parte dei dipendenti. Nel Documento è precisato che sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche della abitualità e professionalità nonchè che si pongano in conflitto di interessi. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con percentuale di tempo parziale pari o inferiore al 50% (con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche del conflitto di interessi. Gli incarichi che presentano i caratteri della abitualità e professionalità ai sensi dell'art. 60 del d.P.R. n. 3/57, sicché il dipendente pubblico non potrà "esercitare attività commerciali, industriali, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro". L'incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri della abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo (art. 5, d.P.R. n. 633 del 1972; art. 53 del d.P.R. n. 917 del 1986; Cass. civ., sez. V, n. 27221 del 2006; Cass. civ., sez. I, n. 9102 del 2003). Viene precisato che sono escluse dal divieto di cui sopra, ferma restando la necessità dell'autorizzazione e salvo quanto previsto dall'art. 53, comma 4, del D.Lgs. n. 165/2001: a) l'assunzione di cariche nelle società cooperative, in base a quanto previsto dall'art. 61 del d.P.R. n. 3/1957; b) i casi in cui sono le disposizioni di legge che espressamente consentono o prevedono per i dipendenti pubblici la partecipazione e/o l'assunzione di cariche in enti e società partecipate o controllate (si vedano a titolo esemplificativo e non esaustivo: l'art. 60 del d.P.R. n. 3/1957; l'art. 62 del d.P.R. n. 3/1957; l'art. 4 del d.l. n. 95/2012); c) l'assunzione di cariche nell'ambito di commissioni, comitati, organismi presso amministrazioni pubbliche, sempre che l'impegno richiesto non sia incompatibile con il debito orario e/o con l'assolvimento degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro; d) altri casi speciali oggetto di valutazione nell'ambito di atti interpretativi/di indirizzo generale (ad esempio, circolare n. 6 del 1997 del Dipartimento della funzione pubblica, in materia di attività di amministratore di condominio per la cura dei propri interessi; parere 11 gennaio 2002, n. 123/11 in materia di attività agricola). Sono altresì vietati gli incarichi che, sebbene considerati singolarmente e isolatamente non diano luogo ad una situazione di incompatibilità, considerati complessivamente nell'ambito dell'anno solare, configurano invece un impegno continuativo con le caratteristiche della abitualità e professionalità, tenendo conto della natura degli incarichi e della remunerazione previsti. Per quanto concerne la compatibilità con l'esercizio di un B&B si ritiene quanto segue. Pur essendoci delle differenze tra le varie normative regionali, il bed and breakfast per la sua stessa natura non è un’impresa in quanto l’attività non è svolta in una maniera organizzata e continuativa venendo richiesto l'esercizio in modo saltuario (o per periodi ricorrenti stagionali) e/o che il servizio sia assicurato dalla normale organizzazione familiare. Con due risoluzioni emesse dal Ministero delle Finanze, la n° 180/e del 14/12/98 1 e la n° 155 del 13/10/2000, è stato precisato che l'attività di B & B per il suo carattere saltuario è fuori dal campo IVA: in tal modo non dovrà emettere alcun documento fiscale all'atto del pagamento. Ad ogni modo l’apertura della partita IVA ( assente nel caso di specie) può consentire un ampliamento della clientela soprattutto con riferimento a chi viaggia per lavoro e richiede la fattura. Ai sensi dell’art. 51, c. 1 del DPR n. 917/86 (TUIR), la gestione in forma non imprenditoriale deve intendersi ai fini fiscali come esercizio di un’attività senza il requisito dell’abitualità. Per esercizio in forma abituale dell’attività di impresa deve intendersi “un normale, costante indirizzo dell’attività del soggetto che viene attuato in modo continuativo: deve cioè trattarsi di un’attività che abbia il particolare carattere della professionalità (circ. n. 7/1496 del 30 aprile 1977)”. Ciò troverebbe conferma anche nelle risoluzioni ministeriali n. 180 del 14 dicembre 1998 e n. 155 del 13 ottobre 2000, che, come detto sopra, riconoscono l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’attività ai fini IVA a condizione che la stessa non venga svolta in modo sistematico con carattere di stabilità. La Cassazione, con la Sentenza del 9 dicembre 2019 n. 32034, ha affermato che le peculiari caratteristiche dell'attività di bed & breakfast le quali comportano un attività di impegno limitato (all'effettuazione della pulizia delle camere, alla preparazione della prima colazione con cibi e bevande che non richiedono manipolazione) e per un numero esiguo di giornate (che non devono superare il numero fissato dal legislatore regionale) escludono l'obbligo di iscrizione alla gestione commercianti. Ed ancora ( cfr. Comm. trib. reg., Sicilia, 21/08/2017, n.3080) l’attività di fornitura di “alloggio e prima colazione” (c.d. attività di “bed and breakfast”) rientra nel campo di applicazione dell’IVA, in quanto attività di impresa ai sensi dell’art. 55 del TUIR, quando non sia occasionale, ma presenti carattere di stagionalità, essendo organizzata, al pari di una struttura alberghiera, in modo sistematico con carattere di stabilità. Ciò premesso, in merito ai B&B quali elementi rivelatori di una attività esercitata a titolo imprenditoriale si possono individuare i seguenti: utilizzo di più collaboratori dipendenti; offerta di servizi aggiuntivi rispetto a quelli minimi previsti per il bed & breakfast mirati esclusivamente agli ospiti; etc. Pertanto, solo se l'attività fosse esercitata a titolo imprenditoriale ci sarebbe incompatibilità ai sensi della normativa vigente e sopra richiamata. Per quanto concerne specificamente la Regione Valle d'Aosta detta disposizioni la Legge regionale 29 maggio 1996, n. 11 "Disciplina delle strutture ricettive extralberghiere" il cui art. 16 bis prevede che "sono strutture ricettive a conduzione familiare (bed & breakfast - chambre et petit déjeuner) quelle condotte da privati che, utilizzando parte della loro abitazione, fino ad un massimo di tre camere ed una capacità ricettiva complessiva non superiore a sei posti letto, forniscono un servizio di alloggio e di prima colazione, in modo saltuario o per periodi stagionali ricorrenti. L'attività di bed & breakfast - chambre et petit déjeuner è svolta avvalendosi della normale organizzazione familiare." Pertanto, solo se l'attività fosse esercitata a titolo imprenditoriale ci sarebbe incompatibilità ai sensi della normativa vigente e sopra richiamata. Se svolta invece in forma occasionale ( come per l'appunto prevede la normativa della Regione Valle d'Aosta) l'attività di B & B è caratterizzato dalla gestione di tipo familiare, trattandosi quindi di un’attività non professionale, che può essere svolta, anche congiuntamente a un altro lavoro dipendente, nell’ambito della normale organizzazione familiare. Nel caso di specie, stante anche l’assenza di partita iva, si ritiene che trattasi di attività svolta in forma occasionale e non imprenditoriale, con conseguente compatibilità con lo status di dipendente pubblico. Ovviamente l’attività non dovrà avere interferenze con lo svolgimento delle mansioni e gli impegni correlati all’attività di docente.

    Data di pubblicazione: 17/09/2025

  • Che contratto possiamo stipulare con un docente collocato in pensione che continuerebbe a gestire le supplenze giornaliere in caso di assenza dei docenti?
  • L'art. 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 (come modificato dall'art. 6, comma 1, della legge n. 114 del 2014 e da ultimo dall’art. 17, comma 3) della Legge n. 124 del 7 agosto 2015 prevede che è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011 (tra le quali, come noto, rientrano anche le scuole), di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Gli incarichi di cui sopra sono comunque consentiti a titolo gratuito. In definitiva è stato introdotto che è fatto divieto per le Amministrazioni Pubbliche, ivi comprese le scuole, di conferire a ex lavoratori privati o pubblici collocati ora in quiescenza: a) incarichi di studio e di consulenza b) incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni. Il Dipartimento della Funzione Pubblica, con la Circolare n.6 del 4 dicembre 2014, ha fornito chiarimenti sull' interpretazione e applicazione dell'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012, come modificato dall'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 recante il divieto di incarichi a soggetti in quiescenza; chiarimenti che confermano quanto da noi sopra sostenuto. Incarichi vietati, ad avviso della Funzione Pubblica, sono solo quelli espressamente contemplati: incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società controllati. Il legislatore ha voluto perseguire gli obiettivi sopra ricordati, vietando il conferimento a soggetti in quiescenza di incarichi e cariche che, indipendentemente dalla loro natura formale, consentono di svolgere ruoli rilevanti al vertice delle amministrazioni. Gli incarichi di studio e consulenza sono quelli che presuppongono competenze specialistiche e rientrano nelle ipotesi di contratto d'opera intellettuale, di cui agli articoli 2229 e seguenti del codice civile. Costituiscono incarichi di studio quelli consistenti nello svolgimento di un'attività di studio, che possono essere individuati con riferimento ai parametri indicati dal decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 338. Costituiscono consulenze le richieste di pareri a esperti (così Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, delibera 15 febbraio 2005, n. 6/CONTR/05). Tutte le ipotesi di incarico o collaborazione non rientranti nelle categorie finora elencate sono da ritenersi sottratte ai divieti di cui alla disciplina in esame. La deliberazione della Corte dei Conti, Sezione regionale di controllo per il Lazio, del 22 maggio 2024, n. 80, ha ribadito che il divieto agli incarichi di studio e di consulenza (oltre che direttivi e dirigenziali) non possa estendersi ad “attività di mera condivisione” quali la “formazione operativa e il primo affiancamento del personale neo assunto” (cfr. anche Sezione reg. contr. Liguria n. 66/2023) o ad “attività di mera assistenza” quali “attività caratterizzata, in negativo, dalla mancanza di competenze specialistiche che non rientri nelle ipotesi di contratto d’opera intellettuale del 2229 cc. (Sezione reg. contr. Lazio n. 88/2023)». Nell’ambito degli interventi PNRR, l’art. 10, comma 1, del D.L. 30 aprile 2022, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla Legge 29 giugno 2022, n. 79 (c.d. «Decreto PNRRbis») ha previsto che fino al 31 dicembre 2026 le Amministrazioni titolari di interventi PNRR possono conferire incarichi retribuiti ex art. 7, comma 6, D.Lgs. n. 165/2001, al personale collocato in quiescenza, in deroga al generale divieto di attribuire incarichi retribuiti ai lavoratori in quiescenza, previsto dall’art. 5, comma 9, del citato D.L. 95/2012 Ad ogni modo, un ulteriore limite al conferimento degli incarichi a soggetti in quiescenza è rappresentato dal disposto dell’art. 43, comma 3, del DI 129/2018 ai sensi del quale è fatto divieto alle istituzioni scolastiche di acquistare servizi per lo svolgimento di attività che rientrano nelle ordinarie funzioni o mansioni proprie del personale in servizio nella scuola, fatti salvi i contratti di prestazione d'opera con esperti per particolari attività ed insegnamenti. Nel caso di specie, l’oggetto dell’incarico sarebbe gestire le supplenze giornaliere in caso di assenza docente e quindi trattasi, in sostanza, di una attività che rientra a tutti gli effetti nelle mansioni ordinarie del personale in servizio ( nell’ambito dell’organizzazione disposta a scuola e delle deleghe del DS) con relativa assunzione di responsabilità. Ne consegue che, a nostro avviso, non è possibile affidare l’incarico in questione al docente in quiescenza nonostante sia a titolo gratuito.

    Data di pubblicazione: 17/09/2025

  • Alcuni chiarimenti sulla domanda e sulla durata del congedo per svolgere il dottorato di ricerca...
  • L’art. 2 della legge n. 476/1984 stabilisce, in primo luogo, che il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato, a domanda e compatibilmente con le esigenze dell'amministrazione, in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso. Precisa poi che, in caso di ammissione a corsi di dottorato senza borsa di studio o di rinuncia ad essa, l'interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza. L'articolo 2 della legge n. 476/1984 citata, richiamato chiaramente nella circolare MIUR n. 15 del 22 febbraio 2011, prosegue inoltre specificando: "Non hanno diritto al congedo straordinario, con o senza assegni, i pubblici dipendenti che abbiano già conseguito il titolo di dottore di ricerca, né i pubblici dipendenti che siano stati iscritti a corsi di dottorato per almeno un anno accademico, beneficiando di detto congedo". Il MIM, con la C.M. n. 15 del 22 febbraio 2011, ha fornito chiarimenti in merito alle modalità di concessione e di fruizione del congedo straordinario per motivi di studio per i docenti ammessi alla frequenza dei corsi di dottorato di ricerca. Vengono richiamate alcune precisazioni di cui alla precedente C.M. n. 120 del 2002, ancora applicabili pur dopo le riforme normative che hanno interessato il congedo per dottorato di ricerca: - la concessione del congedo straordinario non è subordinata all'effettuazione dell'anno di prova; - la richiesta di congedo non è commisurata a mesi o ad un anno, ma all'intera durata del dottorato; - il dipendente pubblico che cessa o viene escluso dal dottorato ha il dovere di riassumere immediatamente servizio presso la sede di titolarità. La citata CM 15 del 2011 precisa quanto segue "si richiama l’attenzione sull’espresso divieto di fruizione del congedo straordinario, con o senza assegni, posto ai pubblici dipendenti che abbiano già conseguito il titolo di dottore di ricerca o che abbiano solamente beneficiato del congedo essendo stati iscritti anche per almeno anno accademico a corsi di dottorato di ricerca". La norma è chiara nel precludere il congedo a chi ne ha già beneficiato, indipendentemente dal ruolo ricoperto, dal settore scientifico-disciplinare del dottorato o dagli anni trascorsi dal precedente congedo. L'unica eccezione riguarda i congedi e benefici già in godimento alla data di entrata in vigore della disposizione. In sintesi, la legislazione italiana, in particolare la legge n. 476/1984 come modificata nel 2010, impedisce la reiterazione del congedo straordinario per dottorato di ricerca se il pubblico dipendente ne ha già beneficiato in passato. ( ci sono risalenti sentenze di merito che hanno fornito interpretazione diversa ma sul punto non consta alcun intervento della Cassazione). Pertanto, la richiesta di congedo non è commisurata a mesi o ad un anno, ma all'intera durata del dottorato. Questo è il limite massimo ma nulla esclude che il congedo per dottorato di ricerca possa essere richiesto per un periodo inferiore alla durata del dottorato ( con ripresa del servizio e frequenza del dottorato sul presupposto che non c’è interferenza con l’attività di docente). Va da sé che rimangono i divieti sopra esposti previsti dall’art. 2 della legge n. 476/1984. Infine, si rileva che la gestione delle domande di assenza e più in generale della gestione inerente allo stato giuridico del dipendente è di competenza della scuola di servizio.

    Data di pubblicazione: 17/09/2025

  • Piattaforma valutazione DS: quali azioni per cambiare una valutazione ritenuta ingiusta?
  • Vi scrivo per chiedervi un parere in merito alla valutazione che ha preso avvio nell'a.s. 2024/25. Sulla piattaforma mi è stato attribuito il punteggio...

    Data di pubblicazione: 17/09/2025

  • Alcuni chiarimenti sul pagamento delle ferie estive dei supplenti...
  • L’art. 146 del CCNL 2007 prevede che “ 1) In applicazione dell’art.69, comma 1, del d.lgs. n.165/2001, tutte le norme generali e speciali del pubblico impiego vigenti alla data del 13 gennaio 1994 e non abrogate divengono non applicabili con la firma definitiva del presente CCNL, con l’eccezione delle seguenti norme e di quelle richiamate nel testo del presente CCNL che, invece, continuano a trovare applicazione nel comparto scuola:…..” L’art. 527 del TU 297/94, non richiamato nel CCNL 2007 né in quelli successivi, condizionava la retribuzione durante i mesi estivi dei supplenti annuali (docenti), allo svolgimento da parte di questi o dei 180 giorni di servizio e, se iniziavano non più tardi del 1° febbraio, con partecipazione agli scrutini finali. Questo il testo dell’articolo citato: “Art. 527 - Retribuzione supplenze annuali 1. Il trattamento economico di cui all'articolo 526 è corrisposto mensilmente in dodicesimi per il servizio effettivamente prestato. 2. Al supplente annuale il cui servizio sia cominciato non più tardi del 1° febbraio e sia durato fino al termine delle operazioni di scrutinio finale, e a quello che abbia prestato servizio per almeno 180 giorni, anche se non continuativi, e che si trovi in servizio al termine delle operazioni di scrutinio finale, il predetto trattamento economico è dovuto fino al termine dell'anno scolastico. 3. Al supplente annuale, che abbia iniziato il servizio dopo il 1° febbraio e che partecipi agli esami della sessione estiva, il trattamento economico è corrisposto fino al termine dei relativi lavori. Per la partecipazione agli esami della sessione autunnale, il trattamento economico è corrisposto per l'intera durata della sessione medesima.” Tuttavia, a nostro avviso, con le previsioni del CCNL relative al contratto individuale di lavoro, l’art. 527 non è più applicabile. Il superamento dell’art. 527 è contenuto nel CCNL del 29.11.2007 in seguito alla disciplina privatistica del rapporto di lavoro. L’art. 39 del CCNL 2024, che ha abrogato l’art. 25 del CCNL 2007, disciplina il Contratto individuale di lavoro dei docenti prevedendo che i rapporti individuali di lavoro a tempo indeterminato o determinato del personale docente ed educativo degli istituti e scuole statali di ogni ordine e grado, sono costituiti e regolati da contratti individuali, nel rispetto delle disposizioni di legge, della normativa comunitaria e del contratto collettivo nazionale vigente. Nel contratto di lavoro individuale, per il quale è richiesta la forma scritta, sono, comunque, indicati: a) tipologia del rapporto di lavoro; b) data di inizio del rapporto di lavoro; c) data di cessazione del rapporto di lavoro per il personale a tempo determinato; d) qualifica di inquadramento professionale e livello retributivo iniziale; e) compiti e mansioni corrispondenti alla qualifica di assunzione; f) durata del periodo di prova; g) sede di prima destinazione, ancorché provvisoria, dell'attività lavorativa. Il contratto individuale specifica le cause che ne costituiscono condizioni risolutive e specifica, altresì, che il rapporto di lavoro è regolato dalla disciplina del presente CCNL. È comunque causa di risoluzione del contratto l'annullamento della procedura di reclutamento che ne costituisce il presupposto. I contratti a tempo determinato devono recare in ogni caso il termine. Tra le cause di risoluzione di tali contratti vi è anche l’individuazione di un nuovo avente titolo a seguito dell’intervenuta approvazione di nuove graduatorie L’OM 88 del 2024 prevede le seguenti tipologie di contratti a t.d. ( cfr. art. 2 comma 5): a) supplenze annuali per la copertura delle cattedre e posti d’insegnamento, su posto comune o di sostegno, vacanti e disponibili entro la data del 31 dicembre e che rimangano presumibilmente tali per tutto l’anno scolastico; b) supplenze temporanee sino al termine delle attività didattiche per la copertura di cattedre e posti d’insegnamento, su posto comune o di sostegno, non vacanti ma di fatto disponibili, resisi tali entro la data del 31 dicembre e fino al termine dell’anno scolastico e per le ore di insegnamento che non concorrano a costituire cattedre o posti orario; c) supplenze temporanee per ogni altra necessità diversa dai casi precedenti. Il conferimento della supplenza si perfeziona con la stipula del contratto di lavoro a tempo determinato, sottoscritto dal dirigente scolastico e dal docente interessato, che produce effetti dal giorno dell’assunzione in servizio fino al seguente termine: a) per le supplenze annuali di cui al comma 5, lettera a), il 31 agosto; b) per le supplenze temporanee fino al termine delle attività didattiche di cui al comma 5, lettera b), il giorno annualmente indicato dal relativo calendario scolastico quale termine delle attività didattiche; c) per le supplenze temporanee di cui al comma 5, lettera c), l’ultimo giorno di effettiva permanenza delle esigenze di servizio. In sostanza quindi il trattamento economico ( e la relativa durata) del docente a t.d. dipende esclusivamente dalla tipologia di contratto a t.d. stipulato ( ed al netto delle indicazioni specifiche come nel caso del personal della Provincia di Bolzano). Conclusivamente, a nostro avviso, l’art. 527 del T.U. 297/1994 è disapplicato.

    Data di pubblicazione: 17/09/2025

  • Richiesta di congedo parentale a cavallo della sospensione delle lezioni: chiarimenti sul conteggio dei giorni festivi e sulle modalità per evitare l’inclusione nel periodo di congedo...
  • Una fattispecie molto frequente è quella in cui un docente si assenta l'ultimo giorno di attività prima delle vacanze per poi assentarsi nuovamente, per il medesimo titolo ( nel caso di specie congedo parentale), il primo giorno in cui avrebbe avuto lezione al rientro delle vacanze. In argomento può soccorrere, ad avviso di chi scrive, l'orientamento MEF sulla questione di un'assenza durante l'ultimo giorno prima della sospensione delle lezioni e nuova assenza al primo giorno di servizio successivo alla sospensione delle lezioni (per il medesimo titolo di assenza). La nota del MEF n. 108127/1999 ha infatti precisato che “diversa fattispecie si configura nel caso in cui la fine di un periodo di assenza a vario titolo coincida con l'inizio della sospensione delle attività didattiche (quali giorni non festivi del periodo natalizio o pasquale o estivo)… In tale ipotesi poiché la funzione docente si esplica non solo con l'insegnamento ma anche con la partecipazione ad altre attività individuali e collettive, la sospensione delle attività didattiche di fatto non preclude l'effettiva ripresa del servizio al termine del periodo di assenza. E' appena il caso di precisare che ricade nella responsabilità del dirigente scolastico la dichiarazione della avvenuta ripresa del servizio”. In merito a cosa debba intendersi per ripresa del servizio, il MEF ha precisato che "ricade nella responsabilità del dirigente scolastico la dichiarazione della avvenuta ripresa del servizio". L’importante è dunque che sia data regolamentazione e comunicazione sulle modalità per attestare la ripresa del servizio scelte (ad esempio manifestazione di disponibilità al servizio inviata tramite PEC etc) e che il dirigente sia in condizione di disporre degli elementi probatori per non considerare assenza per congedo i giorni di sospensione nel caso di nuova assenza allo stesso titolo alla ripresa delle lezioni dopo il termine delle vacanze. In sostanza, a nostro avviso, la disponibilità alla ripresa del servizio può anche essere manifestata con una e-mail istituzionale o certificata, nella quale si dichiara la cessazione della condizione ostativa al servizio e la messa a disposizione della scuola. Riportiamo il recente orientamento dell'ARAN che conferma quanto detto sopra. "SCU_111_Orientamento Applicativo 31 marzo 2020 Come si calcolano i giorni di sospensione delle attività didattiche nel caso in cui il docente si assenti per malattia il giorno prima delle vacanze di Natale o di Pasqua e il giorno di ripresa dopo le suddette vacanze? A tal riguardo questa Agenzia ritiene opportuno richiamare la nota della Ragioneria Generale dello Stato del 15.06.99, prot. n. 108127 secondo cui “…..i giorni festivi interposti senza soluzione di continuità tra due periodi di malattia, giustificati da due separati certificati che non li contemplino, siano comunque da considerare assenza per malattia e si cumulino con i periodi inclusi nei certificati stessi……Si deve, infine, precisare che diversa fattispecie si configura nel caso in cui la fine di un periodo di assenza a vario titolo coincida con l’inizio della sospensione delle attività didattiche (quali i giorni non festivi del periodo natalizio o pasquale o estivo). In tale ipotesi, poiché la funzione dei docenti si esplica non solo con l’insegnamento nelle classi, ma anche con la partecipazione ad altre attività collaterali individuali e collettive, la sospensione delle attività didattiche di fatto non preclude l’effettiva ripresa del servizio al termine del periodo di assenza. E’ appena il caso di precisare che ricade nella responsabilità del capo d’istituto la dichiarazione dell’avvenuta ripresa del servizio”. Tutto ciò premesso, nel caso di specie, se la docente invia una mail alla scuola dichiarando, in modo inequivocabile, che dal 24/12/2025 al 06/01/2026 è disponibile alla ripresa di servizio, il periodo delle vacanze natalizie e della conseguente sospensione dell’attività didattica, non sarà imputato a congedo parentale. Come detto sopra, ricade nella responsabilità del DS la dichiarazione dell’avvenuta ripresa del servizio. Pertanto, trattandosi di responsabilità dirigenziale, alcuni DS richiedono che vi sia l’effettiva ripresa del servizio. Per quanto concerne la nostra posizione si rinvia a quanto detto sopra.

    Data di pubblicazione: 17/09/2025

  • Docente di sostegno in part-time chiede un permesso per motivi personali: vediamo se è proporzionale rispetto all'orario...
  • Gentile utente, in premessa è necessario chiarire che gli art. 67 e 68 CCNL 2019-2021 si riferiscono al personale ATA. Pertanto, non sono applicabili al personale docente a tempo indeterminato per il quale continua ad applicarsi l'art. 15, comma 2 del CCNL 2007 che nulla dispone sull’argomento. Nemmeno l'art. 35, comma 12 del CCNL 19/21 (per il personale a tempo determinato con contratto fino al 30 giugno o 31 agosto), si esprime sulla questione. Il CCNL Scuola 2007 per il personale docente in regime di part-time verticale prescrive il proporzionamento soltanto per le ferie. L’art. 39, infatti, prescrive al comma 11 quanto segue: “I dipendenti [docenti] a tempo parziale orizzontale hanno diritto ad un numero di giorni di ferie e di festività soppresse pari a quello dei lavoratori a tempo pieno. I lavoratori a tempo parziale verticale hanno diritto ad un numero di giorni proporzionato alle giornate di lavoro prestate nell'anno.” Pertanto, riteniamo che sia opportuno conformarsi agli Orientamenti applicativi ARAN. L’ARAN nell’Orientamento SCU070, afferma che “sulla base quindi dei principi desumibili dalla normativa di legge, dalla contrattazione collettiva e dalla giurisprudenza (vedi in particolare le sentenze di Cassazione Sez. lavoro, 30/12/2009 n. 27762 e 14/12/1999 n. 14065 che hanno affermato il principio del riproporzionamento del periodo di comporto in caso di part time verticale) si ritiene che il trattamento del lavoratore a tempo parziale verticale debba necessariamente tenere conto della ridotta entità della prestazione lavorativa, relativamente sia ai trattamenti economici per malattia, sia alle assenze dovute a malattia, sia ai permessi retribuiti che al periodo massimo di conservazione del posto, tutti elementi che dovranno essere rideterminati tenendo conto di tale criterio”. Inoltre, l'ARAN, nell'orientamento applicativo L8 (comparto Ministeri), ribadisce che "il principio della proporzionalità è insito nello stesso rapporto di lavoro a tempo parziale, in quanto la sua ratio sembra rinvenirsi nella necessità di mantenere un quadro di generale equilibrio delle tutele previste per i dipendenti a prescindere dalla diversità delle tipologie del rapporto di lavoro instaurato. Una diversa interpretazione comporterebbe un ingiustificato vantaggio per il personale in part-time, con la conseguente penalizzazione dei dipendenti a tempo pieno". Come già espresso in molti pareri precedentemente rilasciati sul punto e consultabili nella banca dati, riteniamo condivisibili gli Orientamenti applicativi Aran e, quindi, in caso di part-time verticale i tre giorni di permesso retribuito per motivi personali devono essere proporzionati al numero dei giorni di lavoro settimanali (non al numero delle ore di insegnamento). Esempi di calcolo relativi al caso di specie 1. Formula: giorni lavorativi settimanali : 6/5 (settimana lavorativa ordinaria) = x : 3 (giorni di permesso annuali). 2. Scuola con organizzazione su sei giorni • 4:6=x:3 (giorni di permesso: 2) 3. Scuola con organizzazione su cinque giorni • 4:5=x:3 (giorni di permesso: 2,4 arrotondati per difetto a 2) Si precisa che il presente parere è stato formulato basandosi esclusivamente sulle informazioni fornite nel quesito. Per quanto non specificato, si rimanda alla normativa vigente e alla nostra banca dati.

    Data di pubblicazione: 17/09/2025

  • Richiesta di fruizione delle ferie durante le attività didattiche: limiti, sostituzioni e potere di diniego del dirigente scolastico...
  • Scrivo in merito alla fruizione dei giorni di ferie del personale docente durante le attività didattiche. Risulta alla scrivente la non discrezionalità sui 3...

    Data di pubblicazione: 17/09/2025

  • La scuola nomina un docente interno quale RSPP: in qualità di libero professionista può emettere la fattura alla scuola?
  • Per quanto concerne la designazione del RSPP nelle scuole, l’art. 32, ai commi 8 e 9, del D.Lgs. 81/08, recita: “8. Negli istituti di istruzione, di formazione professionale e universitari e nelle istituzioni dell’alta formazione artistica e coreutica, il datore di lavoro che non opta per lo svolgimento diretto dei compiti propri del servizio di prevenzione e protezione dei rischi designa il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, individuandolo tra: a) il personale interno all’unità scolastica in possesso dei requisiti di cui al presente articolo che si dichiari a tal fine disponibile; b) il personale interno ad una unità scolastica in possesso dei requisiti di cui al presente articolo che si dichiari disponibile ad operare in una pluralità di istituti. 9. In assenza di personale di cui alle lettere a) e b) del comma 8, gruppi di istituti possono avvalersi in maniera comune dell’opera di un unico esperto esterno, tramite stipula di apposita convenzione, in via prioritaria con gli enti locali proprietari degli edifici scolastici e, in via subordinata, con enti o istituti specializzati in materia di salute e sicurezza sul lavoro o con altro esperto esterno libero professionista.” Come già osservato in precedenti risposte, a nostro avviso, in caso di conferimento di incarico a personale interno alla scuola (o dipendente di altre scuole) rileva lo status di dipendente pubblico e quindi è sufficiente un incarico ed il compenso è soggetto a tutte le ritenute (nè sulla specifica questione sono stati forniti chiarimenti con il Quaderno n. 3). La prestazione d'opera è, invece, lo strumento utilizzato quando anche dalle scuole viciniori non emerge alcuna candidatura ed allora si passa alla selezione di un libero professionista. In definitiva, a nostro avviso, nel caso in cui venga scelto un dipendente interno, questi sarebbe selezionato ai sensi della lettera a) dell’art. 32 sopra citato e non quale esperto esterno. Quindi, se trattasi di dipendente interno (anche se autorizzato all’esercizio della libera professione) l’incarico sarà inquadrato all'interno degli incarichi conferiti ai dipendenti interni all'istituzione scolastica. Alla stessa stregua, si ritiene preferibile inquadrare l'attività di RSPP svolta da dipendente di altra scuola (anche se autorizzato alla libera professione come nel caso di specie) quale collaborazione plurima, per le cui condizioni di autorizzazione si rinvia all’art.35 del CCNL 2007 (non modificato dal CCNL 2024) il quale prevede che i docenti possono prestare la propria collaborazione ad altre scuole statali che, per la realizzazione di specifici progetti deliberati dai competenti organi, abbiano necessità di disporre di particolari competenze professionali non presenti o non disponibili nel corpo docente della istituzione scolastica. Come detto sopra la prestazione d'opera è, invece, lo strumento utilizzato quando anche dalle scuole viciniori non emerge alcuna candidatura e allora si passa alla selezione di un libero professionista esterno. Quindi, la nostra interpretazione è che se il RSPP è un dipendente di altra scuola (anche se autorizzato all’esercizio della libera professione) l’incarico sarà inquadrato nelle collaborazioni plurime (avendo beneficiato della precedenza di cui al punto b) con applicazione di tutte le ritenute di legge, a meno che il dipendente partecipi alla procedura comparativa come professionista esterno (cfr comma 9) e quindi, solo in questa ultima ipotesi, potrà essere trattato come esperto esterno con pagamento a fronte di fattura.

    Data di pubblicazione: 17/09/2025

  • Congedo straordinario e permessi per assistenza a persona con disabilità grave: coordinamento tra i benefici dopo le modifiche introdotte dal D.Lgs. 105/2022...
  • L’INPS, con il messaggio n. 4143 del 22 novembre 2023, ha fornito indicazioni relative alla gestione sia del congedo straordinario di cui all’articolo 42, comma 5, del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, che dei permessi di cui all’articolo 33 della Legge n. 104/1992, in favore di più richiedenti per assistere, nello stesso periodo, il medesimo soggetto con disabilità in situazione di gravità. L’INPS rileva che il D.Lgs n. 105/2022 non ha modificato il comma 5-bis dell’articolo 42 del D.Lgs n. 151/2001 in base al quale, a eccezione dei genitori, il congedo straordinario di cui al comma 5 e i permessi di cui all’articolo 33, comma 3, della Legge n. 104/1992, non possono essere riconosciuti a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona con disabilità grave. Tale disposizione, tuttavia, deve essere letta congiuntamente alla modifica apportata dal citato decreto n. 105/2022 all’articolo 33, comma 3, della Legge n. 104/1992, che, per i relativi permessi, ha eliminato il principio del “referente unico dell’assistenza”. Alla luce della suddetta eliminazione, fermo restando il limite complessivo di tre giorni, per l'assistenza allo stesso individuo con disabilità in situazione di gravità, il diritto ai permessi L. 104/1992 può essere riconosciuto, su richiesta, a più soggetti tra quelli sopra elencati, che possono fruirne in via alternativa tra loro. Pertanto, fermo restando che il congedo straordinario non può essere riconosciuto a più di un lavoratore per l’assistenza alla stessa persona con disabilità grave, l’INPS ha chiarito che è invece possibile autorizzare sia la fruizione del predetto congedo che la fruizione dei permessi di cui all’articolo 33 della Legge n. 104/1992 a più lavoratori per l’assistenza allo stesso soggetto con disabilità grave, alternativamente e purché non negli stessi giorni. Ciò premesso, questi i chiarimenti forniti dall’INPS: - può essere accolta una domanda di congedo straordinario relativa a periodi per i quali risultino già rilasciate autorizzazioni per la fruizione di tre giorni di permesso mensili di cui all’articolo 33, comma 3, della Legge n. 104/1992, o del prolungamento del congedo parentale (art. 33 del decreto legislativo n. 151/2001) o delle ore di permesso alternative al prolungamento (art. 33, comma 2, della Legge n. 104/1992 e art. 42, comma 1, del decreto legislativo n. 151/2001) per assistere la stessa persona disabile in situazione di gravità; - per i mesi in cui risultino già autorizzati periodi di congedo straordinario, potranno essere autorizzate domande per fruire di tre giorni di permesso mensile/prolungamento del congedo parentale oppure di ore di permesso alternative al prolungamento del congedo parentale presentate da altri referenti, per assistere la stessa persona disabile in situazione di gravità; - i suddetti benefici non possono essere fruiti nelle medesime giornate, trattandosi di istituti rispondenti alle medesime finalità di assistenza al disabile in situazione di gravità, e devono, quindi, intendersi alternativi. Quindi, in conclusione, a) I permessi L. 104/1992 possono essere ripartiti anche tra più soggetti, ma il dirigente scolastico ha il dovere della verifica del diritto dell’interessato ai permessi e, della correttezza della documentazione presentata a corredo della relativa domanda. Non è necessario allegare, alla domanda, anche le dichiarazioni di altri soggetti in merito al fatto che non possono fornire assistenza al soggetto disabile; b) in merito alla verifica se il dipendente è Referente Unico o comunque che, in caso di fruizione da parte di più soggetti, non venga superato il limite di 3 giorni al mese, si rappresenta che il controllo può essere effettuato presso l'INPS (che gestisce le domande dei privati) mentre, per il pubblico impiego poiché manca una banca dati univoca, ogni amministrazione, direzione, segreteria scolastica detiene i propri dati e quindi si potrà interpellare l’Amministrazione interessata ove presta servizio l’altro/altri soggetto/i indicati quali referenti nell’assistenza.

    Data di pubblicazione: 17/09/2025

  • Congedo per dottorato senza assegno e sospensione cautelare di docente in servizio: aspetti normativi e soluzioni organizzative per garantire la continuità didattica...
  • L’art. 2 della legge n. 476/1984 stabilisce, in primo luogo, che il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato, a domanda e compatibilmente con le esigenze dell'amministrazione, in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso. Precisa poi che, in caso di ammissione a corsi di dottorato senza borsa di studio o di rinuncia ad essa, l'interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza. L'articolo 2 della legge n. 476/1984 citata, richiamato chiaramente nella circolare MIUR n. 15 del 22 febbraio 2011, prosegue inoltre specificando: "Non hanno diritto al congedo straordinario, con o senza assegni, i pubblici dipendenti che abbiano già conseguito il titolo di dottore di ricerca, né i pubblici dipendenti che siano stati iscritti a corsi di dottorato per almeno un anno accademico, beneficiando di detto congedo". La norma è chiara nel precludere il congedo a chi ne ha già beneficiato, indipendentemente dal ruolo ricoperto, dal settore scientifico-disciplinare del dottorato o dagli anni trascorsi dal precedente congedo. L'unica eccezione riguarda i congedi e benefici già in godimento alla data di entrata in vigore della disposizione. In sintesi, la legislazione italiana, in particolare la legge n. 476/1984 come modificata nel 2010, impedisce la reiterazione del congedo straordinario per dottorato di ricerca se il pubblico dipendente ne ha già beneficiato in passato. ( ci sono risalenti sentenze di merito che hanno fornito interpretazione diversa ma sul punto non consta alcun intervento della Cassazione). La citata CM 15 del 2011 precisa quanto segue "si richiama l’attenzione sull’espresso divieto di fruizione del congedo straordinario, con o senza assegni, posto ai pubblici dipendenti che abbiano già conseguito il titolo di dottore di ricerca o che abbiano solamente beneficiato del congedo essendo stati iscritti anche per almeno anno accademico a corsi di dottorato di ricerca". Pertanto, alla luce della normativa suesposta, non è possibile concedere il congedo per dottorato a un docente a tempo indeterminato che ha già conseguito il titolo prima di essere assunto come dipendente pubblico. Per quanto concerne l’ulteriore quesito, nel caso di docente sospeso fino a nuove comunicazioni dell' autorità giudiziaria, non potendo la scuola conoscere l'esito del procedimento giudiziario ma dovendo garantire la continuità del servizio, occorre capire di che tipologia di sospensione si tratta ed interloquire necessariamente con l’USR/AT di riferimento e con l’AG che ha emanato il provvedimento.. Ad ogni modo si tratta di supplenza breve e in caso di mancanza di un termine finale certo della sospensione occorre procedere con un termine di massima e poi con successiva proroga; ma si ribadisce occorre preliminarmente accertare quanto sopra.

    Data di pubblicazione: 17/09/2025

  • Inabilità permanente e richieste di verifica medico-collegiale: quali attività può assegnare il dirigente scolastico al personale ATA in attesa del giudizio di idoneità?
  • In via di principio va precisato che anche il dipendente dichiarato invalido al 100% può prestare servizio. Infatti, per quanto concerne la compatibilità con l’attività lavorativa, indipendentemente dalla definizione usata dalla norma, anche gli invalidi civili totali possono svolgere una attività lavorativa e se necessitano, in quanto disoccupati in cerca di lavoro, possono iscriversi nelle liste del collocamento obbligatorio. Il Ministero del Lavoro si era pronunciato in materia (Circ. n. 6/13966/A del 28.10.69), esprimendo l'avviso che "anche i minorati ad altissima percentuale di invalidità (talora anche del 100%), possono, se oculatamente utilizzati, svolgere, sia pure eccezionalmente, determinate attività lavorative e quindi essere dichiarati collocabili". Tale indirizzo è stato successivamente confermato dal Ministero stesso con Circ. n. 5 del 15/01/1988. Sempre in merito alla compatibilità fra la condizione di "totale e permanente inabilità lavorativa al 100%" e lo svolgimento di eventuale attività lavorativa, la Circolare del Ministero della Sanità dell'11 febbraio 1987 n. 3 ha precisato che “i mutilati ed invalidi civili "totalmente inabili" di cui all'art. 1 della L. 11 febbraio 1980, n. 18 (che si riferisce ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili per affezioni fisiche o psichiche di cui agli articoli 2 e 12 della legge 30 marzo 1971, n. 118) quindi, sono da individuare nei portatori delle più gravi minorazioni, ma non necessariamente in coloro cui è del tutto precluso lo svolgimento di una attività lavorativa.” Atteso ciò, in presenza di dipendente con invalidità al 100% come abbiamo già rilevato in precedenti risposte, nel caso si abbiano dei dubbi sulle specifiche mansioni cui adibire il medesimo in considerazione delle sue condizioni di salute, la scuola può, in linea di principio, in caso di rientro in servizio del dipendente, disporre la visita collegiale al fine di avere un quadro più completo in merito alle mansioni lavorative che eventualmente può svolgere. ( infatti la visita del medico competente rientra esclusivamente nell’ambito della sorveglianza sanitaria ai sensi del D.Lgs. n. 81 del 2008). In questa ipotesi, la legittimazione alla sottoposizione alla visita infatti sarebbe ricondotta alla previsione dell'art. 3, comma 3, del DPR 171/2011 e più specificamente all'ipotesi di cui alla lettera c). Ai sensi del DPR 171/2011, art. 3, il dirigente scolastico avvia la procedura per l'accertamento dell'inidoneità psicofisica del dipendente, in qualsiasi momento successivo al superamento del periodo di prova, nei seguenti casi: a) assenza del dipendente per malattia, superato il primo periodo di conservazione del posto previsto nei contratti collettivi di riferimento (cfr CCNL Scuola art. 17 non modificato dal CCNL 2024); b) disturbi del comportamento gravi, evidenti e ripetuti, che fanno fondatamente presumere l'esistenza dell'inidoneità psichica permanente assoluta o relativa al servizio; c) condizioni fisiche che facciano presumere l'inidoneità fisica permanente assoluta o relativa al servizio. La scuola quindi non può che attendere l’esito della visita a meno che il dipendente abbia consegnato della certificazione che la scuola potrebbe seguire, nelle more della visita collegiale, al fine di assegnarlo a mansioni del profilo compatibili con il suo stato di salute. Nelle more della visita collegiale, si rileva si potrebbe ricorrere, come extrema ratio, alla sospensione cautelare ex art. 6 DPR 171 del 2011. Infatti, L'art. 6 del DPR n. 171/2011 prevede la possibilità di disporre la sospensione cautelare dal servizio nelle seguenti ipotesi: a) in presenza di evidenti comportamenti che fanno ragionevolmente presumere l'esistenza dell'inidoneità psichica, quando gli stessi generano pericolo per la sicurezza o per l'incolumità del dipendente interessato, degli altri dipendenti o dell'utenza, prima che sia sottoposto alla visita di idoneità; b) in presenza di condizioni fisiche che facciano presumere l'inidoneità fisica permanente assoluta o relativa al servizio, quando le stesse generano pericolo per la sicurezza o per l'incolumità del dipendente interessato, degli altri dipendenti o dell'utenza, prima che sia sottoposto alla visita di idoneità; c) in caso di mancata presentazione del dipendente alla visita di idoneità, in assenza di giustificato motivo. Quindi si dovrà trattare di una situazione tale che, a causa delle condizioni di salute, la presenza a scuola è pericolosa sia per il dipendente che per gli altri (colleghi, utenza) e non ci sono possibilità di utilizzo in mansioni del profilo ( in attesa del giudizio della CMV) che eliminino o riducano notevolmente detta potenziale pericolosità.

    Data di pubblicazione: 16/09/2025

  • Invio della contestazione di addebito su un indirizzo di PEO: quali sono gli effetti sulla regolarità del procedimento disciplinare?
  • Una collaboratrice scolastica che spesso ha la tendenza ad interpretare liberamente le disposizioni del dsga e gli ordini di servizio, il 12 agosto...

    Data di pubblicazione: 16/09/2025

  • Interruzione dell’anno sabbatico per partecipazione a dottorato di ricerca: è possibile il passaggio ad altra tipologia di aspettativa?
  • Il comma 14 dell’art. 26 della legge 448 del 23/12/1998 (legge finanziaria 1999) prevede la possibilità per i docenti a tempo indeterminato, che abbiano superato il periodo di prova, di usufruire di un periodo di aspettativa non retribuita (c.d. anno sabbatico) della durata massima di un anno scolastico ogni dieci anni compreso il primo decennio. Più specificamente la norma prevede che "I docenti e i dirigenti scolastici che hanno superato il periodo di prova possono usufruire di un periodo di aspettativa non retribuita della durata massima di un anno scolastico ogni dieci anni. Per i detti periodi i docenti e i dirigenti possono provvedere a loro spese alla copertura degli oneri previdenziali". Detta aspettativa non può essere oggetto di frazionamento così che l'avvenuta fruizione di un periodo di durata inferiore ad un anno scolastico esaurisce il diritto dell'interessato a chiedere ulteriori periodi di aspettativa nell'arco del decennio in considerazione (cfr. C.M. 28 marzo 2000, n. 96 prot. n. 48760 di trasmissione della nota n. 7574 del 6 marzo 2000). Più specificamente la C.M. n. 96 del 28/03/2000 (che ha trasmesso la Nota nota n. 7574 del 6 marzo 2000) ha chiarito che: a) la richiesta è sottratta all'apprezzamento discrezionale dell'amministrazione; b) tale aspettativa non può essere oggetto di frazionamento, sicché la fruizione di un periodo inferiore esaurisce il diritto. Ciò premesso, in riferimento al caso sottoposto, si ritiene che il docente che abbia richiesto aspettativa per anno sabbatico non possa rientrare in servizio prima della scadenza del termine del periodo richiesto. A tal proposito, infatti, l’Aran ha fornito diversi orientamenti applicativi sull'aspettativa per motivi di famiglia o personali. Nel primo orientamento SCU 039 infatti si precisa che: “Si ritiene utile rilevare che l’aspettativa per motivi di famiglia o personali, prevista dall’art. 18, comma 1 del CCNL del 29.11.2007 del comparto scuola, continua ad essere regolata dagli artt. 69 e 70 del D.P.R. n. 3/57, i quali nulla dispongono sulla interruzione di tale aspettativa ma solo sulla revoca della stessa ad opera del dirigente scolastico per ragioni di servizio.” ( cfr da ultimo in senso conforme ARAN O.A. del 24 febbraio 2021 CIRS43) Nel secondo orientamento SCU 025 è inoltre precisato che “L’art. 18 del CCNL 29-11-2007, contratto vigente per il comparto scuola, nel trattare dell’aspettativa di famiglia non ha alcuna previsione né alcun divieto sulla possibilità di interruzione per alcun motivo di detto istituto. Detta interruzione si deve però ritenere possibile, se per causa di malattia per l’ipotesi di gravi patologie che determinano lunghi periodi di assenza, atteso che tale situazione genera impossibilità di assolvere a doveri lavorativi e a svolgere prestazioni specifiche non giustificabile con l’aspettativa per motivi di famiglia.” I pareri Aran citati concernono l'aspettativa per motivi di famiglia ma riteniamo che possano essere applicati anche al caso di specie in via di interpretazione analogica, atteso che la normativa sopra citata nulla prevede in merito alla interruzione dell'anno sabbatico con rientro anticipato in servizio. Pertanto il rientro anticipato non è possibile se dovuto a mera volontà del dipendente ma solo per cause oggettive (es nel congedo straordinario ai sensi del D.Lgs. n. 151 del 2001 muore il familiare disabile cui il dipendente presta assistenza) Quindi, poiché il caso sottoposto non corrisponde neanche all’ipotesi di interruzione per assenza per lunga malattia, si ritiene che la richiesta del docente non possa essere accolta tenuto altresì conto che sarebbe richiesto il passaggio ad altra tipologia di aspettativa retribuita e quindi con oneri a carico dell’Amministrazione.

    Data di pubblicazione: 16/09/2025

  • Per conferire un incarico a un esperto esterno è possibile chiamare direttamente un professore universitario o bisogna procedere con avviso pubblico?
  • Per quanto concerne la selezione di esperti esterni l'art. 7, comma 6-bis, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione. Quindi, rilevata in via generale la necessità dell'espletamento di una procedura comparativa ogni volta che un'amministrazione deve conferire incarichi a esperti esterni, la circolare n. 2 del 2008 della Funzione Pubblica ha precisato che le collaborazioni meramente occasionali che si esauriscono in una sola azione o prestazione, caratterizzata da un rapporto "intuitu personae" che consente il raggiungimento del fine, e che comportano, per loro stessa natura, una spesa equiparabile ad un rimborso spese, quali ad esempio la partecipazione a convegni e seminari, la singola docenza, la traduzione di pubblicazioni e simili, non debbano comportare l'utilizzo delle procedure comparative per la scelta del collaboratore. La Corte dei Conti, con un orientamento costante e più rigoroso, ha precisato che il ricorso a procedure comparative può essere derogato con affidamento diretto nei seguenti casi: 1) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo (C. Conti, sez. contr. Piemonte, 20 giugno 2014, n. 122); 2) interventi formativi che si svolgono nell’arco di una sola giornata (Corte Conti Emilia Romagna Delib. n. 50/2016). Con la Deliberazione n. 122/2014 sopra citata è stato precisato che la materia è estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi e, pertanto, non può farsi ricorso a detti criteri; pertanto, il ricorso a procedure concorsuali deve essere generalizzato e che può prescindersi solo in circostanze del tutto particolari, come per esempio procedura concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale. Ne consegue che in caso di esperti esterni, con i quali sono stati stipulati contratti di lavoro autonomo, le uniche condizioni per non porre in essere una procedura comparativa sono quelle di cui alla circolare Funzione Pubblica e della Corta dei Conti sopra ricordate. La Corte dei conti - sez. controllo Emilia-Romagna, con deliberazione n. 135 dell'11 dicembre 2024 ha approvato le Linee guida riguardanti gli incarichi di collaborazione, consulenza, studio e ricerca. Pur non essendo espressamente indirizzate alle scuole, nondimeno esse presentano indicazioni di carattere generale, utili anche alle istituzioni scolastiche. La Corte, in tale documento, ricorda che l'affidamento diretto a consulenti esterni non è mai possibile, neanche in caso di esiguità del compenso da erogare. Le uniche eccezioni, ammesse dalla giurisprudenza contabile, riguardano casi molto ristretti: l'unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo (ovvero, quando la prestazione può essere erogata solo da una persona determinata), l'assoluta urgenza derivante da eventi imprevedibili o eccezionali, nonché il caso in cui la procedura comparativa sia andata deserta. Il Quaderno 3, nell’ultima edizione di giugno 2025, rileva che si riscontrano orientamenti non unanimi nella prassi e nella giurisprudenza. Ad esempio nel senso della possibilità di un affidamento diretto di un singolo corso di formazione: Deliberazione Corte dei conti, Sez. regionale di controllo per il Piemonte, 5 aprile 2018, n. 39, la quale prevede la possibilità di affidare l’Incarico «in via diretta e fiduciariamente, senza l’esperimento di procedure di selezione» ove abbia ad oggetto «[…] prestazioni meramente occasionali che si esauriscono in una prestazione episodica che il collaboratore svolga in maniera saltuaria che non è riconducibile a fasi di piani o programmi del committente e che si svolge in maniera del tutto autonoma, anche rientranti nelle fattispecie indicate al comma 6 dell’articolo 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001 […]»; Deliberazione Corte dei conti, Sez. regionale di controllo per l’Emilia-Romagna, 12 settembre 2017, n. 134: «[…] Invece, relativamente all'ultima versione dell'art. 54, comma 1, lett. d), l'affidamento diretto di incarichi viene previsto qualora si ravvisi la necessità di avvalersi di "prestazioni professionali altamente qualificate per la realizzazione di interventi formativi limitatamente ad interventi che si svolgono nell'arco di un'unica giornata o sessione formativa": in questo caso, come già ribadito con deliberazione n. 113/2016/REG, l'affidamento senza procedura comparativa è consentito limitatamente ad interventi che si svolgono nell'arco di una singola giornata […]». Altri orientamenti affermano che anche le prestazioni occasionali devono essere precedute da una procedura pubblica comparativa ( cfr. Deliberazione Corte dei conti, Sez. regionale di controllo per il Piemonte, 16 ottobre 2019, n. 80; Deliberazione Corte dei conti, Sez. regionale di controllo per il Piemonte, 8 giugno 2015, n. 98). Se trattasi di un unico corso di formazione/lezione nel caso di specie, l'affidamento diretto dell'incarico all'esperto ( docente universitario) è al limite ma riteniamo che possa comunque essere motivato sulla base di parte della giurisprudenza sopra riportata. L'impossibilità del ricorso alla procedura comparativa, a causa della peculiarità o specificità dell'attività oggetto dell'incarico e/o del fatto che trattasi di una unica sessione formativa, si dovrà evincere con chiarezza dalla determina dirigenziale.

    Data di pubblicazione: 16/09/2025

  • Festività soppresse e ferie del personale docente: vediamo i limiti temporali e le compatibilità con le attività funzionali...
  • L'art. 14 del CCNL 2007 prevede che a tutti i dipendenti sono altresì attribuite 4 giornate di riposo ai sensi ed alle condizioni previste dalla legge 23 dicembre 1977, n. 937. E' altresì considerata giorno festivo la ricorrenza del Santo Patrono della località in cui il dipendente presta servizio, purché ricadente in giorno lavorativo. Le quattro giornate di riposo, di cui sopra, sono fruite nel corso dell'anno scolastico cui si riferiscono e, in ogni caso, dal personale docente ESCLUSIVAMENTE durante il periodo tra il termine delle lezioni e degli esami e l'inizio delle lezioni dell'anno scolastico successivo, ovvero durante i periodi di sospensione delle lezioni. Si evince quindi che non possano essere richieste se sono state programmate attività funzionali. Infine, si ricorda che l’ARAN, con l’Orientamento Applicativo del 6 novembre 2015, ha ribadito che, in caso di mancata fruizione delle giornate di festività soppresse nell’anno di riferimento, è da escludere qualsiasi traslazione dell’utilizzo di dette giornate all’anno scolastico successivo.

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