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    Data di pubblicazione: 16/12/2025

  • Responsabilità della scuola e delle famiglie in caso di uscita autonoma degli alunni durante la pausa pranzo...
  • Ad avviso dello scrivente, l’uscita da scuola al termine delle lezioni mattutine che non concludono il tempo scuola della giornata non può essere assimilata al termine delle lezioni. Sul punto il testo dell’art.19 bis del DL 148/2017 è univoco, allorché precisa che “i genitori … dei minori di 14 anni, …, possono autorizzare le istituzioni del sistema nazionale di istruzione a consentire l'uscita autonoma dei minori di 14 anni dai locali scolastici al termine dell'orario delle lezioni”. Il termine dell’orario delle lezioni è quello conclusivo della giornata, non quello antimeridiano. Se la volontà del legislatore fosse stata diversa, sarebbe stato precisato. Va considerato infatti che la norma ricordata mira a far acquisire maggiore autonomia a bambini e ragazzi, consentendo loro di tornare a casa da soli al termine delle attività didattiche giornaliere, previa autorizzazione scritta che esonera la scuola dalla responsabilità connessa all'obbligo di vigilanza. L’espressione “termine dell'orario delle lezioni” va intesa come termine dell'orario scolastico dell'intera giornata come, peraltro, precisato dalla nota MIM prot.2379 del 12/12/2017 ove si sottolinea che lo scopo dell’art.19 bis del DL 148/2017 è di consentire ai minori di anni 14 “l’uscita autonoma al termine dell’orario scolastico”. Si deve inoltre considerare che l'uscita per la pausa pranzo costituisce un momento delicato, poiché il minore, pur uscendo dai locali, è tenuto a farvi ritorno per la ripresa delle lezioni dopo circa un’ora e dunque non rientra semplicemente a casa per restarvi. Ad ogni buon conto, sconsigliando una lettura estensiva della norma, si deve ricordare che la possibilità di uscire per la pausa pranzo, nei soli moduli orari in cui questa non è considerata tempo didattico, deve essere comunque prevista nel Regolamento d'Istituto, appositamente deliberata dal Consiglio d’Istituto e regolamentata.

    Data di pubblicazione: 16/12/2025

  • Ripartizione e calcolo delle attività collegiali per una docente di religione con spezzone orario e completamento in una scuola paritaria...
  • Nel caso di una docente di religione cattolica in servizio in una scuola dell'infanzia pubblica per uno spezzone orario (10,5 ore) con contratto in scuola paritaria...

    Data di pubblicazione: 16/12/2025

  • Un parere sulla possibilità di realizzare, in orario curricolare pomeridiano, progetti di ampliamento dell'offerta formativa finanziati dagli enti locali...
  • E' possibile realizzare in orario curricolare, fascia pomeridiana, progetti di ampliamento dell'offerta formativa finanziati dagli Enti locali? Si fa riferimento...

    Data di pubblicazione: 16/12/2025

  • Permessi L. 104 e congedo biennale: si possono cumulare?
  • La risposta è affermativa di seguito i relativi chiarimenti. Fino all'entrata in vigore del Decreto 119/2011, permessi e congedo straordinario erano considerati due benefici con la medesima finalità per i quali il Legislatore non aveva previsto la possibilità di contemporanea fruizione. Il Decreto 119/2011, però, ha modificato il disposto dell'ex comma 5 dell'articolo 42 del Decreto 151/2001, prevedendo che "per l'assistenza allo stesso figlio con handicap in situazione di gravità, i diritti sono riconosciuti ad entrambi i genitori, anche adottivi, che possono fruirne alternativamente ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'articolo 33, commi 2 e 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e 33, comma 1, del presente decreto. La Funzione Pubblica nella circolare n. 1 del 3 febbraio 2012 , circolare che detta le indicazioni per una univoca e corretta gestione delle modifiche di cui al citato D.lgs. 119/2011, alla lettera b) per tutto il comparto del pubblico impiego scuola compresa ( stessa interpretazione INPS circolare 32/2012 per il settore privato), ha modificato una precedente indicazione e, nel merito della cumulabilità nello stesso mese dei due diversi benefici, ha precisato quanto di seguito evidenziato. " Il D.L.vo n. 119 del 2011 ha modificato il disposto dell'ex comma 5 dell'art. 42 in esame, rivedendo all'attuale comma 5 bis che “i genitori, anche adottivi, possono fruirne alternativamente, ma negli stessi giorni l'altro genitore non può fruire dei benefici di cui all'art. 33, commi 2 e 3, della l. n. 104 del 1992 e 33, comma 1, del presente decreto.”. A seguito della modifica, i genitori possono fruire delle predette agevolazioni (permessi di tre giorni mensili, permessi di due ore al giorno, prolungamento del congedo parentale) anche in maniera cumulata con il congedo straordinario nell'arco dello stesso mese, mentre è precluso il cumulo dei benefici nello stesso giorno. La conclusione vale anche nel caso in cui la fruizione delle agevolazioni avvenga da parte di un solo genitore, che, pertanto, nell'arco dello stesso mese può fruire del congedo ex art. 42, commi 5 ss., D.Lgs. n. 151 del 2001 e dei permessi di cui all'art. 33, commi 2 e 3, della l. n. 104 del 1992 o del prolungamento del congedo parentale. Analogamente, il dipendente che assiste una persona in situazione di handicap grave diversa dal figlio nell'ambito dello stesso mese può fruire del congedo in esame e del permesso di cui all'art. 33, comma 3, della l. n. 104 del 1992. A fronte di alcune richieste di chiarimento in proposito, si precisa, inoltre, che nel caso di fruizione cumulata nello stesso mese del congedo (ovvero di ferie, aspettative od altre tipologie di permesso) e dei citati permessi di cui all'art. 33, comma 3, da parte del dipendente a tempo pieno questi ultimi spettano sempre nella misura intera stabilita dalla legge (3 giorni) e non è previsto un riproporzionamento"( cfr. Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, interpello n. 24/2012 del 1° agosto 2012, prot. n. 37/0014188). La stessa INPS nel messaggio 3114 del 07/08/2018, aveva già precisato che:” Si precisa che i periodi di congedo straordinario possono essere cumulati con i permessi previsti dall’articolo 33 della legge n. 104/92 senza necessità di ripresa dell’attività lavorativa tra la fruizione delle due tipologie di benefici”. Quindi in risposta al quesito, come specificato per altre analoghe risposte, i tre giorni di permesso mensile previsto dall'art. 33, comma 3, della legge 104/92, possono essere fruiti nello stesso mese insieme al congedo straordinario previsto dall’art. 42 co.5 del D.L.gs 151/2001 e, non c’ è nessuna incompatibilità tra queste due tipologie di assenza.

    Data di pubblicazione: 16/12/2025

  • Conferimento di supplenze fino a 10 giorni: gestione delle convocazioni in caso di esaurimento della specifica graduatoria...
  • Come è noto, l’articolo 13, comma 3, dell’ordinanza ministeriale n. 88 del 16 maggio 2024, disciplina, tra l’altro, la tempistica di gestione e di presa di servizio dei potenziali destinatari delle supplenze brevi e temporanee, prevedendo due categorie principali, riferite a tutti coloro che sono inseriti in graduatoria di istituto e distinte secondo che la durata della supplenza sia inferiore o pari/superiore a 30 giorni. A fronte di questo quadro generale, per le supplenze fino a 10 giorni nella scuola dell’infanzia e nella scuola primaria viene delineato un tertium genus, derogatorio rispetto ai criteri generali: “Per le supplenze brevi fino a 10 giorni nelle scuole dell’infanzia e primaria, con il supporto del sistema informativo sono attivate particolari e celeri modalità di interpello con immediata presa di servizio”. La disposizione, di fatto, crea una sorta di “subgraduatoria” limitata a coloro che, inseriti nelle graduatorie di istituto, a fronte di urgenti e inderogabili necessità di copertura dei posti correlata all’età dei discenti. Ne deriva che un aspirante presente in graduatoria di istituto che non abbia espressamente dichiarato la disponibilità ad essere contattato con “celeri modalità di interpello con immediata presa di servizio” in quell’istituzione scolastica non può vantare alcun diritto all’attribuzione delle supplenze in questione. Detto in altri termini, nel quadro della gestione amministrativa delle supplenze fino a 10 giorni l’urgenza dell’assegnazione della supplenza prevale sulla pura e semplice presenza in graduatoria di istituto. In tal senso, si ritiene che la “specialità” della disciplina relativa alle supplenze sino a 10 giorni consista proprio nell’espressione di volontà da parte degli aspiranti ad essere contattati per le vie brevi e a prendere immediatamente servizio. Stante quanto sopra, sarebbe irragionevole – in quanto prolungherebbe enormemente le tempistiche di individuazione del supplente – sia rivolgersi a chi, presente in graduatoria, non ha dichiarato la propria disponibilità in tal senso, sia rivolgersi a chi l’ha dichiarata per altre istituzioni scolastiche. Pertanto, proprio in considerazione della “specialità” della disciplina, si ritiene che, una volta esaurita la “graduatoria” finalizzata alla copertura delle supplenze fino a 10 giorni, il dirigente scolastico possa ragionevolmente fruire della procedura cosiddetta di “interpello”, normata dal comma 23 del medesimo articolo 13 dell’OM 88/24. A tal proposito, si richiama l’attenzione sul fatto che la circolare annuale per le supplenze (nota DGPER 157048 del 9 luglio 2025), al punto 3.1, impartisce specifiche istruzioni in merito alla gestione di questa particolare fattispecie: “Per quanto attiene gli avvisi di interpello da utilizzare per l’immediata individuazione del supplente in caso di assenza del titolare fino a dieci giorni nella scuola primaria e nella scuola dell’infanzia, i dirigenti scolastici potranno attivare preventivamente le procedure di interpello, senza l’indicazione della data di inizio della supplenza, della durata, dell’orario complessivo settimanale e della sede di servizio”.

    Data di pubblicazione: 16/12/2025

  • Un parere sulla concessione delle ferie non godute per incarico di DSGA facente funzione in una scuola diversa da quella di titolarità...
  • Ai sensi dell'articolo 13, comma 10 del CCNL del 29 novembre 2007, la fruizione delle ferie, per il personale docente e ATA, oltre il termine dell'anno scolastico al quale si riferiscono, è possibile nei seguenti casi: - particolari esigenze di servizio; - motivate esigenze di carattere personale; - malattia. In questi casi, il personale docente può recuperare le ferie entro l'anno scolastico successivo a quello di maturazione, nei periodi di sospensione dell'attività didattica. Per il personale ATA, per il quale la fruizione è svincolata dalle attività didattiche, il termine è fissato "di norma" al mese di aprile dell'anno successivo. Si pone, pertanto, la questione della recuperabilità delle ferie non godute, qualora i termini previsti dal CCNL siano stati superati. Per rispondere al quesito, ricordiamo che la giurisprudenza, basandosi sul rispetto del principio costituzionale dell'irrinunciabilità del diritto alle ferie, ha stabilito che sia onere del datore di lavoro dimostrare di aver messo il dipendente in condizione di fruire delle ferie spettanti (cfr. Cass. n. 13691/2025). Di conseguenza, il fatto che il dipendente non abbia richiesto le ferie entro i termini di cui al CCNL non ne comporta necessariamente la perdita, incombendo sul datore di lavoro la prova di aver informato il dipendente della possibilità di fruire delle ferie spettanti, entro detti termini che, di conseguenza, non possono essere considerati quali limiti insuperabili. Sul punto è intervenuta l'ARAN, con l'orientamento interpretativo n. 31465 del 9 febbraio 2024. L'ARAN osserva che il fatto che siano state accumulate "ferie pregresse" costituisce un'eccezione, non contemplata dalle norme contrattuali; inoltre, stante il divieto di monetizzazione delle ferie (salvo casi particolari), l'amministrazione è tenuta ad attivarsi, vigilando sulla fruizione delle ferie e sul rispetto dei termini previsti. La norma contrattuale, pertanto, non costituisce tanto un limite al diritto di fruizione delle ferie, quanto piuttosto un'onere per l'amministrazione. L'ARAN conclude che possano pertanto verificarsi casi eccezionali, come una malattia di lunga durata, che impediscano il rispetto dei limiti contrattuali per la fruizione delle ferie. Ciò premesso, nel caso in questione la motivazione espressa dal dipendente - non aver potuto utilizzare i giorni di ferie a causa dell'incarico da DSGA in una scuola diversa da quella in cui è titolare come Assistente Amministrativa - non è ricompresa fra quelle di cui all'art. 13, comma 10 CCNL 29/11/2007. La dipendente, infatti, avrebbe ben potuto fruire delle ferie maturate nel 2023/2024 nella scuola di incarico DSGA del 2024/2025. Ciò, tuttavia, non esclude che possa comunque sussistere il diritto al recupero, qualora l'amministrazione non abbia informato la dipendente del diritto di fruire delle ferie. Si consiglia, pertanto, di verificare che, in ciascun anno scolastico, la dipendente sia stata avvertita dell'esigenza di fruire delle ferie e i motivi della mancata fruizione. La dipendente avrà diritto a recuperare le ferie non godute, qualora non sia stata avvisata della necessità di fruirne o qualora le ferie non siano state fruite per uno dei motivi previsti dal CCNL (ad esempio, per esigenze di servizio). Si precisa, infine, che non assume rilevanza il fatto che, in tutt'altra situazione sia stato concesso, per motivi non noti, il recupero ad altro personale di altra istituzione scolastica.

    Data di pubblicazione: 16/12/2025

  • Docente in part-time verticale: quanti giorni di L. 104 spettano al mese?
  • Per quanto concerne l’utilizzo dei permessi di cui all’art. 33, comma 3 della legge 104/92, in caso di part-time verticale, la Cassazione, con le Sentenze n. 4069 del 20 febbraio 2018 e n. 22925 del 29 settembre 2017, ha affermato che i tre giorni di permesso non si riproporzionano in caso di part-time superiore al 50%. Ad avviso della Suprema Corte appare ragionevole distinguere l’ipotesi in cui la prestazione di lavoro part-time sia articolata sulla base di un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, da quello in cui comporti una prestazione per un numero di giornate di lavoro inferiori, o addirittura limitata solo ad alcuni periodi nell’anno e riconoscere, solo nel primo caso, stante la pregnanza degli interessi coinvolti e l’esigenza di effettività di tutela del disabile, il diritto alla integrale fruizione dei permessi previsti dall’art. 33 della Legge n. 104/1992. L’ARAN, con l’O.A. CFC34 del 25 novembre 2019, ha affermato che l’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 22925/2017, ribadito anche nella sentenza n. 4069 del 20/02/2018, in tema di permessi ex Legge n. 104/1992, per l’autorevolezza della fonte rappresenti un indirizzo applicativo concreto e fattuale. Fermo restando, quindi, il generale obbligo di riproporzionamento nei casi di rapporto di lavoro a tempo parziale, in considerazione della natura di strumento di politica socio-assistenziale del permesso riconosciuto per l’assistenza alla persona con grave disabilità, a parere della Suprema Corte non va operato il riproporzionamento dei tre giorni di permesso ex art. 33 della Legge n. 104/1992 nei confronti del lavoratore con contratto in part-time verticale che effettui prestazione lavorativa per un numero di giornate superiori al 50% rispetto all’ordinario orario lavorativo in regime di full time. L’INPS, con la Circolare n. 45 del 19 marzo 2021, ha fornito chiarimenti in merito alle formule di calcolo da applicare ai fini del riproporzionamento dei tre giorni di permesso mensile, di cui all’art. 33 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, nei casi di rapporto di lavoro part-time di tipo verticale e di tipo misto con attività lavorativa part-time superiore al 50%. L’ARAN con l’O.A. 15 giugno 2021 CIRS84, ha così ulteriormente precisato “Ad un docente con un rapporto di lavoro part-time verticale che presta l’attività lavorativa per 9 ore su 18, è ancora applicabile il riproporzionamento giornaliero dei permessi di cui all’articolo 33, commi 3 e 6, della Legge n. 104/92, ciò anche a seguito di alcune sentenze intervenute in materia? Nel merito, appare utile riportare un estratto dell’orientamento applicativo del comparto scuola, pubblicato nella Raccolta sistematica relativa ai permessi: “[…] Nel caso invece di part-time verticale, il permesso mensile di tre giorni deve essere ridotto proporzionalmente alle giornate effettivamente lavorate. A tale riguardo possono essere consultate le seguenti circolari: Circolare 34 del 10 luglio 2000 dell’INPDAP (punto 8); Circolare 133 del 17 luglio 2000 dell’INPS in cui al punto 3.2 Circolare 100 del 24 luglio 2012 dell’INPS in cui al punto 4, lett. a). In proposito, occorre anche precisare che la prestazione lavorativa a tempo parziale di tipo verticale si può articolare concentrando l’attività lavorativa con due diverse modalità: 1. per tutti i giorni lavorativi, ma solo in alcuni mesi dell’anno; 2. soltanto per alcune settimane del mese o per alcuni giorni della settimana. Conseguentemente, nel caso in cui il contratto di part-time sia riconducibile all’ipotesi contemplata al punto 1, il dipendente avrà diritto ai benefici in parola nella misura intera nei mesi in cui è prevista la prestazione lavorativa”. Tale orientamento applicativo trae origine, oltre che dall’interpretazione delle norme contrattuali, anche dalle indicazioni fornite dagli Enti e Dipartimenti Pubblici deputati all’interpretazione delle norme di legge. Nel caso de quo, in particolare, si richiama il messaggio INPS n. 3144 del 7/08/2018 da cui si evince un possibile e lecito riproporzionamento del numero complessivo dei giorni mensili ex lege 104 del lavoratore part-time “riproporzionato in ragione della ridotta entità della sua prestazione lavorativa”. Inoltre, sempre in materia di riproporzionamento delle assenze e dei permessi nei confronti dei lavoratori in regime di part-time verticale, va ricordata la pronuncia della Corte di Cassazione, intervenuta con sentenza n. 22925 depositata il 29 settembre 2017, in tema di permessi ex Legge n. 104/1992, la quale, per l’autorevolezza della fonte, rappresenta un indirizzo applicativo concreto e fattuale non in contraddizione con il principio generale espresso nella clausola contrattuale in oggetto di cui, anzi, condivide la logica. Tale sentenza ha affermato che “Il criterio che può ragionevolmente desumersi da tali indicazioni è quello di una distribuzione in misura paritaria degli oneri e dei sacrifici connessi all’adozione del rapporto di lavoro part-time e, nello specifico, del rapporto part-time verticale. In coerenza con tale criterio, valutate le opposte esigenze, appare ragionevole distinguere l’ipotesi in cui la prestazione di lavoro part-time sia articolata sulla base di un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario, da quello in cui comporti una prestazione per un numero di giornate di lavoro inferiori, o addirittura limitata solo ad alcuni periodi nell’anno e riconoscere, solo nel primo caso, stante la pregnanza degli interessi coinvolti e l’esigenza di effettività di tutela del disabile, il diritto alla integrale fruizione dei permessi in oggetto”. Tutto quanto sopra considerato, si ritiene che nel caso prospettato - qualora la prestazione resa in part-time verticale sia pari al 50% di quella a tempo pieno - i tre giorni di permesso di cui alla Legge n. 104/1992 siano soggetti a riproporzionamento. Ciò premesso, nel caso di specie per la docente di scuola primaria che ha un contratto part time di 12 ore su 24 ore, non è stato chiarito su quanti giorni lavorativi e, se l'Istituto ha adottato la settimana corta di cinque giorni, dati questi importanti per definire se si devono riproporzionare. Tuttavia, in mancanza di questi dati, se la prestazione lavorativa è per un numero di giornate, ad esempio 4, quindi superiori al 50% rispetto all’ordinario orario lavorativo in regime di full time, i permessi non devono essere riproporzionati, viceversa, devono essere riproporzionati. Si aggiunge che, la citata giurisprudenza della Cassazione e richiamata anche nel parere ARAN fa riferimento a un orario settimanale che comporti una prestazione per un numero di giornate superiore al 50% di quello ordinario (dato non indicato nel caso di specie se cinque settimana corta o sei giorni settimana normale).

    Data di pubblicazione: 16/12/2025

  • Un parere sugli adempimenti della scuola in presenza di titoli dichiarati falsi nelle graduatorie ATA...
  • Gentile utente, nel caso sottoposto poichè la denuncia è già stata presentata dall'ente regionale presso cui la dipendente ha dichiarato in maniera non veritiera di aver conseguito il titolo, non è necessario che la scuola sporga ulteriore denuncia sulla stessa fattispecie. E ' necessario invece procedere al depennamento del collaboratore dalla graduatoria di istituto di terza fascia dei collaboratori scolastici, poichè le dichiarazioni mendaci sono particolarmente sanzionate nelle norme che dispongono l'aggiornamento delle graduatorie di istituto di III fascia, di cui all'art. 7 comma 1 del D.M. 89\2024 , che prevede: "1. L'Amministrazione scolastica dispone l'esclusione degli aspiranti che: a. risultino privi di qualcuno dei requisiti di cui ai precedenti articoli 2 e 3; b. abbiano reso, nella compilazione della domanda, dichiarazioni non corrispondenti a verità e non riconducibili a mero errore materiale. " inoltre l'art. 6 dello stesso decreto che prevede i controlli da parte delle istituzioni scolastiche sulle dichiarazioni presentate dai candidati e in caso di accertamento negativo eventuali esclusioni o rettifiche del punteggio dispone che: "15. Fatto salvo quanto previsto dall’articolo 2, comma 6, conseguentemente alle determinazioni di cui al comma 13, l'eventuale servizio prestato dall'aspirante in assenza del titolo di studio richiesto per l'accesso al profilo e/o ai profili richiesti o sulla base di dichiarazioni mendaci, e assegnato nelle precedenti graduatorie di circolo e di istituto di terza fascia, sarà, con apposito provvedimento emesso dal Dirigente scolastico già individuato al comma 11, dichiarato come prestato di fatto e non di diritto, con la conseguenza che lo stesso non è menzionato negli attestati di servizio richiesti dall’interessato e non è attribuito alcun punteggio, né è utile ai fini del riconoscimento dell’anzianità di servizio e della progressione di carriera, salva ogni eventuale sanzione di altra natura." Nel caso sottoposto il collaboratore deve essere escluso dalla graduatoria , il contratto deve essere risolto a causa dell'esclusione e dalla dichiarazione falsa e il servizio già svolto deve essere dichiarato come prestato solo di fatto, senza alcuna validità giuridica.

    Data di pubblicazione: 16/12/2025

  • Supplenza ATA fino al 30 giugno: mancata presa di servizio per malattia, ferie non maturate e decorrenza del contratto...
  • Gentile utente, nel caso sottoposto il collaboratore scolastico non ha potuto assumere servizio a causa della malattia e pur avendo accettato il contratto non l'ha perfezionato, con la presa di servizio, dalla cui data decorrono tutti gli effetti economici dell'assunzione e anche la possibilità di usufruire dei congedi ed aspettative previste dal CCNL di comparto, comprese le ferie . In questa situazione il dipendente non può differire l'assunzione in servizio fino al 7\01, giustificando l'assenza nel periodo natalizio con le ferie che non ha ancora maturato e che non costituiscono causa di forza maggiore, al pari della malattia, infortunio, gravidanza, che sono le uniche fattispecie per cui è concesso il differimento della presa di servizio. Infatti la circolare ministeriale sulle supplenze del personale della scuola n. 157048\2025 nelle disposizioni comuni al personale docente ed ata prevede che: "La stipula del contratto, analogamente a quanto avviene per le assunzioni a tempo indeterminato, opportunamente perfezionata dal dirigente scolastico attraverso le funzioni del sistema informativo, rende immediatamente fruibili gli istituti di aspettativa e congedo previsti dal CCNL. È inoltre, estesa al personale a tempo determinato la possibilità di differire la presa di servizio per i casi contemplati dalla normativa (a titolo esemplificativo, maternità, malattia, infortunio)." Nel caso sottoposto l'assunzione non è stata perfezionata attraverso le funzioni del sistema informativo e pertanto il differimento della presa di servizio può essere concesso solo nel periodo di malattia e fino al 7\01 solo se il dipendente fino a tale data giustificherà la mancata assunzione con lo stato di malattia.

    Data di pubblicazione: 16/12/2025

  • Congedo parentale per genitori separati: possibilità di fruizione simultanea e giorni spettanti...
  • Così come previsto dall’art. 32 del D.L.vo 151/2001:- Per ogni bambino, nei primi suoi dodici anni di vita , ciascun genitore ha diritto di astenersi dal lavoro. I congedi dei genitori non possono complessivamente eccedere il limite di 10 mesi, elevato a 11 mesi. ? Spetta sempre anche quando l’altro genitore non ne ha diritto. ? Nell'ambito del predetto limite, il diritto compete: 1. alla madre lavoratrice, dopo il periodo di congedo di maternità, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi; 2. al padre lavoratore, dalla nascita del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a 6 mesi, elevabile a 7 mesi nel caso in cui usufruisca di almeno 3 mesi; 3. qualora vi sia un solo genitore, nei confronti del quale sia stato disposto, ai sensi dell'articolo 337-quater del Codice civile, l'affidamento esclusivo del figlio, per un periodo continuativo o frazionato non superiore a undici mesi (unica modifica e non più 10 mesi). In quest'ultimo caso, l'altro genitore perde il diritto al congedo non ancora utilizzato. L’ art. 337- quater del C.C. precisa » Affidamento a un solo genitore e opposizione all'affidamento condiviso- Il giudice può disporre l'affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l'affidamento all'altro sia contrario all'interesse del minore” In questo caso la copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, all'INPS.. Indicazioni queste confermate dall’INPS nella circolare 122 del 27-10-2022 e aggiunge quanto segue. Ai fini della fruizione del congedo parentale, lo status di “genitore solo” sussiste: • in caso di morte o grave infermità dell’altro genitore; • in caso di abbandono o mancato riconoscimento del minore da parte dell’altro genitore; • in tutti i casi di affidamento esclusivo del minore a un solo genitore, compreso l’affidamento esclusivo disposto ai sensi dell’articolo 337-quater del c.c Quindi, in merito alla prima domanda, per legge e per consolidata regola, i periodi di congedo parentale possono essere fruiti dai genitori anche contemporaneamente per lo stesso figlio nel limite delle relative disposizioni. Al riguardo si aggiunge che durante il congedo parentale del padre la madre oltre ad essere in congedo di maternità può fruire del riposo per allattamento. Unica particolare attenzione concerne l’applicazione del successivo art. 34 dello stesso D.lgs. relativo trattamento economico, indicazioni che si riportano di seguito. Il congedo è retribuito sino ai 12 anni di vita del bambino, per i primi 9 mesi, mentre per il periodo eccedente (decimo ed anche undicesimo mese) dipende dalla situazione reddituale. In riferimento ai 9 mesi spettano: -3 mesi con relativa indennità alla madre non trasferibili - 3 mesi con relativa indennità al padre sempre non trasferibili (non trasferibili significa che sono personali e non possono essere usati alternativamente l’uno o l’altro) – 3 mesi cumulativi da fruire alternativamente madre e/o padre. Il caso specifico merita un ulteriore approfondimento. Al riguardo, si ritiene che ogni genitore è titolare di un vero e proprio diritto potestativo alla fruizione dello stesso, quindi, anche nel caso specifico il genitore padre può usufruire del congedo parentale. Solo nel caso in cui il minore sia affidato esclusivamente a un solo genitore ai sensi dell’articolo 337-quater del c.c (ad esempio la madre), l’altro genitore (il padre)  non ha più diritto ad usufruire della sua parte di congedo. In questo caso, quindi, è propedeutico che alla domanda sia allegato l’atto di separazione nel quale si attesti l’affidamento esclusivo ai sensi del citato art. 337 quater al genitore che richiede il congedo.

    Data di pubblicazione: 16/12/2025

  • Assenze consecutive del personale ATA: computo di sabati e festivi tra congedo parentale e malattia...
  • Relativamente al congedo parentale e congedo per malattia del bambino, il comma 5 dell’art. 34 del CCNL 2024 prevede che i periodi di assenza di cui ai precedenti commi 3 e 4 (congedo parentale e congedo per malattia del bambino), nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all'interno degli stessi. Tale modalità di computo trova applicazione anche nel caso di fruizione frazionata, ove i diversi periodi di assenza non siano intervallati dal ritorno al lavoro del lavoratore o della lavoratrice (prima il riferimento normativo era l'art. 12 del CCNL 2007 citato nei pareri ARAN che andiamo a riportare). Pertanto, alla luce della suddetta disposizione contrattuale, se tra due periodi di congedo parentale/ malattia del bambino non intercorre almeno un giorno di lavoro effettivo, devono essere computati o come congedo parentale o come congedo malattia anche i sabati e le domeniche ricompresi tra gli stessi. A supporto si riporta l'orientamento SCUOLA 060 del 23/05/2013. "Nel caso di assenza di un dipendente di tipo ciclica, cioè che ha inizio con un periodo di congedo parentale e termina con la fruizione dello stesso congedo, intervallato da altra tipologia di assenza, senza però che si verifichi il rientro effettivo del docente, le giornate del sabato e della domenica come devono essere computate? Si fa presente che ai sensi dell'art. 12, comma 6, del CCNL 29/11/2007 (congedi parentali) "6. I periodi di assenza di cui ai precedenti commi 4 e 5, nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all'interno degli stessi. Tale modalità di computo trova applicazione anche nel caso di fruizione frazionata, ove i diversi periodi di assenza non siano intervallati dal ritorno al lavoro del lavoratore o della lavoratrice." In relazione alla nota INPS n. 19772 del 18 ottobre 2011, da voi citata, sembra chiaro, dall’esempio relativo al caso 2, che nel quesito da voi esposto ci si trovi di fronte ad un’assenza di tipo ciclica che ha inizio con un periodo di congedo parentale e termina con la fruizione dello stesso congedo, intervallato da altra tipologia di assenza, senza però che si verifichi il rientro effettivo del docente, in quanto le assenze per L. 104 ricadono all’interno di due differenti frazioni di congedo parentale senza nessuna ripresa del servizio". La citata Nota INPS n. 19772 del 18 ottobre 2011, fornisce una serie di esempi e modalità di computo del congedo. Nel caso in cui un lavoratore, con orario di lavoro articolato su cinque giorni lavorativi (c.d. settimana corta), fruisca di congedo parentale nel seguente modo: 1^ settimana: dal lunedì al venerdì = congedo parentale Sabato e domenica 2^ settimana: dal lunedì al venerdì = ferie - malattia - assenza ad altro titolo Sabato e domenica 3^ settimana: dal lunedì al venerdì = ferie o malattia o assenza ad altro titolo Sabato e domenica 4^ settimana: dal lunedì al venerdì = congedo parentale il sabato e la domenica compresi tra la seconda e la terza settimana non sono computabili, né indennizzabili a titolo di congedo parentale in quanto tali giorni - compresi in un periodo unico di congedo parentale posto che, dalla prima alla quarta settimana, non vi è ripresa dell’attività lavorativa - risultano comunque ricompresi all’interno di un periodo di assenza fruita ad altro titolo (periodo neutro ai fini di interesse). Viceversa, il sabato e la domenica ricadenti tra la prima e la seconda settimana e tra la terza e la quarta sono computabili ed indennizzabili in conto congedo parentale in quanto tali giorni cadono, rispettivamente, subito dopo e subito prima il congedo parentale richiesto. Quanto sopra vale anche nei casi in cui il lavoratore alterni congedo parentale e ferie nel seguente modo: dal martedì al giovedì = congedo parentale venerdì = ferie sabato e domenica lunedì= ferie dal martedì a giovedì = congedo parentale. Anche in tale ultima ipotesi, infatti, il sabato e la domenica non si computano a titolo di congedo parentale in quanto inclusi in un periodo, seppur breve, di ferie (venerdì e lunedì). A chiarimento di quanto sopra esposto l'INPS fornisce ancora due possibili casi: Caso 1 da lunedì a venerdì = congedo parentale sabato e domenica da lunedì a mercoledì = ferie giovedì = ripresa del lavoro Caso 2 da lunedì a venerdì = congedo parentale sabato e domenica da lunedì a mercoledì = ferie giovedì = congedo parentale venerdì = ripresa del lavoro Nel primo caso (caso 1) il sabato e la domenica rimangono evidentemente esclusi dal computo del congedo parentale in quanto la frazione di congedo termina il venerdì (infatti, successivamente alle ferie, il lavoratore riprende l’attività lavorativa). Viceversa, nel secondo caso (caso 2), il sabato e la domenica vanno conteggiati ed indennizzati in conto congedo parentale in quanto tali giorni sono compresi in un’unica frazione di congedo (dal lunedì della prima settimana al giovedì della seconda) e ricadono immediatamente dopo il congedo parentale. I criteri sopra indicati trovano applicazione anche nell’ipotesi in cui il lavoratore, avendo già richiesto un periodo di congedo parentale, presenti un’altra domanda (o diverse domande) di congedo parentale determinanti di fatto una proroga del periodo di congedo precedentemente richiesto. L'ARAN, con l'O.A. CIRS46 24 febbraio 2021 ha ulteriormente precisato che nell’ipotesi, ad esempio, che il lavoratore o la lavoratrice richiedano 4 giorni di congedo parentale (lunedì –giovedì), 1 giorno di ferie (venerdì) e successivamente altri 4 giorni di congedo parentale (lunedì – giovedì), il sabato e la domenica ricadenti nei due periodi di congedo, non essendo gli stessi intervallati dal ritorno al lavoro, sono considerati congedo parentale e conteggiati nell’ambito di tali assenze. Nel caso di specie la dipendente è stata così assente: 2 dicembre martedì: congedo parentale 3 – 5 dicembre ( mercoledì – venerdì): malattia 9 martedì: congedo parentale. Ciò premesso, in applicazione delle indicazioni suesposte, si ritiene che il sabato e i 2 gg festivi siano da imputare a congedo parentale.

    Data di pubblicazione: 16/12/2025

  • Cessazione per dimissioni e mancato pensionamento: TFR a carico della scuola o del MEF?
  • Gentile utente, se la collaboratrice scolastica ha rassegnato le dimissioni sicuramente era di ruolo, pertanto l'istituzione scolastica deve procedere con l'inserimento dell'ultimo miglio TFR. Il MEF - NOIPA elabora ed invia i TFR solo per il personale con contratto a tempo determinato.

    Data di pubblicazione: 15/12/2025

  • Eccedenza del limite di spesa per libri di testo: profili operativi e possibili provvedimenti dell’USR...
  • Non è infrequente il caso di segnalazioni di "sforamenti" nei tetti di spesa previsti dalla norma e precisati nella nota del 5 giugno 2025 citata nel quesito. Per la verità, non è stata introdotta nella norma una specifica previsione dei provvedimenti eventuali da adottare nei confronti della scuola o del dirigente scolastico. Fermo restando che, ad anno scolastico già iniziato da tempo, non possono essere imposte variazioni alle famiglie, la sola ipotesi che si potrebbe prospettare è una contestazione di addebito al dirigente scolastico, in veste di presidente del Collegio e soprattutto di garante del rispetto delle norme. L'USR potrebbe quindi "chiedere conto" al DS, nel rispetto della procedura prevista dal codice disciplinare e assicurando comunque la possibilità di presentare opportune controdeduzioni (per esempio chiarendo se le delibere siano state adottate con l'avallo del suo parere favorevole) Non si nega che il caso si presenti abbastanza delicato, proprio perché le scelte per l'adozione dei libri di testo passano attraverso una procedura articolata che coinvolge diversi livelli collegiali. Ciò non toglie che esiste una specifica norma (tra tutte si cita il cfr DL 104/2013 e successivi DM applicativi), norma che va rispettata; ed è proprio il DS che si deve fare garante di ciò.

    Data di pubblicazione: 15/12/2025

  • Docente in aspettativa e messa a disposizione durante le vacanze natalizie: sospensione o continuità del periodo?
  • Docente in aspettativa fino all'ultimo giorno di lezione prima delle vacanze natalizie, presenta messa a disposizione durante le vacanze...

    Data di pubblicazione: 15/12/2025

  • Gestione delle emergenze mediche di uno studente minorenne: obblighi e responsabilità del personale a scuola e durante i viaggi di istruzione...
  • Il caso non ha una sua specifica regolamentazione, dal momento che lo studente, quando colto dalle crisi, non necessita della somministrazione di farmaci salvavita (fattispecie che ha un suo inquadramento e una sua disciplina, discendenti da documenti ministeriali e protocolli stipulati tra Regione e USR a livello territoriale). Tuttavia, proprio per la sua delicatezza e perché privo di autonoma regolamentazione, gli si possono applicare – con i dovuti adattamenti – questi ultimi, a garanzia sia della salute e della incolumità dello studente sia della istituzione scolastica. Si consiglia dunque di procedere come segue, dato per scontato che il dirigente scolastico abbia fornito a tutti i lavoratori le informazioni necessarie per fronteggiare le situazioni di emergenza e abbia individuato e formato gli addetti al primo soccorso nel plesso frequentato dallo studente in questione nonché fatte salve eventuali diverse e/o ulteriori indicazioni contenute nel protocollo regionale: - richiedere alla famiglia la produzione di una certificazione del medico curante, da affiancare a quella dello specialista privato; - redigere un protocollo di intervento e di gestione delle crisi, alla luce della richiesta della famiglia e della certificazione medica dalla stessa prodotta. Il protocollo deve dunque essere condiviso e sottoscritto dal dirigente scolastico, dalla famiglia e dai medici che hanno prodotto la certificazione; - rendere noto il contenuto di detto protocollo al personale docente interessato e al personale ATA assegnato al plesso, oltreché agli addetti al primo soccorso, in modo tale da metterli in condizione di intervenire, in caso di necessità, conoscendo le procedure da porre in atto. Il protocollo garantisce chiarezza e trasparenza delle procedure a tutela di tutti i soggetti coinvolti (studente in primis ma anche dirigente scolastico e dipendenti della scuola). Per quanto riguarda il viaggio di istruzione e, soprattutto, il trasferimento aereo previsto in occasione dello stesso, si osserva innanzitutto che i viaggi di istruzione devono essere calibrati sulle esigenze formative degli studenti, nell’ottica dell’inclusione di tutti. Da un simile punto di vista, il fatto che il consiglio di classe abbia progettato un determinato viaggio di istruzione senza tener conto della condizione personale dello studente in esame, si potrebbe appalesare come discriminatorio. Si suggerisce pertanto di riconvocare l’organo collegiale e di far rimodulare il progetto in modo che risulti realmente inclusivo e rispettoso di tutte le esigenze e condizioni (formative e personali). In caso di mancata rimodulazione del progetto, l’unica soluzione sarebbe quella di integrare il protocollo suddetto prevedendo specificamente quali azioni porre in essere in caso di crisi durante il trasferimento aereo e di avvertire formalmente, d’accordo con la famiglia, la compagnia aerea di una siffatta eventualità. Ovviamente, l’integrazione del protocollo, sottoscritto anche dai genitori e dai medici che hanno in cura lo studente, nonché il raccordo con la compagnia aerea sono in grado di eliminare la responsabilità della scuola in caso di infortunio dello studente, a seguito di una crisi durante il volo. Si tenga poi presente che, se lo studente compie la maggiore età prima del viaggio di istruzione, egli stesso deve essere coinvolto in questo percorso e svolgervi una parte attiva. Tuttavia, lo si ripete, la opzione prioritaria rimane la prima, in considerazione del fatto che è la didattica a doversi curvare alle esigenze degli studenti e non viceversa.

    Data di pubblicazione: 15/12/2025

  • Visita fiscale INPS non eseguita per presunta irreperibilità: valutazione della giustificazione del dipendente...
  • Per quanto concerne l'assenza alla visita fiscale, l'INPS, con i messaggi 31 ottobre 2017, n. 4282 e 29 marzo 2018, n. 1399 ha precisato che: 1. il medico, in caso di assenza del lavoratore alla visita fiscale, dovrà sempre effettuare la convocazione a visita ambulatoriale; 2. il procedimento sulla giustificazione o meno del lavoratore per la sua assenza al domicilio è deciso esclusivamente dal D.S.; è previsto l'esame delle giustificazioni, da parte dell'Ufficio medico legale INPS territorialmente competente, qualora queste abbiano carattere prettamente sanitario. Ai sensi dell'art. 5, ultimo comma, del DL 12/09/1983, n. 463, convertito con modificazioni nella Legge 11/11/1983, n. 638, qualora il lavoratore risulti assente alla visita di controllo senza giustificato motivo, decade dal diritto a qualsiasi trattamento economico per l’intero periodo sino a dieci giorni e nella misura della metà per l’ulteriore periodo, esclusi quelli di ricovero ospedaliero o già accertati da precedente visita di controllo. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 78 del 1988, ha confermato la regola della perdita del trattamento economico per i primi dieci giorni, ma ha stabilito che per quelli successivi la decadenza dal medesimo diritto nella misura del 50% si verifichi soltanto nel caso di assenza ingiustificata a una seconda visita di controllo. Ciò premesso, va precisato che il referto redatto dal medico fiscale, trattandosi di pubblico ufficiale, fa fede fino a querela di falso per i fatti avvenuti in sua presenza. Il certificato medico rilasciato presso una struttura pubblica ospedaliera è atto pubblico assistito da fede privilegiata e, come tale, fa piena prova sino a querela di falso della provenienza dal pubblico ufficiale che lo ha formato, delle dichiarazioni rese al medesimo, e degli altri fatti da questi compiuti o che questi attesti avvenuti in sua presenza (Cassazione civile, sez. III, 24/09/2015, n. 18868). Il referto compilato in occasione della visita di controllo dal medico, che assume in relazione al relativo accertamento la qualifica di pubblico ufficiale, deve essere considerato atto pubblico; come tale esso è dotato, ai sensi dell'art. 2700 c.c., di efficacia di piena prova, sì che il giudice è vincolato alle risultanze del documento, mentre l'unico mezzo concesso alle parti per contrastato è la proposizione della querela di falso (Tribunale Torino, 18/11/1993). Nell'ipotesi in cui il medico incaricato della visita di controllo della malattia abbia attestato - con atto che fa prova fino a querela di falso - il mancato reperimento del lavoratore nella sua abitazione, quest'ultimo, ove deduca di essere stato presente al proprio domicilio, è tenuto a dimostrare le circostanze a lui non imputabili per incuria, negligenza o comunque per motivi non socialmente apprezzabili, che abbiano reso impossibile la visita, dovendosi presumere che l'accertamento dell'irreperibilità sia stato svolto con il compimento di ogni adeguata attività di ricerca in relazione alla particolare situazione dei luoghi (Cassazione civile sez. lav., 14/09/1993, n. 9523). Richiamato il quadro normativo e giurisprudenziale in materia si ritiene quanto segue. Il presupposto è che il medico abbia verbalizzato l'assenza alla visita; in questo caso, come detto sopra, il verbale fa fede fino a querela di falso. Se, in fase di richiesta di chiarimenti, il dipendente allega tutta una serie di prove a dimostrazione che il medesimo si trovava a casa al momento della visita (es. prove testimoniali, documentali etc), il DS, trovandoci in una extragiudiziale, potrebbe archiviare la contestazione di assenza ingiustificata alla visita. Se, tuttavia, la situazione è riassumibile in "la parola del medico contro quella del dipendente", (quindi senza allegazione di prove a confutazione della dichiarazione di assenza dal domicilio come, a nostro avviso, nel caso di specie dove vi è solo il registro delle chiamate sul cellulare del docente) proprio alla luce della giurisprudenza sopra richiamata si ritiene che il DS debba considerare l'assenza non giustificata con le conseguenze suesposte. Ovviamente, il dipendente potrà fare ricorso al Giudice del Lavoro previo esperimento del procedimento di querela di falso, in via incidentale o principale, ai sensi degli artt. 221 cpc. Infine, si ritiene che il dipendente è tenuto ad osservare un comportamento improntato a buona fede e correttezza e porre in essere tutte le condotte idonee a permettere lo svolgimento della visita di controllo. Conclusivamente, nel caso di specie si ritiene che l’assenza sia da considerare non giustificata in quanto la dipendente non ha allegato alcuna prova a dimostrazione che si trovava a casa al momento della visita.

    Data di pubblicazione: 15/12/2025

  • Recupero delle ore di permesso: indicazioni in caso di ritardi non imputabili al dipendente...
  • Si ritiene che il quesito verta sulle modalità corrette di recupero dei permessi brevi, di cui all'articolo 16 del CCNL 29/11/2007. Il comma 3 di tale articolo prevede l'obbligo, per il dipendente, di recuperare le ore non lavorate, anche in più soluzioni, in relazione alle esigenze di servizio. Qualora, per fatto proprio del dipendente, il recupero non sia possibile, l'amministrazione, come previsto dal successivo comma 4, trattiene la somma corrispondente alle ore non recuperate. Il limite temporale di due mesi previsto dal citato comma 3, il cui esatto testo è "Entro i due mesi lavorativi successivi a quello della fruizione del permesso, il dipendente è tenuto a recuperare le ore non lavorate" implica che, decorso tale termine, il dipendente non sia più tenuto al recupero e, di conseguenza, l'amministrazione non possa più esigerlo dal dipendente stesso. In conclusione, la risposta al quesito è negativa: decorsi due mesi, l'istituzione scolastica non può più chiedere il recupero, se questo non è avvenuto per cause non imputabili al dipendente. Si osserva, infine, che neanche nel caso contrario (cause imputabili al dipendente) sarebbe possibile il recupero, perché allora l'amministrazione dovrebbe invece procedere ad applicare la relativa trattenuta stipendiale, come previsto dal comma 4 sopra citato.

    Data di pubblicazione: 15/12/2025

  • Viaggi di istruzione oltre soglia: possibilità di ricorrere all’affidamento diretto in caso di gara deserta, alla luce della sentenza del Consiglio di Stato n. 6600/2025...
  • L'Istituto, superando complessivamente i 221.000 euro di spesa preventivata, si rivolge a una stazione appaltante qualificata per l'individuazione...

    Data di pubblicazione: 15/12/2025

  • Il servizio non di ruolo prestato senza titoli abilitanti è valutabile nella ricostruzione di carriera di un docente di Educazione Motoria?
  • Il titolo di studio richiesto per insegnare su posto comune nella scuola primaria è la laurea magistrale a ciclo unico in scienze della formazione primaria o in alternativa i diplomi magistrali o del liceo pscico-pedagogico conseguiti entro l’anno scolastico 2001/2002. Tanto premesso il titolo posseduto dalla persona interessata non è titolo valido per il servizio rappresentato per cui lo stesso non può essere riconosciuto perché prestato senza titolo di studio specifico.

    Data di pubblicazione: 15/12/2025

  • Apertura di partita IVA per impresa agricola da parte di una docente: sussiste incompatibilità?
  • La materia dell'incompatibilità del personale scolastico è regolata dall’art. 53 del D.Lgs. 165/2001. L’art. 53, comma 1, del D.Lgs. 165/2001 stabilisce, infatti, che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli artt. 60 e segg. del DPR n. 3/1957, che vietano ai lavoratori pubblici l’esercizio di attività commerciali ed industriali, l’esercizio di professioni, l’assunzione di impieghi alle dipendenze di privati e di cariche in società aventi fine di lucro. L’art. 60 del DPR n. 3 citato prevede che l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Deve, essere considerato esercizio di attività imprenditoriale anche il ricoprire la posizione di presidente o di amministratore delegato di società di capitali (società per azioni, società a responsabilità limitata, società in accomandita per azioni). Non costituisce, invece, esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di amministratore o di presidente di fondazioni o associazioni o di altri enti senza fini di lucro. Ciò premesso, in merito al quesito posto occorre accertarsi, quindi, se tra le "attività industriali" di cui all’art. 60 citato debba essere ricompreso anche l'esercizio dell'attività imprenditoriale agricola o comunque relativa all'esercizio di una azienda agraria. In relazione alla compatibilità dello status di coltivatore diretto o di imprenditore agricolo a titolo principale con quello di impiegato, la Corte di Cassazione ha affermato che la qualità di impiegato non è logicamente e giuridicamente incompatibile con quella di coltivatore diretto, soprattutto quando la modesta estensione del fondo non renda incompatibile in fatto la possibilità di esercitare una doppia attività e di utilizzare le residue energie lavorative (Cassazione civile, sez. III, 23 agosto 1985, n. 4520; Cassazione civile, sez. lav., 04 marzo 1980, n. 1455). Il pubblico dipendente può essere conduttore di un'azienda agricola di famiglia, di cui è proprietario, purché tale attività non richieda un impegno assiduo, incompatibile, come tale, con lo svolgimento del tempo pieno (T.A.R. Potenza Basilicata 06 marzo 2003 n. 195). Il T.A.R. Veneto - Sede di Venezia - Sez. II - con la Sentenza 19 maggio 2011, n. 858 ha affermato che va esclusa la sussistenza di un’incompatibilità giuridica tra il rapporto di lavoro pubblico a tempo pieno e la qualifica di imprenditore agricolo a titolo professionale, desunta dalla legislazione in materia di pubblico impiego. La compatibilità dell’attività di imprenditore agricolo deve essere valutata, quindi, caso per caso, in relazione alle modalità concrete nelle quali si concretizza. Pertanto, la Cassazione ha affermato che in via generale nulla osta logicamente e giuridicamente che un impiegato dello Stato possa svolgere anche l’attività di coltivatore diretto, e quindi di piccolo imprenditore agricolo. In materia si è pronunciato anche il Dipartimento della Funzione Pubblica con circolare 18 luglio 1997, n. 6/1997 in questi termini: “E' stato prospettato il caso della partecipazione in società agricole a conduzione familiare, situazione diffusa in molte realtà territoriali. A giudizio di questo Dipartimento, l'attività rientra tra quelle compatibili solo se l'impegno richiesto è modesto e non abituale o continuato durante l'anno. Spetta all'amministrazione valutare che le modalità di svolgimento sono tali da non interferire sull'attività ordinaria”. Da ultimo la Cassazione, con l'Ordinanza 01/12/2020, n. 27420, ha affermato che in tema di incompatibilità dei pubblici dipendenti, dalla lettura combinata e complessiva dell'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 con l'art. 60 del DPR n. 3 del 1957 deriva che si possono distinguere tre ipotesi: 1) attività assolutamente incompatibili: sono le attività inibite, che non si possono esercitare nemmeno con autorizzazione (D.P.R. n. 3 del 1957, art. 60 etc.); 2) attività consentite: sono le attività per cui non è necessaria l'autorizzazione (indicate dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 6); 3) attività consentite previa autorizzazione: tutte le altre attività comprese nella sfera di applicabilità dell'art. 53 del TUPI. L'impresa agricola resta comunque un'impresa commerciale ma qualora in possesso dei requisiti previsti dall'art. 2135 c.c., otterrà lo status di agricola e in quanto tale non sarà assoggettata al fallimento e alle altre procedure concorsuali (ex art. 2221 c.c.) nè obbligata alla tenuta delle scritture contabili (ex art. 2136 c.c.); con il D.Lgs. 20 marzo 2004, n. 99 è stata prevista, all'art. 2, espressamente la "società agricola", che deve svolgere le attività previste per il singolo imprenditore e, sebbene non sia vincolata a qualche forma societaria, deve rispettare alcuni canoni come ad esempio l'espressa qualifica nella ragione sociale o denominazione. Tale tipo di società può essere costituita nella forma di società di persone (società semplici, s.n.c. o s.a.s.), società di capitali (s.r.l. o s.p.a.) e cooperativa e deve essere iscritta al Registro delle Imprese presso la Camera di Commercio. Ciò premesso la disposizione di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, citato art. 60, in un senso più aderente alla realtà attuale, non può che intendersi la stessa riferita anche a tale tipo di impresa agricola con la conseguenza che se il criterio guida è, ai fini della valutazione dell'incompatibilità di una attività extraistituzionale, l'interferenza sull'attività ordinaria del dipendente, anche la partecipazione in imprese agricole è da ritenere incompatibile con un rapporto di lavoro a tempo pieno laddove sussistano i caratteri della abitualità e professionalità, caratteri che la forma societaria prescelta può far presumere. Pertanto, anche alla luce dei principi sopra riportati ed all'ultimo intervento più rigido della Cassazione, il dirigente scolastico deve valutare (richiedendo apposite delucidazioni alla dipendente) se l’attività in questione sia oggettivamente tale da non impegnare il dipendente che in modo marginale o comunque non prevalente, e ovviamente al di fuori dell’orario d’ufficio; è escluso, infatti, l’esercizio di attività da parte di un dipendente pubblico tale da arrecare un pregiudizio alla Pubblica amministrazione, in termini di tempo dedicato e di impegno, nel rispetto del principio generale dell’esclusività del rapporto di lavoro pubblico. Conclusivamente la compatibilità dell’attività di imprenditore agricolo deve essere valutata, quindi, caso per caso, in relazione alle modalità concrete nelle quali si realizza e deve essere caratterizzata da mancanza di abitualità. Pertanto in riferimento al quesito posto si ritiene quanto segue: - l'attività imprenditoriale agricola non è assolutamente incompatibile con lo status di pubblico dipendente ma dipende da quanto detto sopra; - ai fini della compatibilità o meno quello che rileva, alla luce della giurisprudenza sopra riportata, è la modalità di esercizio dell'attività agricola (se continuativa è incompatibile). La Cassazione, con la Sentenza n. 11811 del 18 giugno 2020, ha affermato che l'autorizzazione postuma ("ora per allora") risulta ontologicamente incompatibile con la finalità dell'istituto della previa autorizzazione che, in base al disposto di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7, è quella di verificare, necessariamente ex ante, l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. E' stato, infatti, rilevato che il disposto del comma 9 del citato art. 53 , risulta diretto a sanzionare una violazione di carattere "formale", integrata cioè dal semplice fatto di un privato che abbia conferito un incarico a un dipendente pubblico senza avere ottenuto preventivamente l'autorizzazione dell'Amministrazione presso cui il medesimo presti servizio. Detto illecito non può, dunque, essere sanato da un'autorizzazione intervenuta successivamente (con effetti anche "ora per allora") al conferimento dell'incarico. La Cassazione, con la Sentenza 2 settembre 2020 n° 18206, ha ribadito che per quanto concerne il regime delle incompatibilità dei pubblici dipendenti, l'autorizzazione postuma e l'autorizzazione "ora per allora" risultano ontologicamente incompatibili con la finalità dell'istituto della previa autorizzazione che, in base al disposto di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7, è quella di verificare, necessariamente ex ante, l'insussistenza di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi. Da ultimo, è stato ribadito che lo svolgimento di incarichi extraistituzionali retribuiti da parte di dipendenti della P.A. è condizionato alla previa autorizzazione da parte dell'amministrazione di appartenenza, secondo quanto previsto dall'art. 53, comma 9, del d.lgs. n. 165 del 2001, con la conseguenza che la violazione derivante dal conferimento di siffatti incarichi da parte di enti pubblici economici o di soggetti privati, in assenza di autorizzazione, non può essere sanata da un'autorizzazione successiva (ora per allora), stante la specificità del rapporto di pubblico impiego, la necessità di verificare "ex ante" la compatibilità tra l'incarico esterno e le funzioni istituzionali. (Cassazione civile sez. II, 19/01/2022, n.1623) Se la docente ha già svolto l’attività imprenditoriale agricola senza autorizzazione preventiva, la disciplina dell'incompatibilità prevista dagli att. 60 ss. d.P.R. n. 3 del 1957, prevede che l'impiegato che si trovi in situazione di incompatibilità venga diffidato a cessare da tale situazione e che, decorsi quindici giorni dalla diffida, decada dall'incarico. Ne consegue che soltanto nel caso in cui l'impiegato ottemperi alla diffida, il suo comportamento può assumere rilievo disciplinare e rientra nelle previsioni di cui all'art. 55 del decreto 165/2001, posto che, diversamente, trova applicazione l'istituto della decadenza che non ha natura sanzionatoria o disciplinare, ma costituisce una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati "ab origine", avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro. (cfr. Cassazione civile sez. lav. 21 agosto 2009 n. 18608; in senso conforme Cass. 12 ottobre 2012 n. 17437) Infatti, l'istituto della decadenza dal rapporto di impiego, come disciplinato dagli articoli 60 e seguenti del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, si applica ai dipendenti di cui all'art. 2, commi 2 e 3, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, in forza dell'espressa previsione contenuta nell'art. 53, comma 1, dello stesso decreto, che, riguardando la materia delle incompatibilità, è estraneo all'ambito delle sanzioni e della responsabilità disciplinare di cui all'art. 55 dello stesso testo normativo. (cfr Cassazione civile, sez. lav., 15/01/2015, n. 617) Quindi, allorquando un dipendente pubblico versi in una situazione di incompatibilità, ottemperando alla diffida che abbia eventualmente ricevuto, dovrà essere comunque soggetto a procedimento disciplinare di cui all'art. 55 e seguenti del D.Lgs. 165 del 2001 (Cassazione civile sez. lav. 01 luglio 2009 n. 15397). Infatti, come detto sopra, il comportamento del dipendente è sanzionabile disciplinarmente per la mancata richiesta di autorizzazione. Anche successivamente ( Cass. 6 agosto 2018 n. 20555) è stato ribadito che l'impiegato che si trovi in situazione di incompatibilità deve essere diffidato a cessare da tale situazione e che, decorsi quindici giorni dalla diffida, decada dall'incarico; ne consegue che soltanto nel caso in cui l'impiegato ottemperi alla diffida, il suo comportamento assume rilievo disciplinare e rientra nelle previsioni di cui all'art. 55 decreto citato, posto che, diversamente, trova applicazione l'istituto della decadenza, che non ha natura sanzionatoria o disciplinare, ma costituisce una diretta conseguenza della perdita di quei requisiti di indipendenza e di totale disponibilità che, se fossero mancati ab origine, avrebbero precluso la stessa costituzione del rapporto di lavoro. Pertanto, l'istituto della decadenza dal rapporto di impiego, come disciplinato dal D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, artt. 60 e ss., ed applicabile ai dipendenti di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 2, commi 2 e 3, attiene alla materia delle incompatibilità ed è estraneo all'ambito delle sanzioni e della responsabilità disciplinare di cui all'art. 55 stesso testo normativo. La Cassazione, con l'Ordinanza n. 11949 del 7 maggio 2019, ha, altresì, affermato che, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 7, il mancato esercizio del potere di diffida di cui al D.P.R. n. 3 del 1957, art. 63, richiamato dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 1, non preclude l'esercizio dell'azione disciplinare nei casi in cui quest'ultima sia correlata all'espletamento di incarichi retribuiti non autorizzati. Conclusivamente, in riferimento al quesito posto, si ritiene quanto segue: a) non è possibile autorizzare retroattivamente l’attività extra istituzionale già svolta; infatti detto periodo deve essere oggetto della diffida di cui sopra. b) la scuola deve procedere dal punto di vista disciplinare ( con invio degli atti all'UPD) se la dipendente ha svolto l'attività senza preventiva autorizzazione. c) in sostanza la richiesta di autorizzazione - ed il relativo provvedimento della scuola - deve riguardare il nuovo periodo oggetto della richiesta e non anche il pregresso.

    Data di pubblicazione: 15/12/2025

  • Ferie non godute in un precedente profilo: utilizzo o monetizzazione dopo il passaggio di ruolo?
  • Nel caso di specie il dipendente prima di entrare in ruolo aveva contratti di supplenza ai sensi dell’art. 59 CCNL 2007 poi art. 70 del CCNL 2024. Ai sensi dell'art. 70 del CCNL 2024 (che ha sostituito l’art. 59 del CCNL 2007) il personale ATA può accettare, nell’ambito del comparto scuola, contratti a tempo determinato di durata non inferiore ad un anno, mantenendo senza assegni, complessivamente per tre anni, la titolarità della sede. L’accettazione dell’incarico comporta l’applicazione della relativa disciplina prevista dal CCNL per il personale assunto a tempo determinato, ivi compresa la disciplina delle ferie. Per quanto concerne le ferie del personale ex art. 59 (ora art 70 CCNL 2024) ricordiamo che il MEF, con una mail del 21 luglio 2009 indirizzata all’USP di Torino, ha precisato che per il personale ATA con contratto a tempo indeterminato che accetta un incarico a tempo determinato ai sensi dell’art. 59 del C.C.N.L. 2006/2009, non è previsto da alcuna disposizione di legge o contrattuale il pagamento delle ferie non godute (stante che il presupposto per la monetizzazione è sempre la cessazione del servizio), le quali devono essere concesse o disposte (se non fruite durante il corso dell’anno), al rientro nella sede di titolarità (cfr anche l’Orientamento applicativo SCU14 dell'ARAN per il Comparto Scuola). Il citato Orientamento applicativo (SCU14) ARAN per il Comparto Scuola ha precisato: “Al personale a tempo indeterminato che accetta un incarico a tempo determinato, ai sensi dell’art. 59 del CCNL 2006/2009, spetta il pagamento delle ferie non godute? Si precisa che il parere sulla legalità del decreto di liquidazione delle ferie maturate e non godute esula dai compiti di questa Agenzia che può, invece, formulare orientamenti riguardanti le clausole contrattuali. Nel caso specifico l’art. 59 del CCNL 2006/2009 consente al personale ATA di accettare contratti a tempo determinato, nell’ambito del comparto scuola e di durata non inferiore ad un anno, mantenendo senza assegni, complessivamente per tre anni, la titolarità della sede. L’accettazione dell’incarico prevede l’applicazione della disciplina prevista dallo stesso CCNL per il personale assunto a tempo determinato, fatti salvi i diritti sindacali. In materia di ferie l’art 13, comma 8, (norma comune sia per il personale docente e ATA a tempo indeterminato sia per il personale docente e ATA a tempo determinato) esplicita perentoriamente che le ferie sono un diritto irrinunciabile e non sono monetizzabili tranne quanto previsto dal comma 15 (all’atto di cessazione dal rapporto di lavoro, qualora le ferie spettanti non siano state fruite). Il comma 10, del medesimo articolo, stabilisce che la fruizione della ferie non godute a causa di particolari esigenze di servizio o in caso di motivate esigenze di carattere personale e di malattia dal suddetto personale possa essere differita rispetto a quanto disciplinato dal precedente comma 9. Pertanto, a parere di questa Agenzia, per quanto espressamente previsto dal vigente CCNL e considerato che personale destinatario dell’art. 59 rientrando nella sede di titolarità al termine del contratto a tempo determinato non cessa il rapporto di lavoro, non si ravvisano le condizioni per attivare un provvedimento di liquidazione del compenso sostitutivo per le ferie maturate e non fruite. La fruizione delle ferie maturate e non godute dovrebbe essere favorita al rientro nella sede di titolarità.” Nel caso di specie, al momento del collocamento in aspettativa ex art. 70 e della stipula del contratto a t.d. annuale come assistente amministrativo ( supplenze poi reiterate), il dipendente aveva un residuo di ferie maturate come c.s.. In argomento si è pronunciato l'ARAN con l'Orientamento Applicativo SCU_093 del 15 luglio 2015 che riportiamo in integrale: "L’istituto scolastico, presso il quale il personale ATA è in assegnazione provvisoria, è tenuto a far fruire le ferie da questi già maturate e non godute presso la scuola di titolarità? L’art. 13, comma 10, del CCNL del 29/11/2007 del comparto scuola, prevede espressamente che: in caso di particolari esigenze di servizio ovvero in caso di motivate esigenze di carattere personale e di malattia, che abbiano impedito il godimento in tutto o in parte delle ferie nel corso dell’anno scolastico di riferimento, le ferie stesse saranno fruite dal personale docente, a tempo indeterminato, entro l’anno scolastico successivo nei periodi di sospensione dell’attività didattica. In analoga situazione, il personale ATA fruirà delle ferie non godute non oltre il mese di aprile dell’anno successivo, sentito il parere del DSGA. Pertanto, in generale, l’assistente amministrativo può fruire delle ferie maturate nell’anno precedente entro il 30 aprile dell’anno successivo. In proposito, però, sembra utile evidenziare che la mancata fruizione delle ferie per motivi di servizio, entro i termini contrattualmente previsti, deve rappresentare un fatto eccezionale in quanto il diritto alle ferie viene qualificato, nell’ambito del nostro ordinamento giuridico (in primo luogo dall’art. 36 della Costituzione) come un diritto irrinunciabile per il lavoratore. Pertanto, in via ordinaria, l’amministrazione è tenuta ad assicurare il godimento delle ferie ai propri dipendenti, nel rispetto delle scadenze previste dal contratto, attraverso la predisposizione di appositi piani ferie e, in caso di inerzia dei lavoratori o di mancata predisposizione dei piani stessi, anche mediante l’assegnazione d’ufficio delle stesse. Un’attenta pianificazione delle ferie, infatti, è diretta a garantire, da un lato, il diritto dei dipendenti al recupero delle proprie energie psicofisiche e, dall’altro, ad assicurare la funzionalità degli uffici". Quindi, in via generale, il dipendente avrebbe potuto fruire entro il 30 aprile, delle ferie maturate come c.s. anche nel periodo di assegnazione ex art. 70 come a.a. Ad ogni modo questa possibilità va contemperata tenuto conto della durata del contratto come a.a. tenuto conto che in detto periodo la scuola di utilizzazione deve ordinariamente procedere alla programmazione delle ferie che il dipendente matura nel profilo di assistente. Se ciò non è stato possibile, si ritiene che le ferie residue come c.s. possano essere fruite ora non essendo possibile alcuna monetizzazione.

    Data di pubblicazione: 15/12/2025

  • Gestione delle ore di riposo non godute in caso di assenza per malattia o ferie di un dipendente con 34 ore settimanali...
  • In caso di orario su cinque giorni, se il dipendente (nel caso di specie ha un orario 34/36 con part time orizzontale) è assente in una giornata compresa tra lunedì e venerdì (a qualsiasi titolo: permesso, malattia, festività) in detta giornata si applicherà la disciplina relativa all'istituto contrattuale utilizzato indipendentemente dalle ore lavorative previste in quanto trattasi di istituti fruibili a giornata e non in modalità oraria. Quindi non vi è l'insorgenza di alcun debito orario per il dipendente assente. L'unica particolarità è prevista per la gestione delle ferie. Il MIUR con CM n. 155 del 6 maggio 1989 ha precisato che, indipendentemente dalle turnazioni effettuate (su 6 o su 5 giorni lavorativi), la normale settimana lavorativa del personale scolastico rimaneva stabilita in 6 giorni settimanali, anche rispetto al computo delle ferie di cui al DPR 395/88. Il CCNL 2007 all’art. 13, comma 5, prevede che in caso di distribuzione dell’orario di lavoro del personale ATA su cinque giorni, il sesto è comunque considerato lavorativo ai fini del computo delle ferie e i giorni di ferie goduti per frazioni inferiori alla settimana vengono calcolati in ragione di 1,2 per ciascun giorno. Da quanto sopra risulta pertanto evidente che le ferie annuali del personale ATA, indipendentemente dall’orario settimanale effettuato, devono essere sempre rapportate a 32 giorni effettivi (sul presupposto di dipendente con più di tre anni di servizio prestati a qualsiasi titolo). Solo in caso di ferie usufruite per limitati periodi, meno di 6 giorni nell’arco di un determinata settimana, queste comportano un computo maggiorato del 20%. La norma vuole, evidentemente, non determinare sperequazioni rispetto a coloro che richiedono periodi di ferie al cui interno è collocato il giorno lavorativo in cui i dipendenti non sono in servizio (di norma il sabato) che, come già affermato sopra, deve essere incluso nei 32 giorni di ferie spettanti. Quindi, in caso di orario su cinque giorni settimanali nel caso in cui il lavoratore richieda un solo giorno di ferie o un periodo inferiore alla settimana (ad es. lunedì e martedì; martedì e mercoledì …) questi giorni impediscono al lavoratore di completare l’orario settimanale e quindi vanno calcolati nella misura di 1,2 per ogni giorno. Pertanto 1 giorno singolo di ferie verrà calcolato 1,2 da scomputare dai 32 giorni previsti; - 2 giorni di ferie varranno 2,4 da scomputare dai 32 giorni previsti; - 3 giorni 3,6 da scomputare e così via. L'assunto che, indipendentemente dall'orario settimanale, il monte ferie annuale rimane 32 ( o 30 se trattasi di dipendenti con meno di tre anni di servizio) è confermato dall'Orientamento ARAN Scu 083 del 6 maggio 2014 che riportiamo: "Come si calcolano i giorni di ferie per il personale ATA a tempo indeterminato e con orario di servizio su 5 giorni settimanali? Le ferie del personale ATA vengono regolate dal CCNL 29.11.2007, all’articolo 13, comma 5 in cui viene specificato che nel caso in cui il POF d’istituto preveda la settimana articolata su cinque giorni di lavoro il sesto è considerato lavorativo ai fini del computo delle ferie. In questo modo, è irrilevante per il calcolo delle ferie che la settimana lavorativa di 36 ore sia articolata su cinque o sei giorni. Ferma rimanendo la regola che se il personale ATA è stato assunto da meno di 3 anni ha diritto a 30 giorni di ferie all’anno, che diventano 32, dopo tre anni di contratto." Tra l’altro il personale in part time orizzontale ho lo stesso numero di ferie del personale a tempo pieno ( cfr. art. 58 comma 11 CCNL 2007).

    Data di pubblicazione: 15/12/2025

  • Docente di lingua inglese su scuola primaria con spezzone da 13 h settimanali, svolge servizio il lunedì, martedì e giovedì. Accade sovente che la stessa docente faccia richieste di assenza frazionate nei soli giorni in cui presta servizio. Nel caso in cui la docente abbia richiesto il giovedì congedo parentale, e il lunedì successivo anche, come si considerano il venerdì, il sabato e la domenica? Ricadono nel periodo di congedo oppure no? Se invece cambia la tipologia di assenza, cosa succede? Il supplente, poi, come dovrà avere i contratti?
  • Per quanto concerne il congedo parentale in caso di part-time verticale, mancando previsioni specifiche anche nell’ultimo e recente CCNL, occorre fare riferimento alle interpretazioni dell'ARAN. Con l'O.A M19 del 24 maggio 2011 è stato precisato che le assenze dovute a congedo parentale, si computano tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nell’intero periodo richiesto. In caso di fruizione frazionata, il periodo di congedo verrà calcolato partendo dal primo giorno lavorativo e concludendo con l’ultimo giorno lavorativo precedente l’effettivo rientro in servizio. L'ARAN, per spiegare il suddetto principio, propone il seguente esempio: se un dipendente che lavora nei giorni di martedì e giovedì chiede 10 giorni di astensione facoltativa a partire dal martedì, tali giornate verranno conteggiate come segue: CONGEDO: Martedì 15, mercoledì 16, giovedì 17, venerdì 18, sabato 19, domenica 20, lunedì 21, martedì 22, mercoledì 23, giovedì 24. Venerdì (25), sabato (26) domenica (27) e lunedì (28) non vanno computati nel periodo di assenza e martedì 29 c’è il rientro in servizio. Si riporta anche l'Orientamento comparto enti locali RAL348 del 4/06/2011 "I periodi di congedo parentale di cui all’art. 6, comma 8, del CCNL del 14/9/2000 devono essere riproporzionati per i lavoratori part-time di tipo verticale? La disciplina dell’art. 6, comma 8, del CCNL del 14/9/2000 non prevede in alcun modo ed espressamente il riproporzionamento dei periodi di astensione facoltativa e dei permessi per maternità. Infatti, la clausola contrattuale stabilisce che i periodi di assenza relativi a tali istituti spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi. Ovviamente, per la fruizione dei periodi spettanti la lavoratrice o il lavoratore dovranno presentare all’ente, di volta in volta, una specifica istanza nel rispetto dei termini di preavviso stabiliti nei commi 8 e 9 dell’art.17 dello stesso CCNL del 14/9/2000". Sempre l’ARAN, con l’O.A. 13 aprile 2021 CIRS79 comparto scuola, per quanto concerne l’esatto computo del periodo di congedo parentale chiesto da un dipendente a tempo determinato in regime di part-time verticale, ha ribadito che il calcolo di tale periodo di assenza deve effettuarsi tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nel periodo di congedo richiesto. Premesso quindi che non ci sono precise regole contrattuali per il personale scolastico, alla luce degli Orientamenti ARAN sopra citati, in caso di part-time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato e il congedo è computato con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno. Pertanto, secondo questi orientamenti le assenze dovute a congedo parentale si computano tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nell’intero periodo richiesto. In caso di fruizione frazionata, il periodo di congedo verrà calcolato partendo dal primo giorno lavorativo e concludendo con l’ultimo giorno lavorativo precedente l’effettivo rientro in servizio. Infatti, come detto nelle nostre ultime risposte in argomento, dal momento che non viene previsto il riproporzionamento, teoricamente il dipendente dovrebbe essere considerato in congedo parentale per tutta la durata del periodo richiesto e ciò vale per tutti i periodi di congedo parentale indipendentemente se indennizzati o meno. Per evitare ciò le domande di assenza del dipendente dovrebbero e possono essere riferite solo alle giornate in cui ha servizio a scuola e non per un intero periodo temporale (come nel caso di specie). Quindi, in risposta al quesito, si ritiene che la domanda solo per i precisi giorni di servizio (lunedì, martedì e giovedì) sia corretta e il periodo intercorrente (tra i diversi periodi di assenza) non possa essere considerato continuativo a titolo di congedo parentale. Alla stessa stregua le giornate di sabato (sul presupposto dell'orario su settimana corta) e domenica, sulla base di quanto descritto nel quesito, risultano neutre ai fini delle assenze in quanto non presenti tra assenze dello stesso tipo o comunque cicliche. La nomina del supplente quindi dovrà tenere conto di quanto sopra esposto.

    Data di pubblicazione: 15/12/2025

  • Docente IRC supplente con età 67 anni e 23 anni di contribuzione: necessità del decreto di collocamento a riposo?
  • In relazione al quesito posto, la normativa vigente sul collocamento d’ufficio costituita da: - Art. 24, comma 6, D.L. 201/2011 (Legge Fornero), che prevede il collocamento d'ufficio al raggiungimento dei 67 anni di età (requisito per la pensione di vecchiaia), con almeno 20 anni di contribuzione, per i lavoratori pubblici; - D.P.R. 1092/1973, art. 12 e 13, che prevede che il dipendente pubblico cessa per limiti di età; - DM 182 e nota MIM prot. n. 205851 del 25 settembre 2025 contenente indicazioni per le cessazioni dal servizio per quiescenza del personale a tempo INDETERMINATO; si applica solo ai dipendenti di ruolo, ossia titolari di un rapporto a tempo indeterminato con la Pubblica Amministrazione. Il rapporto a tempo determinato nella scuola è invece regolato da: - D.Lgs. 165/2001, art. 36, che recita testualmente "Il personale a tempo determinato non è “in servizio permanente” e non può essere oggetto di applicazione degli istituti propri del personale di ruolo"; - CCNL Istruzione e Ricerca 2019/21, art. 39 c. 5: "I contratti a tempo determinato devono recare in ogni caso il termine"; - La legge 183/2006 e normativa sui contratti IRC a tempo determinato equiparano gli stessi agli altri supplenti per regime contrattuale, nonostante la peculiarità della procedura di proposta di incarico. Ne consegue che non è possibile “collocare d’ufficio in quiescenza” un docente a tempo determinato, perché il rapporto non è permanente e non si estingue per pensionamento d’ufficio, ma per scadenza naturale del contratto. Alla luce della normativa richiamata, il docente IRC con contratto a tempo determinato che compie 67 anni entro il 31 agosto 2026 e possiede almeno 20 anni di contribuzione NON deve essere collocato d’ufficio in quiescenza, in quanto il collocamento d’ufficio riguarda esclusivamente i dipendenti a tempo indeterminato. Per il personale a tempo determinato, il rapporto cessa per naturale scadenza del contratto, senza intervento del DS.

    Data di pubblicazione: 15/12/2025

  • Studente della classe prima di un istituto professionale con valutazione pari a sei decimi nel comportamento: ammissione alla classe successiva?
  • La questione dovrà essere affrontata nel regolamento applicativo che il Ministero emanerà ai sensi dell’articolo 1 comma 4 della citata Legge 150/2024. Infatti, mentre per quanto concerne le modifiche del D.lgs 62/2017, le previsioni di cui al comma 1 della Legge 150 sono immediatamente efficaci e sono state oggetto di applicazione già dalla sessione di esame 2025, per quanto attiene, invece, alle modifiche del DPR 122/09 (recante norme per gli scrutini delle classi intermedie), il comma 4 prevede: 4) Al fine di ripristinare la cultura del rispetto, di affermare l'autorevolezza dei docenti delle istituzioni scolastiche secondarie di primo e secondo grado del sistema nazionale di istruzione e formazione, di rimettere al centro il principio della responsabilità e di restituire piena serenità al contesto lavorativo degli insegnanti e del personale scolastico, nonché al percorso formativo delle studentesse e degli studenti, con uno o più regolamenti adottati ai sensi dell'articolo 17, comma 1, della legge 23 agosto 1988, n. 400, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, si provvede alla revisione della disciplina in materia di valutazione del comportamento delle studentesse e degli studenti. Tra le materie da definire con tale regolamento rientra anche la fattispecie segnalata nel quesito. Infatti, alla lettera b4 del comma 5, si legge: …….. prevedere che, per le studentesse e gli studenti delle scuole secondarie di secondo grado che abbiano riportato una valutazione pari a sei decimi nel comportamento, il consiglio di classe, in sede di valutazione finale, sospenda il giudizio senza riportare immediatamente un giudizio di ammissione alla classe successiva e assegni alle studentesse e agli studenti un elaborato critico in materia di cittadinanza attiva e solidale; la mancata presentazione dell'elaborato prima dell'inizio dell'anno scolastico successivo o la valutazione non sufficiente da parte del consiglio di classe comportano la non ammissione della studentessa e dello studente all'anno scolastico successivo….. In estrema sintesi: - La norma abbisogna di un decreto regolamentare applicativo, che dovrà prevedere anche il caso specifico segnalato nel quesito. - Nelle more, si ritiene che l’ipotesi prefigurata nel quesito sia corretta, nel senso che lo studente di prima di un percorso IP possa essere ammesso al periodo successivo del biennio unitario (secondo anno) con revisione del PFI ma dovrà anche presentare, prima dell’inizio dell’anno scolastico successivo, un elaborato secondo quanto previsto dalla norma; il regolamento di cui sopra dovrà puntualmente chiarire se la mancata presentazione possa compromettere la frequenza del secondo anno anche per uno studente di IP come pare evincersi dallo spirito della Legge; dovrà altresì prevedere un’eventuale diversa modalità per la verbalizzazione in sede di scrutinio finale (per esempio introducendo una clausola di salvaguardia del tipo “ferma restando la presentazione dell’elaborato di cui alla Legge 150/2024”).

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