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    Data di pubblicazione: 03/12/2025

  • Compatibilità tra incarico di supplenza su spezzone orario e apertura di partita IVA per attività alberghiera...
  • L’art. 53, primo comma, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici, anche a tempo determinato, la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del Testo Unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. L’art. 60 del DPR n. 3 citato prevede che l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Deve essere considerata come esercizio del commercio e dell’industria ogni attività imprenditoriale; deve, inoltre, essere considerato esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di presidente o di amministratore delegato di società di capitali. Non costituisce, invece, esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di amministratore o di presidente di fondazioni o associazioni o di altri enti senza fini di lucro. È, quindi, incompatibile con lo status di pubblico dipendente l'assunzione di cariche in società aventi scopo di lucro, che possono essere svolte soltanto previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza (Corte Conti Liguria Sent. 22/10/2015, n. 83). Invece, il divieto in questione di cui all'art. 53 citato non pone limiti alla partecipazione di un pubblico dipendente in società commerciali in qualità di mero socio di capitale. Esso esclude, invece, come detto sopra, che egli possa ricoprire cariche sociali, compiere atti di amministrazione nella società, trattare o concludere affari in nome della stessa. In giurisprudenza (cfr Corte di Cassazione, sez. lav., Sent. 26/11/2012, n. 20857) è stato affermato che l'impiegato della Pubblica Amministrazione non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione, senza alcun riferimento ad attività retribuita, onde il divieto deve ritenersi assoluto, a prescindere dalla sussistenza o meno di una remunerazione, ovvero di una continuità della prestazione lavorativa diversa da quella espletata alle dipendenze della P.A.. La Corte dei Conti, con la Sentenza n. 9 del 7 maggio 2019, ha affermato che per un dipendente pubblico a tempo indeterminato è assolutamente vietata l’attività di amministratore unico di una società di capitali, in quanto carica sociale palesemente e testualmente vietata e non autorizzabile ex art. 60, d.P.R. n. 3 del 1957, richiamato dall’art. 53, co.1, D.Lgs. n.165 del 2001 (che, nel caso di specie, tra l’altro, era stata svolta non in modo occasionale ma sistematico). La giurisprudenza della Corte dei Conti è molto rigida in materia Il dipendente pubblico non può assumere incarichi di amministrazione in società di capitali. Sussistendo un divieto assoluto di legge, l'attività non è neanche autorizzabile dall' amministrazione di appartenenza. ( Corte Conti Umbria n. 60 del 2022). La Corte dei Conti della Sardegna, con la Sentenza n. 130/2024, ha ribadito i suesposti principi. Il Consiglio di Stato ha affermato che non vale ad escludere la situazione d'incompatibilità di un pubblico dipendente, che eserciti un'attività imprenditoriale, il fatto che egli eserciti regolarmente il suo lavoro, in quanto la norma d'incompatibilità mira anche a salvaguardare le energie lavorative del dipendente stesso, ai fini di un miglior rendimento nei confronti della p.a. datrice di lavoro (cfr. Consiglio Stato sez. V sent. 13 gennaio 1999, n. 24). Come già rilevato in precedenti risposte in argomento, a nostro avviso, la titolarità di un'attività commerciale resterebbe vietata anche nel caso si trattasse di part time non superiore al 50% ( o spezzone orario come in caso di personale a t.d.). A queste conclusioni era giunto anche l'USR Emilia-Romagna nella Nota 2456 del 9 febbraio 2007. Nel Parere citato viene precisato che la titolarità di una attività commerciale resta assolutamente vietata all’intera categoria dei dipendenti, così come risulta vietata, per la medesima categoria, la possibilità di accettare cariche in società costituite a fine di lucro. Il citato art. 53, al comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dagli articoli 57 e seguenti della Legge 23 dicembre 1996, n. 662. Il comma 56 dell'art. 1 della Legge n. 662 del 1996 prevede che le disposizioni di cui all'articolo 58, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (ora art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001), e successive modificazioni ed integrazioni, nonché le disposizioni di legge e di regolamento che vietano l'iscrizione in albi professionali non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno. Ai sensi del successivo comma 58, la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale può essere concessa dall'amministrazione entro sessanta giorni dalla domanda, nella quale è indicata l'eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attività lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione stessa. La trasformazione non può essere comunque concessa qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica. Il dipendente è tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, all'amministrazione nella quale presta servizio, l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attività lavorativa. Il CCNL Scuola all'art. 39, comma 9, del CCNL 2007 (non modificato sul punto dal CCNL 2024) prevede che al personale docente in part time interessato è consentito, previa motivata autorizzazione del dirigente scolastico, l'esercizio di altre prestazioni di lavoro che non arrechino pregiudizio alle esigenze di servizio e non siano incompatibili con le attività d'istituto. Dall'analisi della normativa di cui alla Legge n. 662 del 1996 e delle disposizioni del CCNL si evince che il riferimento è alla attività di lavoro autonomo o subordinato. Conclusivamente, abbiamo in precedenza ritenuto che vi fosse incompatibilità tra status di dipendente pubblico (seppur in part time non superiore al 50%) e l'attività commerciale o di amministratore di società. Per completezza si deve però rilevare che, come appreso anche durante i nostri corsi di formazione, da parte di alcuni Uffici Scolastici vi è negli ultimi tempi una interpretazione più estensiva sulla questione di cui al quesito (compatibilità o meno della attività commerciale in caso di dipendente con part time non superiore al 50%) Ad esempio l'USR Piemonte con la Nota 12437 del 26 agosto 2022 ha ribadito la regola dell’incompatibilità assoluta con riferimento al personale scolastico, sia a tempo pieno che parziale con prestazione lavorativa superiore al 50%, è posta dall’art. 508, comma 10, d.lgs 297/1994 (Testo unico Istruzione) rispetto all’esercizio di attività commerciali, industriali e professionali ovvero svolte alle dipendenze di soggetti privati o, ancora, comportanti l’accettazione di cariche in società costituite a scopo di lucro. ( in senso analogo cfr la Nota operativa USR Sicilia n. 21198 del 31 agosto 2020) Le Linee Guida della Funzione Pubblica del 2013 così precisano: "Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche indicate nei paragrafi a) [abitualità e professionalità] e b) [conflitto di interessi]. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con percentuale di tempo parziale pari o inferiore al 50% (con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche di cui al paragrafo b) [conflitto di interessi]. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a prescindere dal regime dell’orario di lavoro gli incarichi che presentano le caratteristiche indicate nel paragrafo c) [preclusi a prescindere dalla consistenza dell’orario di lavoro], fermo restando quanto previsto dai paragrafi a) e b). Gli incarichi considerati nel presente documento sono sia quelli retribuiti sia quelli conferiti a titolo gratuito. a) ABITUALITÀ E PROFESSIONALITÀ. 1. Gli incarichi che presentano i caratteri della abitualità e professionalità ai sensi dell’art. 60 del d.P.R. n. 3/57, sicché il dipendente pubblico non potrà “esercitare attività commerciali, industriali, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro”. L’incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri della abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo (art. 5, d.P.R. n. 633 del 1972; art. 53 del d.P.R. n. 917 del 1986; Cass. civ., sez. V, n. 27221 del 2006; Cass. civ., sez. I, n. 9102 del 2003)". Pertanto, il dipendente se a tempo pieno (o con part time superiore al 50%) non può esercitare attività commerciale mentre in caso di part time non superiore al 50%, i recenti orientamenti di cui abbiamo detto sopra ammettono la possibilità di autorizzazione. In tal senso si muove anche la recente giurisprudenza. Ad esempio (cfr Cassazione civile sez. lav., 18/07/2022, n.22497 seppur con riferimento ad un dipendente di un ente locale) ha affermato che i dipendenti pubblici con un part time non superiore al 50% possono instaurare rapporti con altri enti anche in assenza di autorizzazione da parte della pubblica amministrazione di appartenenza. Nella motivazione si richiama Cass., Sez. L, n. 28757 del 7 novembre 2019, "In tema di pubblico impiego privatizzato, alla stregua della disciplina di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 (applicabile "ratione temporis"), D.P.C.M. n. 117 del 1989, art. 6, comma 2, e della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 58-bis, si deve escludere che i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale superiore al 50 per cento possano essere implicitamente autorizzati, in via generale, allo svolgimento di attività extralavorativa retribuita, in quanto la normativa in esame consente una deroga al principio di incompatibilità in caso di svolgimento di lavoro part-time solo quando il lavoratore svolga una prestazione ad orario ridotto non superiore al 50 per cento" (per lo sviluppo giurisprudenziale in materia, cfr. Cass., Sez. L, n. 8642 del 12 aprile 2010)". Conclusivamente, nel caso di specie, al netto di eventuali indicazioni specifiche da parte dell'USR di riferimento, riteniamo che l'attività in questione possa essere autorizzata dal DS stante che trattasi di docente con part time non superiore al 50% (orario 8/18) fermo restando che la suddetta attività non dovrà interferire con gli obblighi di servizio ordinari del dipendente e non dovranno sussistere situazioni di conflitto di interesse neanche a livello potenziale.

    Data di pubblicazione: 03/12/2025

  • Gestione dei componenti RSU in caso di fine contratto e immediata assunzione in ruolo nella stessa istituzione...
  • I due docenti supplenti rappresentanti della RSU hanno legittimamente goduto dell’elettorato passivo all’atto del rinnovo delle RSU d’istituto (ai sensi dell’art. 7, comma 3, dell’ACNQ del 12 aprile 2022), ma al 31 agosto 2025 erano da considerare decaduti a causa della cessazione del rapporto di lavoro instaurato tramite contratto di supplenza annuale o fino al termine delle attività didattiche. L’art. 9, comma 4, dell’ACNQ citato pone infatti tra le cause di decadenza proprio la cessazione del rapporto di lavoro. La nuova assunzione a tempo indeterminato discende dall’instaurazione di un nuovo e diverso rapporto di lavoro che non può garantire la conservazione del ruolo di rappresentante RSU. Ne consegue che la RSU d’istituto può rimanere in vita alla condizione che i quattro membri decaduti siano surrogabili dai primi non eletti nelle rispettive liste. Qualora ciò non sia possibile, o le surroghe possibili non garantiscano la copertura della maggioranza della RSU (almeno 4 membri su 6) l’organo è da considerare decaduto (art. 9, comma 5). Il dirigente scolastico ne dovrà informare le OO.SS. di comparto le quali, entro cinque giorni dalla decadenza dell’organo, avranno 45 giorni di tempo per decidere se procedere o meno ad elezioni suppletive. Fino alla scadenza dei 45 giorni il dirigente scolastico terrà le relazioni sindacali con i due membri residui della RSU e con i rappresentanti territoriali delle sigle sindacali rappresentative e, limitatamente alla contrattazione integrative d’istituto, firmatarie del CCNL di comparto 2019/21. Nel caso in cui non si proceda alla indizione delle elezioni suppletive i membri residui della RSU decadranno definitivamente e le relazioni sindacali saranno tenute fino alla scadenza del mandato triennale soltanto con i rappresentanti sindacali territoriali, nel rispetto della clausola già riportata (art. 9, comma 8).

    Data di pubblicazione: 03/12/2025

  • File contenente dati del DS stampato per errore: intervento tecnico per determinare tempi e autori dell’accesso...
  • In generale, non è sempre possibile risalire con certezza assoluta a chi abbia avuto accesso a un file su un computer. La possibilità, infatti, dipende da diversi fattori tecnici, organizzativi e, soprattutto, dalle misure di logging presenti nel sistema. L’identificazione tecnica dell’utenza titolare dell’accesso ad un file è possibile solo se sono attivi sistemi di audit o logging adeguati. In particolare, si può risalire all’utente che ha aperto o modificato un file se: • l’accesso al computer avviene tramite account personale e sempreché l’utente non abbia condiviso le sue credenziali; • sono abilitati i log di accesso ai file, ad esempio Windows Event Logging (File Access Auditing), macOS FSEvents o auditd, File server con log SMB o NFS, Sistemi SIEM o strumenti di monitoraggio; • i log non sono stati cancellati o manomessi, ovvero risultino integri, protetti con privilegi amministrativi e conservati per un periodo adeguato (es. 6–12 mesi); • il file si trova su un server o su un cloud, ad esempio Google Workspace, Microsoft OneDrive / SharePoint. Viceversa, non è possibile identificare tecnicamente l’utente se: • il PC è condiviso da più persone con lo stesso account, ad esempio un account “laboratorio” o “segreteria”; • i log non erano attivi al momento dell’accesso, dal momento che Windows non registra di default tutte le aperture di un file; • premesso che i sistemi operativi generalmente non sono configurati per la loro conservazione, i log sono stati modificati, cancellati o sovrascritti, cosa che accade in presenza di un ripristino del sistema. Tanto premesso, anche se fosse possibile identificare tecnicamente l’utente titolare dell’accesso ad un file, sia in modifica, che in consultazione, che in stampa, la certezza giuridica è ben altra cosa. Infatti, anche se i log mostrano uno specifico account come responsabile dell'accesso, non sempre si può provare che fosse realmente la persona fisica associata a quell’utenza a usare quel PC (password condivise, PC incustodito, sessioni non bloccate). Per arrivare alla certezza giuridica occorrerebbe, pertanto,: • un audit completo, • un sistema di autenticazione forte (es. login individuale a domini); • workstation non condivise, • log immodificabili. Nel caso specifico dell’accesso in modalità “stampa”, l’identificazione tecnica dell’utente è possibile solo se sono presenti i seguenti elementi. 1. Stampa tramite account utente (Windows, macOS o dominio AD): Se il computer richiede login individuale, infatti, ogni stampa risulta tecnicamente associata a nome utente, nome della stampante, data e ora, nome del file o del processo che ha inviato la stampa (a volte parziale). Solitamente, il sistema Windows registra questi eventi in “Event Viewer ? Microsoft-Windows-PrintService/Operational (se abilitato)”. 2. Log di stampa abilitati: Il logging stampa non è sempre attivo di default. Se è stato attivato, può mostrare chi ha inviato il job di stampa, quante pagine, quando è avvenuta la stampa e su quale stampante. 3. Stampa tramite server di stampa: Se la scuola usa un print server (Windows Server, PaperCut, Equitrac, ecc.), il tracciamento è molto più preciso. In questi casi spesso si può risalire con buona affidabilità a chi ha attivato il processo di stampa. 4. Stampanti di rete con funzioni di auditing Molte stampanti professionali registrano user ID, nome del job, orario, quantità di copie. Se l’utente deve autenticarsi sulla stampante (badge o codice PIN), la certezza aumenta ancora di più. Viceversa, non è possibile risalire all’utenza titolare del processo di stampa nei casi seguenti. 1. Computer con account condiviso (es. “segreteria”, “laboratorio”); 2. Stampanti USB locali senza log e quindi senza alcuna possibilità di tracciamento; 3. Log non attivati; 4. Log sovrascritti o cancellati; 5. Nessuna autenticazione utente sulla rete o sulla stampante, in tal caso il titolare del processo di stampa, se identificabile, rimane solo presumibile, non dimostrabile. Tanto premesso, così come per l’accesso ad un file, anche per la stampa l’eventuale certezza tecnica non garantirebbe automaticamente la certezza giuridica. Infatti, anche se i log mostrano che uno specifico utente ha mandato in stampa il file, questo non prova al 100% che sia stata la persona fisica associata all’utenza, che la password non fosse condivisa, che la sessione non fosse stata lasciata aperta. Per ottenere un livello di certezza giuridica, pertanto, serve almeno autenticazione individuale, stampanti accessibili solo tramite badge/PIN, log di stampa centralizzati e immutabili. Per concludere, riteniamo che, sulla base delle indicazioni più sopra esposte, vada valutato attentamente l'affidamento ad una ditta specializzata, anche in ragione dei costi correlati. In caso di affidamento, vanno visti preventivamente con il DPO gli aspetti di compliance rispetto alle norme in materia di protezione dei dati personali.

    Data di pubblicazione: 03/12/2025

  • Congedo straordinario per dottorato di ricerca presso un'istituzione accademica pontificia: ammissibilità e condizioni...
  • La Legge 13 agosto 1984, n. 176, come riformata dal D.Lgs. n. 119 del 2011, prevede che il pubblico dipendente ammesso ai corsi di dottorato di ricerca è collocato a domanda, compatibilmente con le esigenze dell'amministrazione, in congedo straordinario per motivi di studio senza assegni per il periodo di durata del corso ed usufruisce della borsa di studio ove ricorrano le condizioni richieste. In caso di ammissione a corsi di dottorato di ricerca senza borsa di studio, o di rinuncia a questa, l'interessato in aspettativa conserva il trattamento economico, previdenziale e di quiescenza in godimento da parte dell'amministrazione pubblica presso la quale è instaurato il rapporto di lavoro. La C.M. n. 15/2011 sui “Dottorati di ricerca indetti dalle Università straniere" così precisa: “Al riguardo, in relazione a quanto comunicato dall’Ufficio Legislativo, si ritiene di potersi concordare con il parere espresso dall’Avvocatura Generale dello Stato con nota 2 marzo 2005, n. 30098, sulla base dal comma 9, ultimo periodo, dell’art. 453 del D.Lgs. 297/94, il quale prevede l’applicabilità dell’art. 2 della legge 14 agosto 1984, n. 476, al personale assegnatario di borse di studio da parte anche di Stati o Enti stranieri, ponendo in tal modo sullo stesso piano la disciplina prevista nella materia dalla citata legge sia per le Università italiane sia per quelle straniere. Il richiamo al sopraccitato art. 2, legge 476/1984, comporta dunque, l’applicabilità a tale fattispecie della disposizione regolante il trattamento economico nel caso in cui non sia prevista la concessione della borsa di studio o di rinuncia alla stessa, in quanto norma intesa a tutelare la possibilità di svolgimento del dottorato che sarebbe preclusa dalla mancanza delle necessarie risorse finanziarie di sostentamento.” Quindi, ai fini della concessione del congedo straordinario per il dottorato di ricerca all’estero, è stato sempre necessario acquisire la preventiva valutazione da parte del Ministero dell’Università di equipollenza ad un dottorato conseguibile in Italia, secondo l’articolo 74 del DPR 382/1980. Ad ogni modo, come abbiamo potuto rilevare in altri precedenti quesiti, recentemente il Ministero dell'Università e della Ricerca - Direzione per l'internalizzazione, ha affermato che non è possibile una valutazione ex ante di equipollenza del dottorato oggetto di richiesta da parte della scuola. Ciò pone dei problemi perchè, come detto sopra, ai fini del riconoscimento del diritto ad un periodo di congedo straordinario retribuito, per il dipendente pubblico che intenda frequentare un dottorato di ricerca estero, è necessaria la preventiva positiva valutazione di equipollenza - con analogo titolo conseguibile presso le Università italiane - da parte del Ministero. Recentemente è stato dichiarato illegittimo il silenzio del MUR sulla valutazione ex ante di riconoscimento per equivalenza del corso di studi inglese (cfr. T.A.R. VENETO - Sezione Quarta - Sentenza 26/02/2024, n. 357). Il TAR ha ritenuto illegittimo il silenzio serbato dal Ministero dell’Università e della Ricerca in ordine all’istanza con la quale un istituto di istruzione superiore, ai fini del riconoscimento dell’aspettativa retribuita ai sensi dell’art. 2 L. 476/1984, chiedeva la valutazione ex ante di riconoscimento per equivalenza del corso di studi inglese, cui era stata ammessa una docente dell’istituto, quale Dottorato di ricerca post lauream corrispondente al terzo ciclo dell’istruzione universitaria italiana. Così si legge nella motivazione: "... -che è illegittima la condotta del MUR, il quale, a fronte della vicenda esposta, non ha ancora concluso il procedimento in parola mercé l’adozione di un provvedimento espresso in punto di valutazione ex ante del riconoscimento per equivalenza del corso di studi cui è stata ammessa la ricorrente, ai fini del riconoscimento dell’aspettativa retribuita ai sensi dell’art. 2 della L. n. 476/1984; - che l’inerzia del MUR integra la violazione dell’obbligo sancito dall’art.2, comma 1, l. n. 241/1990 (“Ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad un'istanza, ovvero debba essere iniziato d'ufficio, le pubbliche amministrazioni hanno il dovere di concluderlo mediante l'adozione di un provvedimento espresso. Se ravvisano la manifesta irricevibilità, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza della domanda, le pubbliche amministrazioni concludono il procedimento con un provvedimento espresso redatto in forma semplificata, la cui motivazione può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo”); RITENUTO conclusivamente: - che il ricorso debba essere accolto con la declaratoria dell’obbligo del MUR di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso, entro il termine di 60 (sessanta) giorni dalla notificazione della presente decisione, prevedendosi sin d’ora, per il caso di ulteriore inerzia del Ministero alla scadenza del termine appena indicato, la nomina di un commissario ad acta, nella persona del Dirigente della Direzione generale dell’internazionalizzazione e della comunicazione, con facoltà di delega ad altro dirigente o funzionario in servizio facente capo alla medesima Direzione, che dovrà provvedervi nell’ulteriore termine di 60 (sessanta) giorni....". Il Tribunale di Gorizia, con la Sentenza 20/06/2024 n° 88, ha affermato che il Ministero dell’Università e della Ricerca ha non solo il “potere” di formulare la valutazione ex ante - requisito ancora necessario per la fruizione dell'aspettativa retribuita per dottorato di ricerca all’estero - ma anche ha il “dovere” di procedervi. E’ pertanto illegittimo l’atto con il quale il M.U.R. si è indebitamente sottratto all’esercizio di questo potere-dovere, esprimendosi solo in termini perplessi e dubitativi. Una lettura dell’art.2 della legge n.476/1984 circoscritta alla possibilità di concedere il congedo retribuito per i soli dottorati conseguiti in Italia deve intendersi discriminatoria. Ciò premesso, come già osservato in precedenti risposte, previa interlocuzione con l’USR/AT di riferimento, anche in ottica di eventuale contenzioso in caso di diniego, si potrebbe aver cura di inserire nel provvedimento di concessione del congedo per dottorato di ricerca retribuito una clausola con cui si specifica che, in caso di mancata valutazione di equipollenza a titolo conseguito o in caso di mancato conseguimento del titolo, il dipendente dovrà procedere con la restituzione delle somme corrisposte durante il congedo.

    Data di pubblicazione: 03/12/2025

  • Affidamenti diretti a due ditte con medesimo titolare effettivo: incide sul principio di rotazione?
  • Non abbiamo notizia di casi simili, ma conosciamo il caso in cui ANAC ha ritenuto non rispettato il principio di rotazione nel caso di aggiudicazione a un operatore legato da uno stretto legame di parentela con il legale rappresentante dell’impresa uscente e detentore di quota di capitale sociale dell’impresa precedente aggiudicataria. Nel caso in esame, ANAC (parere di precontenzioso n. 567 del 6 dicembre 2023) ha ritenuto che costituisca elusione fraudolenta del meccanismo di rotazione l’aggiudicazione ad un’impresa (nel caso in esame, neo-costituita) il cui legale rappresentante era il fratello del legale rappresentante dell’impresa uscente. A maggior ragione, si ritiene che ANAC ragionerebbe in modo similare quanto alla perfetta identità del legale rappresentante. Si precisa che la regola in esame non ha nulla a che fare, per quanto similare, con il divieto di contemporanea partecipazione di imprese riconducibili ad un unico centro decisionale (art. 95, comma primo, lett. d).

    Data di pubblicazione: 03/12/2025

  • Richiesta di duplicato del diploma da parte di un ex studente e contestuale opposizione alla presentazione della denuncia di smarrimento...
  • Come rilevato in precedenti risposte, si conferma la prassi relativa al fatto che alcuni Commissariati spesso non accettano denunce di smarrimento in quanto ritengono che si tratti di fatto oggetto di autocertificazione.. Le precedenti istruzioni rinvenute sul sito URP del MIUR così prevedevano : “Smarrimento, furto, distruzione del cartaceo: In caso di smarrimento, furto, distruzione del cartaceo del diploma l’interessato deve: - nel caso in cui sia iscritto a un corso universitario, accertarsi che il titolo di studio non sia stato depositato all’atto dell’iscrizione alla facoltà e giacere negli archivi universitari; - denunciare alle autorità competenti lo smarrimento/furto/distruzione del titolo di studio e farsi rilasciare copia in originale del verbale”. Invece, le attuali indicazioni presenti sul sito del MIM così prevedono: “Diploma: attestato, dati errati, furto/smarrimento/distruzione del cartaceo, certificazione sostitutiva Smarrimento, furto, distruzione del cartaceo del diploma: in questi casi puoi ottenere per una sola volta il certificato sostitutivo del diploma, che ha lo stesso valore dell’originale. La certificazione sostitutiva è rilasciata dall’istituto scolastico dove è stato conseguito il titolo di studio o dall’ufficio territoriale nel cui ambito è compreso lo stesso istituto. Le istruzioni contenute nei diversi siti degli ambiti territoriali vanno nel senso della necessità della denuncia. USR Liguria In caso di smarrimento del diploma di Licenza Media è necessario fare denuncia alla Questura o al Comando dei Carabinieri della propria città. Successivamente è possibile richiedere il duplicato del diploma smarrito alla scuola che ha rilasciato l’originale, utilizzando il modello predisposto. . AT Roma Nel caso di smarrimento, distruzione o furto del diploma di scuola secondaria di II grado si può chiedere un certificato sostitutivo del diploma originale. La domanda dovrà essere presentata, seguendo le indicazioni contenute nella circolare prot. n 10984 del 01/06/2018, al Dirigente Scolastico della scuola che ha rilasciato il diploma, tramite mail all’indirizzo della scuola (oppure mediante raccomandata A/R, nel solo caso in cui bisogna allegare il diploma originale non più servibile). La domanda dovrà essere compilata in ogni sua parte e firmata, e dovrà essere accompagnata da copia di un documento valido d’identità personale e dalla denuncia di smarrimento o furto del diploma originale ai Carabinieri o alla Polizia di Stato. La scuola, ricevuta la domanda ed effettuati i dovuti controlli, trasmetterà la pratica allo scrivente Ufficio per il seguito di competenza. Sarà cura di questo Ufficio rilasciare e consegnare il certificato sostitutivo firmato digitalmente all’indirizzo mail (non PEC) dell’interessato indicato nella domanda. Nel caso diploma di scuola secondaria di I grado, tutto l’iter sarà gestito dalla scuola che ha rilasciato il diploma originale. USR Umbria Se il diploma di scuola secondaria di 1° grado (scuola media) o di 2° grado (scuola di istituto superiore compreso diploma di qualifica degli Istituti Professionali) è stato smarrito, distrutto, o rubato, può essere richiesto un certificato sostitutivo. Prima di richiedere il certificato sostitutivo è necessario presentare denuncia di smarrimento o furto ai Carabinieri o alla Polizia di Stato Pertanto, come visto sopra, le indicazioni prevalenti degli Ambiti richiedono la denuncia mentre questo passaggio non viene più menzionato nella pagina del MIM. Si potrebbe fare una interlocuzione con l’AT per avere uniformità di comportamento per quanto concerne le pratiche gestite da detto Ufficio. Infine, sui tempi di accoglimento non c’è una tempistica specifica se non il riferimento ai trenta giorni previsti per i procedimenti amministrativi. Nulla ovviamente impedisce alla scuola di evadere il tutto in tempi più brevi soprattutto in presenza di ragioni di urgenza.

    Data di pubblicazione: 03/12/2025

  • Uscita autonoma giornaliera (20 minuti prima) di un alunno minorenne per esigenze di trasporto pubblico: possiamo autorizzare?
  • Sul tema, abbiamo diversi pareri già resi in banca dati, ricordiamo, in breve, la nostra posizione. Il comma 1 dell’art. 19-bis del D.L. 148/2017 convertito dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172 e del rubricato “Disposizioni in materia di uscita dei minori di 14 anni dai locali scolastici”, stabilisce che “I genitori […] dei minori di 14 anni, in considerazione dell'età di questi ultimi, del loro grado di autonomia e dello specifico contesto, nell'ambito di un processo volto alla loro autoresponsabilizzazione, possono autorizzare le istituzioni del sistema nazionale di istruzione a consentire l'uscita autonoma dei minori di 14 anni dai locali scolastici al termine dell'orario delle lezioni. L'autorizzazione esonera il personale scolastico dalla responsabilità connessa all'adempimento dell'obbligo di vigilanza”. Si deve ritenere che la disposizione normativa sia sul punto tassativa e non soggetta ad interpretazioni estensive, fissando quale momento di possibile uscita autorizzabile in autonomia il solo ordinario termine delle lezioni. Forse, la nostra, è una posizione un pò rigida, ma in attesa di eventuali interpretazioni giurisprudenziali preferiamo mantenerla. Pertanto, alcuna autorizzazione può, a nostro parere, essere rilasciata all’uscita autonoma di minori di anni 14 in orari diversi dalla fine ordinaria delle lezioni del giorno. A ciò si aggiunga che una riduzione oraria permanente tanto consistente (20 minuti!) ogni giorno andrebbe ad erodere il curricolo nazionale obbligatorio e non può in alcun caso essere accordata, tramutandosi in un esonero importante da una quota di lezioni obbligatorie. Per tali ragioni, riteniamo che la richiesta non possa essere accolta.

    Data di pubblicazione: 03/12/2025

  • La procedura da adottare per ottenere il riconoscimento del logo d’Istituto...
  • Come noto il logo è un’immagine o una figura rappresentativa di un ente collettivo, sia essa un’azienda commerciale o una pubblica istituzione e può essere costituito da un simbolo, un marchio o da un acronimo, anche variamente combinati tra loro. In considerazione del rilievo identificativo e significativo del “logo”, la sua adozione, non prevista da particolari disposizioni normative, appare riconducibile a quelle più importanti decisioni di competenza del consiglio d’Istituto. I riferimenti normativi possono essere rintracciati nel D.Lgs. 297/1994 che, all’art. 10, comma 3, assegna al Consiglio il potere deliberante “per quanto concerne l’organizzazione e la programmazione della vita della scuola”, e nell’ulteriore previsione dell’art. 45 del D.I. n. 129/2018. Si osserva che il logo, unitamente al nome, è un simbolo immediatamente identificativo e distintivo della scuola nei suoi rapporti con esterni, per cui si suggerisce una previa condivisione a più livelli che appare certamente opportuna, anche se non obbligatoria. La procedura per ottenere il riconoscimento del logo d’Istituto procede dunque da una opportuna condivisione con il Collegio docenti (non delibera) e da una delibera del consiglio d’istituto che approva il logo stesso, inteso quale marchio che potrebbe anche essere registrato presso l'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi (UIBM). La registrazione non è affatto obbligatoria, ma potrebbe proteggere il logo da usi non autorizzati e garantirne l'esclusività per le attività previste (ad esempio per merchandising). Per poter essere registrato il logo della scuola, tuttavia, deve avere alcune caratteristiche previste dal D.Lgs.30/2005 - Codice della proprietà industriale agli artt.11-14, ovvero la novità (cioè non deve essere identico e neppure simile ad altri già registrati), la capacità distintiva e la liceità. Inoltre, deve essere rappresentabile graficamente in modo chiaro e non deve essere ingannevole o contrario all'ordine pubblico.

    Data di pubblicazione: 03/12/2025

  • Assenze per malattia connesse a invalidità: gestione dei certificati e possibilità di visita fiscale dopo l’esaurimento dei giorni tutelati...
  • In merito al quesito posto non vanno confusi i due istituti dell’assenza per stato patologico sotteso a invalidità riconosciuta rispetto al congedo per cure. L’art. 7 del D.Lgs. n. 119 del 2011 “Attuazione dell'articolo 23 della legge 4 novembre 2010, n. 183, recante delega al Governo per il riordino della normativa in materia di congedi, aspettative e permessi” prevede che, salvo quanto previsto dall'articolo 3, comma 42, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, e successive modificazioni - che abroga le disposizioni in materia di congedo straordinario per cure termali dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni - i lavoratori mutilati e invalidi civili cui sia stata riconosciuta una riduzione della capacità lavorativa superiore al cinquanta per cento possono fruire ogni anno, anche in maniera frazionata, di un congedo per cure per un periodo non superiore a trenta giorni. Il congedo di cui sopra è accordato dal datore di lavoro a seguito di domanda del dipendente interessato accompagnata dalla richiesta del medico convenzionato con il Servizio sanitario nazionale o appartenente ad una struttura sanitaria pubblica dalla quale risulti la necessità della cura in relazione all'infermità invalidante riconosciuta (pertanto non è sufficiente solo il certificato medico con la spunta stato patologico sotteso o connesso alla situazione di invalidità riconosciuta). Il terzo comma del citato articolo prevede che durante il periodo di congedo, non rientrante nel periodo di comporto, il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. Il lavoratore è tenuto a documentare in maniera idonea l'avvenuta sottoposizione alle cure. In caso di lavoratore sottoposto a trattamenti terapeutici continuativi, a giustificazione dell'assenza può essere prodotta anche attestazione cumulativa. Il Ministero del Lavoro, con l'Interpello n. 10 dell'8 marzo 2013, ha fornito indicazioni in ordine alla corretta interpretazione dell'art. 7, D.Lgs. n. 119/2011, concernente la disciplina del congedo per cure riconosciuto in favore dei lavoratori mutilati ed invalidi civili. È stato ribadito che: - il suddetto congedo non rientra nel periodo di comporto ed è concesso dal datore di lavoro a seguito di domanda del dipendente interessato accompagnata da idonea documentazione comprovante la necessità delle cure connesse alla specifica infermità invalidante; - la fruizione frazionata dei permessi deve essere intesa come un solo episodio morboso di carattere continuativo, ai fini della corretta determinazione del trattamento economico corrispondente, in quanto connesso alla medesima infermità invalidante riconosciuta. Il Ministero del Lavoro osserva che l'art. 7 del Decreto n. 119/2011 ha stabilito che durante la fruizione del congedo il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia. Pertanto, le caratteristiche del congedo in questione possono così riassumersi: - il congedo (30 giorni fruibili in modo anche frazionato) è accordato per cure che si riferiscono all'infermità invalidante riconosciuta; - il periodo di congedo non rientra nel periodo di comporto; - il dipendente ha diritto a percepire il trattamento calcolato secondo il regime economico delle assenze per malattia; - il lavoratore è tenuto a documentare in maniera idonea l'avvenuta sottoposizione alle cure. In caso di lavoratore sottoposto a trattamenti terapeutici continuativi, a giustificazione dell'assenza può essere prodotta anche attestazione cumulativa. La Funzione Pubblica, con il Parere 7 febbraio 2022, n. 12173 pubblicato in data 23 dicembre 2022, ha fornito chiarimenti circa le modalità di applicazione dell’istituto del congedo straordinario per cure riservato ai lavoratori invalidi civili, ai sensi dell’articolo 7 del D.Lgs. n. 119 del 2011, con particolare riferimento alla computabilità delle giornate del sabato e della domenica nel caso di un dipendente che ha chiesto di fruire di trenta giorni consecutivi di congedo straordinario per cure. Viene ribadito che durante il suddetto periodo di congedo il dipendente ha diritto a percepire il trattamento secondo il regime economico delle assenze per malattia e che tale periodo non è computabile nel periodo di comporto individuato dai CCNL. Invece, l'assenza per “Stato patologico sotteso o connesso alla situazione di invalidità riconosciuta” è soggetta sia alle ritenute economiche previste dalla normativa vigente che computabile ai fini del superamento del periodo di comporto mentre, l'unico trattamento più favorevole concerne la non assoggettabilità del dipendente alle fasce orarie di reperibilità e la conseguente astensione da parte dell'Amministrazione di richiedere la visita fiscale (Pareri Funzione Pubblica n. 2 del 15 marzo 2010 e n. 30536 del 24/7/2012; DM 206/2017 - nuovo Regolamento sule visite fiscali- che per quanto concerne l'esenzione dalle visite fiscali richiede "stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%").

    Data di pubblicazione: 03/12/2025

  • Alcune organizzazioni sindacali chiedono l'introduzione di una clausola etica sui compensi del personale scolastico: che ne pensate?
  • Il CCNL di comparto non prevede l’introduzione di alcuna “clausola etica”. Le sole clausole previste sono stabilite all’art. 8, comma 10: “I contratti collettivi integrativi devono contenere apposite clausole circa tempi, modalità e procedure di verifica della loro attuazione.”. Spesso la parte sindacale si fa sostenitrice della tesi secondo la quale tutto ciò che è frutto di accordo tra le parti ha valore giuridico. Alla tesi va comunque obiettato che le materie di contrattazione e di possibile accordo sono ben chiaramente stabilite all’art. 30, comma 4, lettera c) e a queste occorre attenersi. Inoltre, posto che la contrattazione integrativa non può modificare quanto stabilito a livello contrattuale superiore, è difficile pensare che una clausola del genere possa passare il visto dell’organo di controllo. La clausola etica, peraltro, non si comprende perché venga chiamata "etica". Sostanzialmente, sembra celare la palese finalità di non concentrare incarichi e relativi compensi su un numero limitato di persone al fine di operare una ecumenica redistribuzione delle risorse tra il restante personale, in modo che sia più ampia la base dei beneficiari, a prescindere dal merito e della necessità di premiare chi si impegna di più. Si consiglia pertanto di contrastare l’introduzione della clausola, in difesa del diritto del personale scolastico di vedere riconosciuto l’impegno effettivamente profuso a vantaggio dell’offerta formativa e dell’organizzazione funzionale dell’istituto, esattamente come prevede l’art. 40, comma 3-bis, del D.lgs. 165/2001, laddove si dichiara che: “La contrattazione collettiva integrativa assicura adeguati livelli di efficienza e produttività dei servizi pubblici, incentivando l'impegno e la qualità della performance, destinandovi, per l'ottimale perseguimento degli obiettivi organizzativi ed individuali, una quota prevalente delle risorse finalizzate ai trattamenti economici accessori comunque denominati.”. Quindi coloro che contribuiscono maggiormente all’efficienza e alla produttività del servizio scolastico meritano di essere retribuiti in proporzione al valore prodotto e a quanto il contratto integrativo d’istituto ha stabilito, non di incorrere in un illegittimo taglio di quanto spetterebbe loro per vincolo contrattuale. Non va dimenticato, per altro, che spesso coloro che si fanno carico di forme diverse di collaborazione non controllano l’orario effettivo di impegno, per cui già percepiscono compensi non esattamente correlati al lavoro svolto e all’entità del tempo impiegato. Non è escluso che sulla questione possa essere utile un’interlocuzione informale con i revisori dei conti, in modo da verificare la loro posizione in merito e, se possibile, sgomberare il tavolo sindacale da questo ingombrante ostacolo.

    Data di pubblicazione: 03/12/2025

  • Congedo straordinario in presenza di due figli gemelli con disabilità: chiarimenti sul limite massimo fruibile...
  • Per quanto riguarda la durata, il novellato comma 5-bis dell'art. 42 del D.Lgs. n. 151 del 2001 precisa che “il congedo fruito ai sensi del comma 5 non può superare la durata complessiva di due anni per ciascuna persona portatrice di handicap e nell'arco della vita lavorativa”. Ad avviso della Funzione Pubblica (Circolare n. 1/2012) dalla disposizione si evince un duplice principio: da un lato, la norma stabilisce che ciascuna persona in situazione di handicap grave ha diritto a due anni di assistenza a titolo di congedo straordinario da parte dei famigliari individuati dalla legge, dall'altro, il famigliare lavoratore che provvede all'assistenza può fruire di un periodo massimo di due anni di congedo per assistere i famigliari disabili. Al riguardo, si deve tener conto del fatto che il congedo di cui all'art. 42, commi 5 ss., rappresenta una species nell'ambito del genus di congedo disciplinato dall'art. 4, comma 2, della L. n. 53 del 2000. Tale disposizione stabilisce che “i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni”. Pertanto, il “contatore” complessivo a disposizione di ciascun dipendente è comunque quello di due anni nell'arco della vita lavorativa, a prescindere dalla causa specifica per cui il congedo è fruito. La Funzione Pubblica chiarisce, così, che utilizzati i due anni, ad esempio, per il congedo ex art. 42, commi 5 ss., il dipendente avrà esaurito anche il limite individuale per “gravi e documentati motivi familiari”. Trattandosi di limite massimo individuale, ad un lavoratore o una lavoratrice che nel tempo avesse fruito, ad es., di un anno e quattro mesi di permessi anche non retribuiti “per gravi e documentati motivi familiari”, il congedo di cui all'art. 42, comma 5, potrà essere riconosciuto solo nel limite di otto mesi. L'INPS, con la Circolare n. 32 del 2012, ha precisato che destinatario della norma in esame è la persona disabile in situazione di gravità: questi ha diritto a due anni di assistenza a titolo di congedo straordinario da parte dei familiari individuati dalla legge. Al riguardo si deve tener conto, altresì, che “i dipendenti di datori di lavoro pubblici o privati possono richiedere, per gravi e documentati motivi familiari, un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni” (art. 4, comma 2, della Legge 8/3/2000, n. 53). Pertanto, dovendosi considerare il congedo straordinario compreso nell'ambito massimo di due anni nell'arco della vita lavorativa, si chiarisce, a titolo esemplificativo, che utilizzati i due anni, ad esempio per il primo figlio, il genitore avrà esaurito anche il limite individuale per “gravi e documentati motivi familiari”. In tale caso il congedo straordinario potrà essere fruito, oltre che dall'altro genitore, anche, nei casi previsti dalla legge, dal coniuge, dai figli o dai fratelli del soggetto con handicap grave (es. il secondo figlio disabile), naturalmente con decurtazione di eventuali periodi dagli stessi utilizzati a titolo di congedo per gravi e documentati motivi familiari. L'INPS chiarisce, altresì, che, trattandosi di limite massimo individuale, ad un lavoratore o una lavoratrice che nel tempo avesse fruito (anche per motivi non riguardanti il disabile in situazione di gravità), ad es., di un anno e quattro mesi di permessi anche non retribuiti “per gravi e documentati motivi familiari”, il congedo straordinario di cui trattasi potrà essere riconosciuto solo nel limite di otto mesi: ovviamente la differenza fino ai due anni - e cioè un anno e quattro mesi - potrà invece essere riconosciuta all'altro genitore (purché questi non abbia mai fruito di congedo per motivi familiari o ne abbia beneficiato per non oltre otto mesi: si veda al riguardo la Circolare n. 64/2001). La Corte di Cassazione, con la Sentenza del 5 maggio 2017 n. 11031, fornendo una interpretazione più estensiva rispetto a quelle precedentemente affermate dalla Funzione Pubblica (Cfr. Circolare n. 1/2012) e dall'INPS (Cfr. Circolare n. 32/2012) ha affermato che il diritto al congedo per assistere soggetto in stato di handicap grave, di cui all'art. 42, comma 5, del D.Lgs. n. 151 del 2001, deve essere inteso nel senso che il previsto limite biennale - non superabile nell'arco della vita lavorativa anche nel caso di godimento cumulativo di entrambi i genitori - si riferisce a ciascun figlio in stato di handicap grave, in modo da non lasciarne alcuno privo della necessaria assistenza che la legge è diretta ad assicurare (Cfr. da ultimo Cass. 23/11/2020, n. 26605). Nella motivazione della Sentenza n. 26605 citata si legge " Con sentenza n. 695 del 7 novembre 2013, la Corte d'appello di Venezia ha rigettato l'impugnazione proposta dall'Inps avverso la sentenza di primo grado di accoglimento della domanda proposta da XXX al fine di ottenere il riconoscimento del proprio diritto a fruire del congedo di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42 nel limite massimo di due anni per ciascuno dei propri figli affetti entrambi da handicap grave". Ed ancora " Con l'unico motivo di ricorso, l'INPS denuncia la violazione e falsa applicazione del combinato disposto dal D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42, comma 5, nel testo vigente ratione temporis, della L. n. 53 del 2000, art. 4, comma 2 e del D.M. 21 luglio 2000, n. 278, art. 2, comma 2, ed illustra il motivo precisando che la fattispecie in esame è relativa alla riconoscibilità del congedo biennale di cui al D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 42, comma 5 al caso di un genitore che, avendo già fruito di due anni del congedo di cui alla L. n. 53 del 2000, art. 4, comma 2 per assistere la figlia secondogenita portatrice di handicap grave, chiede di beneficiare di ulteriori due anni di congedo per assistere il terzo figlio, pure portatore di handicap, nel corso dell'anno 2007. Ad avviso dell'INPS non è possibile fruire più di una volta del congedo biennale nell'arco della vita lavorativa come specificato dal D.M. 21 luglio 2000, n. 278 e dall'art. 4, comma 2, cit. che parla espressamente di "un periodo di congedo, continuativo o frazionato, non superiore a due anni". La scelta legislativa, ad avviso del ricorrente, costituisce frutto del bilanciamento tra la tutela di situazioni familiari gravose e l'interesse alla produttività nazionale ex art. 41 Cost., anche in considerazione che, qualora ve ne fosse necessità, potrebbe fruire del congedo biennale in via ulteriore l'altro genitore che non ne abbia usufruito"......."Il motivo è infondato...." Alla luce del recente orientamento giurisprudenziale la madre ha il diritto al raddoppio del congedo per ciascun figlio in stato di disabilità grave. Come noto, l’assenza dal servizio per questo congedo deve essere regolarizzata con decreto. che deve essere inviato alla competente RTS per il visto di regolarità amministrativo - contabile ai sensi del DPR 123/2011. Si suggerisce di evidenziare nel provvedimento la spettanza del congedo per ogni figlio alla luce della citata giurisprudenza che andrà quindi richiamata. In caso di rilievo della RTS, il DS potrà chiedere un parere all’Avvocatura dello Stato competente al fine di valutare se procedere o meno con la richiesta di visto forzoso.

    Data di pubblicazione: 02/12/2025

  • Richiesta di autorizzazione per docente a svolgere attività di co.co.co. come lavoratore sportivo: valutazione normativa e compatibilità con l’orario di servizio...
  • Con la pubblicazione nella G.U. del 4/9/2023 del decreto legislativo n. 120 del 29 agosto 2023 sono state apportate numerose modifiche alla disciplina del lavoro sportivo ivi compresa la questione della compatibilità dei dipendenti pubblici. Più specificamente il decreto, entrato in vigore il 5 settembre 2023, ha dettato disposizioni integrative e correttive dei decreti legislativi 28 febbraio 2021, nn. 36, 37, 38, 39 e 40. Il nuovo art. 25 del decreto 28/02/2021 - n. 36 disciplina la figura del lavoratore sportivo E' lavoratore sportivo l'atleta, l'allenatore, l'istruttore, il direttore tecnico, il direttore sportivo, il preparatore atletico e il direttore di gara che, senza alcuna distinzione di genere e indipendentemente dal settore professionistico o dilettantistico, esercita l'attività sportiva verso un corrispettivo a favore di un soggetto dell'ordinamento sportivo iscritto nel Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, nonché a favore delle Federazioni sportive nazionali, delle Discipline sportive associate, degli Enti di promozione sportiva, delle associazioni benemerite, anche paralimpici, del CONI, del CIP e di Sport e salute S.p.a. o di altro soggetto tesserato. È lavoratore sportivo ogni altro tesserato, ai sensi dell'articolo 15, che svolge verso un corrispettivo a favore dei soggetti di cui sopra le mansioni rientranti, sulla base dei regolamenti tecnici della singola disciplina sportiva, tra quelle necessarie per lo svolgimento di attività sportiva, con esclusione delle mansioni di carattere amministrativo-gestionale. Non sono lavoratori sportivi coloro che forniscono prestazioni nell'ambito di una professione la cui abilitazione professionale è rilasciata al di fuori dell'ordinamento sportivo e per il cui esercizio devono essere iscritti in appositi albi o elenchi tenuti dai rispettivi ordini professionali. Ricorrendone i presupposti, l'attività di lavoro sportivo può costituire oggetto di un rapporto di lavoro subordinato o di un rapporto di lavoro autonomo, anche nella forma di collaborazioni coordinate e continuative ai sensi dell'articolo 409, comma 1, n. 3 del codice di procedura civile. Il nuovo comma 6 dell'art. 25 prevede che i lavoratori dipendenti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono prestare in qualità di volontari la propria attività nell'ambito delle società e associazioni sportive dilettantistiche, delle Federazioni Sportive Nazionali, delle Discipline Sportive Associate, delle associazioni benemerite e degli Enti di Promozione Sportiva, anche paralimpici, e direttamente dalle proprie affiliate se così previsto dai rispettivi organismi affilianti, del CONI, del CIP e della società Sport e salute S.p.a., fuori dall'orario di lavoro, fatti salvi gli obblighi di servizio, previa comunicazione all'amministrazione di appartenenza. In tali casi a essi si applica il regime previsto per le prestazioni sportive dei volontari di cui all'articolo 29, comma 2. L'articolo da ultimo citato prevede che le prestazioni sportive dei volontari non sono retribuite in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Ai volontari sportivi possono essere riconosciuti rimborsi forfettari per le spese sostenute per attività svolte anche nel proprio comune di residenza, nel limite complessivo di 400 euro mensili, in occasione di manifestazioni ed eventi sportivi riconosciuti dalle Federazioni sportive nazionali, dalle Discipline sportive associate, dagli Enti di promozione sportiva, anche paraolimpici, dal CONI, dal CIP e dalla società Sport e salute S.p.a. purché questi ultimi individuino, con proprie deliberazioni, le tipologie di spese e le attività di volontariato per le quali è ammessa questa modalità di rimborso. Gli enti eroganti sono tenuti a comunicare i nominativi dei volontari sportivi che nello svolgimento dell'attività sportiva ricevono i rimborsi forfettari e l'importo corrisposto a ciascuno attraverso il Registro nazionale delle attività sportive dilettantistiche, in apposita sezione del Registro stesso, entro la fine del mese successivo al trimestre di svolgimento delle prestazioni sportive del volontario sportivo. Tale comunicazione è resa immediatamente disponibile, per gli ambiti di rispettiva competenza, all'Ispettorato nazionale del lavoro, all'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e all'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL). La suddetta comunicazione è messa a disposizione tramite la piattaforma digitale nazionale dati di cui all'articolo 50-ter del codice dell'amministrazione digitale di cui al decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, nonché tramite il sistema pubblico di connettività di cui all'articolo 73 del medesimo codice dell'amministrazione digitale, senza nuovi o maggiori oneri a carico delle amministrazioni di riferimento. I rimborsi di cui al presente comma non concorrono a formare il reddito del percipiente. Detti rimborsi concorrono al superamento dei limiti di non imponibilità previsti dall'articolo 35, comma 8-bis , e costituiscono base imponibile previdenziale al relativo superamento, nonché dei limiti previsti dall'articolo 36, comma 6. L'art. 25 al comma 6 contempla anche la diversa fattispecie in cui sia prevista una retribuzione per l'attività sportiva prestata disponendo che qualora l'attività dei dipendenti pubblici rientri nell'ambito del lavoro sportivo e preveda il versamento di un corrispettivo, superiore all'importo complessivo di euro 5.000 annui, la stessa può essere svolta solo previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza che la rilascia o la rigetta entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta, sulla base di parametri definiti con decreto del Ministro per la pubblica amministrazione, di concerto con l'Autorità politica delegata in materia di sport, sentiti il Ministro della difesa, il Ministro dell'interno, il Ministro dell'istruzione e del merito e il Ministro dell'università e delle ricerca. Se, decorso il termine di cui sopra, non interviene il rilascio dell'autorizzazione o il rigetto dell'istanza, l'autorizzazione è da ritenersi in ogni caso accordata. In tal caso si applica il regime previsto per le prestazioni sportive di cui all'articolo 35, commi 2, 8-bis e 8-ter (trattamento pensionistico) e all'articolo 36, comma 6 (I compensi di lavoro sportivo nell'area del dilettantismo non costituiscono base imponibile ai fini fiscali fino all'importo complessivo annuo di euro 15.000,00. In ogni caso, tutti i singoli compensi per i collaboratori coordinati e continuativi nell'area del dilettantismo inferiori all'importo annuo di 85.000 euro non concorrono alla determinazione della base imponibile di cui agli articoli 10 e 11 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446). Pertanto, se l’attività dei lavoratori dipendenti pubblici rientra nell’ambito del lavoro sportivo e si prevede il versamento di un corrispettivo, l’attività potrà essere svolta solo previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza da rilasciare o da rigettare entro 30 giorni dalla ricezione della richiesta, con meccanismo di silenzio-assenso. Il Decreto 10 novembre 2023 "Parametri per il rilascio delle autorizzazioni allo svolgimento di attività di lavoro sportivo retribuita al personale delle amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165" è stato pubblicato in G.U. Serie Generale n. 296 del 20/12/2023. Il citato decreto individua i parametri sulla base dei quali le amministrazioni pubbliche di cui all'art. 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, valutano la sussistenza delle condizioni per il rilascio dell'autorizzazione allo svolgimento dell'attività di lavoro sportivo retribuita, di cui al decreto legislativo 28 febbraio 2021, n. 36, da parte dei dipendenti pubblici. Ai fini del rilascio dell'autorizzazione le amministrazioni titolari del rapporto di lavoro devono autorizzare lo svolgimento dell'attività di lavoro sportivo al verificarsi delle seguenti condizioni: a) assenza di cause di incompatibilità di diritto, che possano ostacolare l'esercizio imparziale delle funzioni attribuite al dipendente. La valutazione deve essere effettuata tenendo presente la qualifica del dipendente, la posizione professionale e le attività assegnate; b) l'insussistenza di conflitto di interessi in relazione all'attività lavorativa svolta nell'ambito dell'amministrazione. L'attività di lavoro sportivo autorizzata deve essere svolta al di fuori dell'orario di lavoro e non deve pregiudicare il regolare svolgimento del servizio ne' intaccare l'indipendenza del lavoratore, esponendo l'amministrazione al rischio di comportamenti che non siano funzionali al perseguimento dei canoni di buon andamento e imparzialità dell'azione amministrativa. Resta fermo che l'attività autorizzata, in relazione al tempo di svolgimento e alla durata della prestazione di lavoro sportivo, non deve pregiudicare il regolare svolgimento delle attività dell'ufficio cui il dipendente è assegnato. A tal fine, in relazione ai dipendenti che svolgono attività a contatto con il pubblico, le amministrazioni verificano, ai fini dell'autorizzazione, che la prestazione di lavoro sportivo non confligga con il regolare e ordinato svolgimento del servizio. L'amministrazione, per i dipendenti con rapporto di lavoro a TEMPO PIENO, verifica, altresì, che la prestazione di lavoro sportivo non rivesta carattere di prevalenza in relazione al tempo e alla durata. Si considera PREVALENTE l'attività che impegna il dipendente per un tempo superiore al 50% dell'orario di lavoro settimanale stabilito dal contratto collettivo nazionale di riferimento. Le condizioni previste per il rilascio dell'autorizzazione di cui al comma 1, lettera a) e b), devono sussistere congiuntamente e permanere per tutta la durata di svolgimento dell'attività di lavoro sportivo da parte del dipendente. La scuola dovrà quindi chiedere specifiche al dipendente su come verrà svolta l'attività al fine di valutare se ci sono i presupposti per concedere l’autorizzazione secondo quanto sopra esposto. Tuttavia è fondamentale verificare se viene superata o meno la somma di 5000 euro all’anno a titolo di corrispettivo. Infatti, si rileva che l'art. articolo 3, comma 1, lettera a), del D.L. 31 maggio 2024, n. 71, convertito con modificazioni dalla Legge 29 luglio 2024, n. 106, ha aggiunto la lettera f-ter) al comma 6 dell'art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 ai sensi della quale per le prestazioni di lavoro sportivo, fino all'importo complessivo di 5.000 euro annui, non è necessaria l'autorizzazione preventiva ma è sufficiente la comunicazione preventiva. Nel quesito viene detto che il compenso è superiore a 5000 euro ( fino a 15.000 euro) quindi occorre l’autorizzazione e non la semplice comunicazione. Nella bozza di contratto ( di lavoro autonomo occasionale e non di co.co.co.) non si fa riferimento all’articolazione oraria dell’attività lavorativa, elemento necessario per capire se trattasi di attività prevalente o meno. Pertanto, il DS dovrà chiedere chiarimenti in merito a quanto sopra detto per verificare se trattasi di attività autorizzabile o meno in applicazione delle previsioni del Decreto sopra esposto.

    Data di pubblicazione: 02/12/2025

  • Certificazione dei servizi e delle retribuzioni su PASSWEB: chiarimenti sull’inclusione della maggiorazione del 18% e del rateo di tredicesima...
  • Gentile utente, in risposta alla richiesta di chiarimenti sulle retribuzioni da certificare nelle posizioni assicurative nell'area riservata NUOVA PASSWEB, si rappresenta quanto segue. La differenza riscontrata è spiegabile in quanto, a seguito della riforma Fornero (L. 214/2011), il sistema di calcolo pensionistico è passato progressivamente da un criterio retributivo ad un criterio contributivo, con la conseguenza che: - gli imponibili comunicati dal MEF all’INPS, tramite flussi DMA/UNIEMENS, non sono più maggiorati del 18%; - l’imponibile ai fini del montante contributivo è costituito esclusivamente dalle retribuzioni effettivamente assoggettate a contribuzione, come risultanti dal cedolino. Pertanto, la scuola deve certificare in PASSWEB gli importi presenti nella posizione assicurativa, se alimentati dal MEF, poiché tali valori rappresentano l’imponibile contributivo effettivamente versato dal datore di lavoro, che costituisce la base per il calcolo del montante individuale. Resta fermo che la colonna "Q" delle tabelle Stanizzi è utilizzabile per la ricostruzione degli imponibili pensionistici in PASSWEB dal 1993 al 2010.

    Data di pubblicazione: 02/12/2025

  • Procedura da seguire a seguito della domanda di accertamento di inabilità presentata da un docente a t.d. con contratto al 30/06/2026...
  • L’art. 42 del DPR 1092/73 prevede che il dipendente civile che cessa dal servizio per raggiungimento del limite di età o per infermità non dipendente da causa di servizio ha diritto alla pensione normale se ha compiuto quindici anni di servizio effettivo. Il riferimento è quindi all’accertamento dell’inidoneità ai sensi del DPR 171 del 2011 che ha abrogato la precedente disciplina della dispensa per infermità prevista nel TU di cui al D.Lgs. n. 297 del 1994 Ciò premesso, in punto di norma il dipendente a t.d. non può essere sottoposto a visita collegiale. Infatti, ai sensi del DPR 171/2011, art. 3, il dirigente scolastico avvia la procedura per l'accertamento dell'inidoneità psicofisica del dipendente, in qualsiasi momento successivo al superamento del periodo di prova, nei seguenti casi: a) assenza del dipendente per malattia, superato il primo periodo di conservazione del posto previsto nei contratti collettivi di riferimento (cfr CCNL Scuola art. 17 non modificato dal CCNL 2024); b) disturbi del comportamento gravi, evidenti e ripetuti, che fanno fondatamente presumere l'esistenza dell'inidoneità psichica permanente assoluta o relativa al servizio; c) condizioni fisiche che facciano presumere l'inidoneità fisica permanente assoluta o relativa al servizio. Pertanto, il presupposto è che trattasi di personale che ha comunque superato l'anno di prova. Ad ogni modo, si deve, altresì, osservare che la prassi, riscontrata anche nei nostri corsi di formazione in materia e nei quesiti che ci vengono posti, è quella dell'invio anche del personale a t.d. (o che non ha superato il periodo di prova) a visita collegiale in presenza di condizioni psico fisiche che ne facciano presumere un'inidoneità (anche relativa) al lavoro. Le Commissioni non rifiutano in sostanza l'effettuazione degli accertamenti con la precisazione che dette visite comunque hanno la finalità di accertare se il dipendente, seppur a t.d. o che non ha superato il periodo di prova, sia idoneo a prestare servizio e ciò al fine della tutela della sua incolumità. Pertanto, se le condizioni di salute o comportamentali sono effettivamente tali da rappresentare indice di una inidoneità al servizio, tale anche da comportare rischi per la stessa salute del dipendente, si ritiene che la scuola possa procedere a richiesta di visita collegiale motivando la suddetta richiesta alla luce delle condizioni di salute che fanno, per l'appunto, presumere una inidoneità al servizio. Anche in giurisprudenza è stato affermato che ai sensi dell'art. 3, terzo comma, DPR n. 171/2011 è legittima la sottoposizione a visita del dipendente anche durante il periodo di prova quando detto periodo, anche in virtù del disposto dell'art. 438 D.Lgs. n. 297/1994, si protragga per un tempo indefinito. Infatti, la Corte di Cassazione, con la Sentenza 16/12/2021 n. 40406, nel confermare la Sentenza n. 201 del 2019 della Corte di Appello di Genova, ha affermato che l'art. 3 del DPR 27 luglio 2011 n. 171 attribuisce l'iniziativa per l'avvio della procedura di accertamento dell'inidoneità psicofisica permanente all'Amministrazione di appartenenza del dipendente ovvero al dipendente interessato, in entrambe le ipotesi “in qualsiasi momento successivo al superamento del periodo di prova”. La norma non intende assicurare un beneficio al dipendente in prova, che non sarebbe consentito dalla norma primaria, in quanto essa non esonera dal licenziamento per inidoneità psicofisica il lavoratore in prova; piuttosto, il regolamento rinvia ogni accertamento al riguardo all'esito della valutazione della prova, che potrebbe ex se determinare la risoluzione del rapporto di lavoro (dispensa per mancato superamento della prova). Il regolamento ha riguardo all'ipotesi ordinaria, in cui la prova ha carattere temporaneo; a voler ammettere che, in caso di mancato compimento del periodo di 180 giorni di servizio, possano esservi proroghe ripetute, per un tempo potenzialmente illimitato, sarebbe evidente il venir meno della temporaneità della prova. La Cassazione ha quindi ritenuta legittima , la procedura prevista dal DPR n. 171/2011, attivata dall'amministrazione scolastica una volta decorsi i primi due anni scolastici di prova, senza che da parte del docente sia stato prestato servizio per il periodo minimo di 180 giorni; trattasi di situazione diversa da quella del quesito ma un utile appiglio, in senso analogico, all'invio a visita collegiale anche del personale non confermato in ruolo in caso di evidente necessità di accertamento delle condizioni di salute. In tal senso si registra la Nota USR Piemonte del 25 novembre 2022 n.17320 che sul punto ha così specificato " Il Regolamento recato dal d.P.R. n. 171/2011 condiziona l’avvio del procedimento di accertamento dell’idoneità al fatto che il dipendente abbia superato il periodo di prova. La disciplina normativa pertanto esclude formalmente dalla procedura attivabile innanzi alla Commissione medica di verifica il personale a tempo determinato (art. 3). La limitazione introdotta dal dettato normativo pone un evidente discrimine tra le tutele della salute previste a favore del lavoratore a tempo indeterminato che abbia superato il periodo di prova, e i lavoratori che non lo hanno ancora superato o addirittura che versano in condizioni di precarietà. A fronte del dettato normativo non sono infrequenti le richieste da parte dei dirigenti scolastici di verifica presso la Commissione medica anche nei confronti del personale a tempo determinato il cui comportamento in servizio abbia fatto presumere la sussistenza di patologie invalidanti per la prosecuzione del rapporto. In questi casi la Commissione medica di verifica valuterà se procedere all’accertamento essendo in gioco la tutela dell’incolumità, oltre che del dipendente, anche del resto della comunità scolastica allorquando i comportamenti posti in essere costituiscano fonte di pericolo, o se inoltrare ai sensi della legge 241/1990 ad altra istituzione competente. Il problema semmai sarà quello di individuare i provvedimenti da adottare a seconda dell’esito del giudizio medico. Infatti, mentre nel caso in cui venga accertata un’inidoneità assoluta allo svolgimento del servizio il dipendente potrà essere collocato in malattia d’ufficio fino al termine del contratto, nell’ipotesi di inidoneità relativa non sarà possibile per il supplente procedere alla stipula di un contratto che ne consenta l’utilizzazione temporanea in altri compiti dal momento che anche il CCNI del 25 giugno 2008 esclude detto personale dall’applicazione della relativa disciplina (art. 2, comma 1). Qualche apertura si ritrova nella giurisprudenza del giudice del lavoro che, in una recente pronuncia, ha preso posizione sull’argomento anche se limitatamente al caso del docente in prova. Il caso di specie prende le mosse dall’impugnazione del licenziamento irrogato ai sensi dell’art. 6, comma 3 del d.P.R. n. 171/2011 a un docente in anno di formazione e prova rifiutatosi, per tre volte e senza giustificazione, di sottoporsi alle visite medico collegiali richieste dal dirigente scolastico per la verifica dell’idoneità. Nel caso affrontato dalla Corte di Cassazione la ricorrente, che si era vista prorogare per più di un anno scolastico il periodo di prova a causa del mancato raggiungimento dei 180 giorni richiesti ai fini della valutazione, riteneva di non poter essere legittimamente sottoposta a visita proprio perché non ancora confermata in ruolo e, sulla base di tale interpretazione del dettato normativo, si rifiutava di presentarsi alle convocazioni da parte della Commissione medica. Il giudice del lavoro ha ritenuto illegittimo il rifiuto opposto dalla lavoratrice che, in questo modo, non presentandosi a lavoro, avrebbe determinato il protrarsi del periodo di prova illimitatamente. Da altro lato ha ritenuto legittimo l’operato dell’amministrazione scolastica che, una volta decorsi i primi due anni dalla prova, correttamente ha dato avvio alla procedura prevista dal d.P.R. n. 171/2011. Secondo i giudici di legittimità, infatti, la diversa interpretazione (letterale) orientata ad escludere la possibilità di visita nel periodo di prova non sarebbe compatibile con un’organizzazione orientata al buon andamento dell’amministrazione scolastica perché legittimerebbe una situazione in cui una cattedra viene occupata da un soggetto che non presta servizio per lungo tempo, pur percependo la retribuzione, senza alcuna possibilità di verificarne la sua idoneità al servizio e costringendo il dirigente a ricorrere a supplenze temporanee con conseguente pregiudizio per l’utenza e per la continuità didattica". Pertanto, a nostro avviso, stante la domanda del dipendente, si suggerisce comunque di attivare la relativa richiesta di visita collegiale all'INPS competente che deciderà poi se attivare la visita collegiale. Solo se l'INPS emetterà verbale di inidoneità permanente e assoluta la scuola dovrà procedere alla risoluzione del rapporto di lavoro ai sensi del DPR 171/2011 emettendo apposito provvedimento. Per il riconoscimento della pensione di inabilità il verbale dovrà fare riferimento anche alla sussistenza dei requisiti di cui alla Legge n. 335/1995.

    Data di pubblicazione: 02/12/2025

  • Comunicazioni alle famiglie (uscite anticipate, uscite didattiche...) per gli alunni minorenni: è valida la sola autorizzazione tramite registro elettronico?
  • Si chiede se è possibile richiedere autorizzazioni (per uscite a anticipate, PDP; privacy, uscite didattiche...), ai genitori, per alunni minorenni...

    Data di pubblicazione: 02/12/2025

  • Assenze e permessi dei docenti con contratto COE: come gestire la partecipazione a un viaggio di istruzione nei giorni di servizio in altro istituto...
  • Come già evidenziato in occasione i analoghi quesiti, va fatto presente che nulla osta che un docente con cattedra oraria su più istituzioni scolastiche possa prestarsi come accompagnatore delle classi in occasione di visite guidate e viaggi di istruzione. Ovviamente si tratta di una “disponibilità”, non di un obbligo di servizio né di attività funzionale all’insegnamento di cui all’articolo 44, comma 3, del CCNL comparto “Istruzione e ricerca” 2019-2021. Ciò detto, affinché il docente in comune tra due istituzioni scolastiche partecipi a iniziative della scuola X che si svolgono in orario coincidente con quello di servizio presso la scuola Y, è necessario che siano rispettati i seguenti passaggi: - il docente è tenuto a comunicare alla scuola Y l’eventuale partecipazione ad attività didattiche promosse dalla scuola X affinché la prima valuti se la sua assenza sia sostenibile sul piano organizzativo, con particolare riferimento alla possibilità di sostituirlo senza particolari aggravi; - la scuola Y, verificata la compatibilità tra l’assenza del docente e le esigenze organizzative: • dà l’assenso allo svolgimento del suo servizio presso la scuola X, giustificando validamente la mancata prestazione lavorativa secondo in consueto orario settimanale. Peraltro, a nulla rileva che il docente sia impegnato nella scuola X in giorno diverso dal programmato ai fini della copertura assicurativa. Infatti, egli fornisce la sua prestazione lavorativa nell’ambito di attività quali i viaggi di istruzione e le visite guidate di norma ricomprese nell’offerta formativa di ogni istituzione scolastica e, quindi, garantite dal punto di vista assicurativo; oppure • non dà l’assenso e non autorizza il docente a partecipare alla visita di istruzione. Con riferimento, invece, al mancato recupero delle ore, è prassi consolidata che in circostanze del genere le istituzioni scolastiche coinvolte interloquiscano tra loro, anche nell’eventualità che situazioni simili possano ripresentarsi a parti capovolte, nell’ottica della piena collaborazione e della reciprocità. Risulterebbe, pertanto, ben poco in linea con tale spirito un eventuale preventivo rifiuto dell’altra scuola di una “restituzione” delle ore che, sia chiaro, non è un’operazione obbligatoria (il docente, infatti, ha comunque garantito la prestazione lavorativa) ma finalizzata prioritariamente al recupero delle attività non svolte da parte delle classi interessate.

    Data di pubblicazione: 02/12/2025

  • Gestione amministrativa dei permessi per incarichi elettivi del personale scolastico: ore spettanti, richiesta e obblighi documentali...
  • I permessi spettanti sono i seguenti previsti dall'art. 79 del D.Lgs. n. 267 del 2000. - Comma 1. I lavoratori dipendenti, pubblici e privati, componenti dei consigli comunali, provinciali, metropolitani, delle comunità montane e delle unioni di comuni, nonché dei consigli circoscrizionali dei comuni con popolazione superiore a 500.000 abitanti, hanno diritto di assentarsi dal servizio per il tempo strettamente necessario per la partecipazione a ciascuna seduta dei rispettivi consigli e per il raggiungimento del luogo di suo svolgimento. Nel caso in cui i consigli si svolgano in orario serale, i predetti lavoratori hanno diritto di non riprendere il lavoro prima delle ore 8 del giorno successivo; nel caso in cui i lavori dei consigli si protraggano oltre la mezzanotte, hanno diritto di assentarsi dal servizio per l'intera giornata successiva (il comma 1 si applica ai casi di cui al quesito). - Comma 3. I lavoratori dipendenti facenti parte delle giunte comunali, provinciali, metropolitane, delle comunità montane, nonché degli organi esecutivi dei consigli circoscrizionali, dei municipi, delle unioni di comuni e dei consorzi fra enti locali, ovvero facenti parte delle commissioni consiliari o circoscrizionali formalmente istituite nonché delle commissioni comunali previste per legge, ovvero membri delle conferenze dei capogruppo e degli organismi di pari opportunità, previsti dagli statuti e dai regolamenti consiliari, hanno diritto di assentarsi dal servizio per partecipare alle riunioni degli organi di cui fanno parte per la loro effettiva durata. Il diritto di assentarsi di cui al presente comma comprende il tempo per raggiungere il luogo della riunione e rientrare al posto di lavoro. - Comma 4. I componenti degli organi esecutivi dei comuni, delle province, delle città metropolitane, delle unioni di comuni, delle comunità montane e dei consorzi fra enti locali, e i presidenti dei consigli comunali, provinciali e circoscrizionali, nonché I PRESIDENTI DEI GRUPPI CONSILIARI DELLE PROVINCE E DEI COMUNI CON POPOLAZIONE SUPERIORE A 15.000 ABITANTI, hanno diritto, oltre ai permessi di cui ai precedenti commi, di assentarsi dai rispettivi posti di lavoro per un massimo di 24 ore lavorative al mese, elevate a 48 ore per i sindaci, presidenti delle province, sindaci metropolitani, presidenti delle comunità montane, presidenti dei consigli provinciali e dei comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti (il comma in questione si applica ad uno dei due casi di cui al quesito). Il comma 4 si riferisce ai componenti degli organi esecutivi dei comuni indipendentemente dalla popolazione del comune. - Comma 5. I lavoratori dipendenti di cui al presente articolo hanno diritto ad ulteriori permessi non retribuiti sino ad un massimo di 24 ore lavorative mensili qualora risultino necessari per l'espletamento del mandato. Il comma 6 prevede che l'attività ed i tempi di espletamento del mandato per i quali i lavoratori chiedono ed ottengono permessi, retribuiti e non retribuiti, DEVONO ESSERE PRONTAMENTE E PUNTUALMENTE DOCUMENTATI MEDIANTE ATTESTAZIONE DELL'ENTE. Pertanto, il dipendente deve consegnare la relativa documentazione e, in caso di autocertificazione (ferma restando la giurisprudenza di cui diremo nel prosieguo della presente risposta) la scuola dovrà procedere con i relativi controlli ai sensi del DPR 445/2000 presso l'Amministrazione di riferimento (non si tratta di accesso agli atti). La necessità di attestazione riguarda le varie tipologie di permessi, siano essi retribuiti oppure no, e sia che riguardino la partecipazione alle riunioni dei diversi organi dei quali l'amministratore è componente (e per i quali la legge riconosce il diritto ad usufruire dei permessi) sia che attengano alle ulteriori attività politico-amministrative svolte dall'amministratore nel monte ore massimo concessogli dalla legge (cfr Corte dei Conti, sezione giurisdizionale dell'Umbria, sentenza del 18 maggio 1999, n. 379 relativa alla disciplina dei permessi contenuta nella legge 27 dicembre 1985, n. 816, di contenuto analogo all'attuale articolo 79 TUEL). I permessi per la partecipazione alle riunioni degli organi non sono soggetti a limitazione temporale, mentre i permessi per l'espletamento del mandato sono limitati al monte ore mensile fissato per legge. Nel primo caso dovrà risultare, tramite attestazione dell'Ente, l'ora di inizio della riunione o quella successiva nel caso in cui l'amministratore sia arrivato in un secondo momento e quella della fine dei lavori o quella, eventualmente precedente, in cui l'interessato si sia definitivamente allontanato. Dovrà, altresì, risultare il tempo impiegato per lo spostamento da e per il luogo di lavoro. Più specificamente, l'attestazione dovrà fare riferimento alla sola presenza dell'amministratore alle relative riunioni presso l'ente locale e alla durata delle stesse e non invece, ai tempi di percorrenza per il viaggio di andata e ritorno che potranno invece essere attestati dallo stesso amministratore con un'autodichiarazione di cui all'art. 47 del DPR 28 dicembre 2000, n. 445, corredata dalla documentazione, biglietti di viaggio o pedaggi autostradali, eventualmente in possesso (cfr Ministero dell'Interno, parere del 30 aprile 2014). Con riferimento, invece, all'attestazione relativa alle ore di permesso per l'espletamento del mandato, relativamente a quelle utilizzate per attività non espressamente documentate agli atti dell'ente, il Ministero dell'Interno ha ritenuto che, in tal caso, la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui all'articolo 47 del DPR 445/2000, sia idonea a giustificare l'assenza (cfr. Ministero dell'Interno, pareri del 19 gennaio 2015 e del 10 giugno 2014). Seppur sul punto si è registrata una giurisprudenza non proprio pacifica, da ultimo, la Corte dei Conti del Lazio, con la Sentenza n.812/2022 ha così affermato "Con pareri del 17 maggio 2005 e 19 gennaio 2015, resi sull’interpretazione del citato art. 79, il Ministero dell’interno, come correttamente segnalato dal convenuto, ha sancito, secondo i principi generali in materia di semplificazione amministrativa, la piena equiparabilità tra certificazioni dell’ente e autodichiarazioni: “Per quanto concerne la possibilità di sostituire l’attestazione per i permessi con una autocertificazione, si rappresenta che la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà di cui all’art. 47 d.P.R. 28.12.2000, n. 445, fatte salve le eccezioni espressamente previste per legge, ha la stessa validità legale dell’atto che sostituisce, tanto più che, nella fattispecie, tale dichiarazione viene effettuata da un amministratore locale investito di pubbliche funzioni”. Oltre alle autocertificazioni, il convenuto ha fornito, con riferimento alle stesse, una prova dello svolgimento di varia attività istituzionale presso l’ente locale nella qualità di consigliere comunale e capogruppo. Infatti, ha depositato esaustive dichiarazioni del segretario comunale e del responsabile dell’ufficio urbanistico-edilizio, cui si fa rinvio, dalle quali risulta, anche attraverso richieste di accesso tramite mail protocollate dal Comune o risultanti dal calendario degli appuntamenti del funzionario responsabile del settore urbanistica, che il convenuto si è recato in modo continuativo a prendere visione ed estrarre copia di atti, contratti, ordinanze, ricorsi, fascicoli amministrativi, finanziamenti pubblici assegnati e non, nonché ad acquisire informazioni -anche per le vie brevi- attraverso colloqui con il personale addetto ai settori di riferimento, anche al fine di presentare oltre 100 proposte tra delibere giuntali e consiliari. Le autodichiarazioni redatte dal convenuto, dunque, risultano confermate dalle predette dichiarazioni rilasciate da organi competenti dell’ente locale. PERTANTO, AD AVVISO DEL COLLEGIO, È POSSIBILE PROVARE LO SVOLGIMENTO DI ATTIVITÀ ISTITUZIONALI ANCHE INDIPENDENTEMENTE DA ATTESTAZIONI FORMALI DELL’ENTE LOCALE, QUANDO SUSSISTONO, COME NEL CASO DI SPECIE, PLURIMI E CONCORDANTI INDIZI CHE DEPONGONO, VALUTATI ALLA LUCE DEL PRINCIPIO DI RAGIONEVOLEZZA, PER LO SVOLGIMENTO DI FATTO DELLE ATTIVITÀ AUTODICHIARATE. A ciò si aggiunga che, come accennato, il Ministero dell’interno nei citati pareri ha ritenuto possibile che i politici autocertifichino l’attività istituzionale svolta. Tale circostanza è idonea, in ogni caso, ad escludere l’elemento soggettivo della responsabilità imputata al convenuto. Occorre anche tener conto che l’attività istituzionale svolta dagli amministratori locali non si estrinseca solo nella partecipazione alle sedute degli organi consiliari, ma anche in attività atipiche, svolte nell’interesse della collettività locale, come dimostrato anche dal comma 4 del citato art. 79 che concede anche ai presidenti dei gruppi consiliari di assentarsi per 48 ore al mese, a prescindere da qualunque attestazione. Infatti, la disciplina legislativa del testo unico enti locali è finalizzata a bilanciare svariati interessi: quello del politico lavoratore a continuare a prestare la propria attività alle dipendenze altrui; quello della collettività a beneficiare dell’azione politica dell’eletto. La normativa su licenze e permessi, retribuiti e non, rende compatibili entrambe le attività, lasciando anche all’autonomia del politico lavoratore, alla luce del carico di lavoro e della posizione istituzionale rivestita, la fruizione dei benefici di legge. Per quanto sopra l’azione risarcitoria attivata dalla Procura regionale è infondata...".

    Data di pubblicazione: 02/12/2025

  • Supplenze annuali antecedenti al 2001 e immissione in ruolo: quale trattamento di fine servizio spetta secondo la normativa INPDAP?
  • Gentile utente, come indicato nel DPCM del 20 dicembre 1999 e nella circolare esplicativa INPDAP menzionata n. 30 del 1° agosto 2002, il docente è in regime TFR e, nel caso specifico, il TFR decorre dal 14/09/2000 non essendoci interruzione tra il contratto a tempo determinato e quello indeterminato con decorrenza 1° settembre 2001.

    Data di pubblicazione: 02/12/2025

  • Riconoscimento della maggiorazione contributiva per una docente con invalidità al 100% in prossimità della pensione d’ufficio...
  • Gentile utente, le maggiorazioni connesse ad un determinato status del dipendente, come ad esempio quello di invalido in base all'art. 80 della Legge 388/2000, c.d. "maggiorazioni di status", non devono essere inserite dall'Istituzione scolastica ma dall'Inps a seguito di richiesta del dipendente presentata nell'istanza di pensione, come indicato nella circolare Inps n. 4 del 17 gennaio 2018. Se volete comunque procedere con l'inserimento delle stesse è opportuno considerare la data di revisione dicembre 2025.

    Data di pubblicazione: 02/12/2025

  • Organizzazione dei colloqui scuola-famiglia: chi decide la cadenza? Ha senso un intervento d'imperio del DS o è meglio un passaggio in CdI?
  • Nella scuola che dirigo, i colloqui con le famiglie venivano svolti ogni 15 giorni; da quest'anno ho voluto che fossero aperti ogni settimana...

    Data di pubblicazione: 02/12/2025

  • La gestione delle ferie residue di una collaboratrice scolastica in aspettativa per supplenza annuale presso altra istituzione scolastica...
  • Ai sensi dell'art. 70 del CCNL 2024 (che ha sostituito l’art. 59 del CCNL 2007) il personale ATA può accettare, nell’ambito del comparto scuola, contratti a tempo determinato di durata non inferiore ad un anno, mantenendo senza assegni, complessivamente per tre anni, la titolarità della sede. L’accettazione dell’incarico comporta l’applicazione della relativa disciplina prevista dal CCNL per il personale assunto a tempo determinato, ivi compresa la disciplina delle ferie. Per quanto concerne le ferie del personale ex art. 59 (ora art 70 CCNL 2024) ricordiamo che il MEF, con una mail del 21 luglio 2009 indirizzata all’USP di Torino, ha precisato che per il personale ATA con contratto a tempo indeterminato che accetta un incarico a tempo determinato ai sensi dell’art. 59 del C.C.N.L. 2006/2009, non è previsto da alcuna disposizione di legge o contrattuale il pagamento delle ferie non godute (stante che il presupposto per la monetizzazione è sempre la cessazione del servizio), le quali devono essere concesse o disposte (se non fruite durante il corso dell’anno), al rientro nella sede di titolarità (cfr anche l’Orientamento applicativo SCU14 dell'ARAN per il Comparto Scuola). Il citato Orientamento applicativo (SCU14) ARAN per il Comparto Scuola ha precisato: “Al personale a tempo indeterminato che accetta un incarico a tempo determinato, ai sensi dell’art. 59 del CCNL 2006/2009, spetta il pagamento delle ferie non godute? Si precisa che il parere sulla legalità del decreto di liquidazione delle ferie maturate e non godute esula dai compiti di questa Agenzia che può, invece, formulare orientamenti riguardanti le clausole contrattuali. Nel caso specifico l’art. 59 del CCNL 2006/2009 consente al personale ATA di accettare contratti a tempo determinato, nell’ambito del comparto scuola e di durata non inferiore ad un anno, mantenendo senza assegni, complessivamente per tre anni, la titolarità della sede. L’accettazione dell’incarico prevede l’applicazione della disciplina prevista dallo stesso CCNL per il personale assunto a tempo determinato, fatti salvi i diritti sindacali. In materia di ferie l’art 13, comma 8, (norma comune sia per il personale docente e ATA a tempo indeterminato sia per il personale docente e ATA a tempo determinato) esplicita perentoriamente che le ferie sono un diritto irrinunciabile e non sono monetizzabili tranne quanto previsto dal comma 15 (all’atto di cessazione dal rapporto di lavoro, qualora le ferie spettanti non siano state fruite). Il comma 10, del medesimo articolo, stabilisce che la fruizione della ferie non godute a causa di particolari esigenze di servizio o in caso di motivate esigenze di carattere personale e di malattia dal suddetto personale possa essere differita rispetto a quanto disciplinato dal precedente comma 9. Pertanto, a parere di questa Agenzia, per quanto espressamente previsto dal vigente CCNL e considerato che personale destinatario dell’art. 59 rientrando nella sede di titolarità al termine del contratto a tempo determinato non cessa il rapporto di lavoro, non si ravvisano le condizioni per attivare un provvedimento di liquidazione del compenso sostitutivo per le ferie maturate e non fruite. La fruizione delle ferie maturate e non godute dovrebbe essere favorita al rientro nella sede di titolarità.” Nel caso di specie, al momento del collocamento in aspettativa ex art. 70 e della stipula del contratto a t.d. annuale come assistente amministrativo, il dipendente aveva un residuo di ferie maturate come c.s.. In argomento si è pronunciato l'ARAN con l'Orientamento Applicativo SCU_093 del 15 luglio 2015 che riportiamo in integrale: "L’istituto scolastico, presso il quale il personale ATA è in assegnazione provvisoria, è tenuto a far fruire le ferie da questi già maturate e non godute presso la scuola di titolarità? L’art. 13, comma 10, del CCNL del 29/11/2007 del comparto scuola, prevede espressamente che: in caso di particolari esigenze di servizio ovvero in caso di motivate esigenze di carattere personale e di malattia, che abbiano impedito il godimento in tutto o in parte delle ferie nel corso dell’anno scolastico di riferimento, le ferie stesse saranno fruite dal personale docente, a tempo indeterminato, entro l’anno scolastico successivo nei periodi di sospensione dell’attività didattica. In analoga situazione, il personale ATA fruirà delle ferie non godute non oltre il mese di aprile dell’anno successivo, sentito il parere del DSGA. Pertanto, in generale, l’assistente amministrativo può fruire delle ferie maturate nell’anno precedente entro il 30 aprile dell’anno successivo. In proposito, però, sembra utile evidenziare che la mancata fruizione delle ferie per motivi di servizio, entro i termini contrattualmente previsti, deve rappresentare un fatto eccezionale in quanto il diritto alle ferie viene qualificato, nell’ambito del nostro ordinamento giuridico (in primo luogo dall’art. 36 della Costituzione) come un diritto irrinunciabile per il lavoratore. Pertanto, in via ordinaria, l’amministrazione è tenuta ad assicurare il godimento delle ferie ai propri dipendenti, nel rispetto delle scadenze previste dal contratto, attraverso la predisposizione di appositi piani ferie e, in caso di inerzia dei lavoratori o di mancata predisposizione dei piani stessi, anche mediante l’assegnazione d’ufficio delle stesse. Un’attenta pianificazione delle ferie, infatti, è diretta a garantire, da un lato, il diritto dei dipendenti al recupero delle proprie energie psicofisiche e, dall’altro, ad assicurare la funzionalità degli uffici". Quindi, in via generale, la dipendente potrà fruire entro il 30 aprile, delle ferie maturate come c.s. anche nel periodo di assegnazione ex art. 70 come a.a. Ad ogni modo questa possibilità va contemperata tenuto conto della durata del contratto come a.a. tenuto conto che in detto periodo la scuola di utilizzazione deve ordinariamente procedere alla programmazione delle ferie che il dipendente sta maturando nel profilo di assistente. Trattandosi di supplenza annuale al 31 agosto si ritiene che ciò sia possibile e ciò ricade anche sulla responsabilità della scuola di utilizzazione che dovrà consentire la fruizione, entro il 31 agosto 2026, anche delle ferie maturate come a.a.

    Data di pubblicazione: 02/12/2025

  • Fruizione del congedo parentale da parte di un docente supplente breve con figli minori residenti all’estero...
  • La normativa di riferimento art. 32 del decreto legislativo n. 151/2001 non fa alcun richiamo, né riferimento – tra le condizioni richieste per usufruire di tale diritto –alla residenza dei genitori, o dei figli in un determinato stato. Il congedo parentale è rivolto alle lavoratrici e ai lavoratori dipendenti siano essi a tempo indeterminato e o determinato, in questo caso, in costanza del rapporto di lavoro. In giurisprudenza è stato più volte affermato che, il congedo parentale è configurabile come un diritto potestativo, caratterizzato da un comportamento con cui il titolare realizza da solo l’interesse tutelato e a cui fa riscontro, nell’altra parte, una mera soggezione alle conseguenze della dichiarazione di volontà da parte del datore di lavoro, al quale è lasciato solo un diritto di verifica delle modalità dell’esercizio di tale diritto (Cassazione Civile, sez. lav., 02/08/2010, (ud. 30/06/2010, dep. 02/08/2010, n.17984). In tal senso poi, anche il Ministero del Lavoro, con l'interpello n. 13 dell’11 aprile 2016, ha precisato che il diritto alla fruizione del congedo va qualificato in termini di diritto potestativo, in relazione al quale vige l’unico onere del rispetto del preavviso (cfr. Cass. 16 giugno 2008, n. 16207). Il congedo parentale è un periodo di astensione facoltativa dal lavoro concesso ai genitori per prendersi cura del bambino nei suoi primi 12 anni di vita al fine di soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali. Il periodo complessivo, tra i due genitori, non può essere superiore a dieci mesi, elevabili a undici se il padre lavoratore si astiene dal lavoro per un periodo, continuativo o frazionato, di almeno tre mesi. I periodi di congedo parentale possono essere fruiti dai genitori anche contemporaneamente, nei limiti del periodo complessivamente previsto. Nell’ambito dei suddetti limiti complessivi, il diritto di astenersi dal lavoro spetta: • alla madre lavoratrice dipendente per un periodo - continuativo o frazionato - di massimo sei mesi; • al padre lavoratore dipendente per un periodo - continuativo o frazionato - di massimo sei mesi, che possono diventare sette in caso di astensione dal lavoro per un periodo di almeno tre mesi; • al padre lavoratore dipendente, anche durante il periodo di astensione obbligatoria della madre (a partire dal giorno successivo al parto) e anche se la stessa non lavora; • al genitore solo (padre o madre) per un periodo continuativo o frazionato di massimo undici mesi. Ogni genitore può scegliere tra la fruizione giornaliera e quella oraria. Nella scuola, in applicazione dell’art. 34 comma 6 e 7 del CCNL vigente, il genitore è tenuto, salvo casi di oggettiva impossibilità, a preavvisare il datore di lavoro, con un termine di preavviso non inferiore a cinque giorni indicando l’inizio e la fine del periodo di congedo e, in caso di comprovate situazioni personali che rendano impossibile il rispetto della suddetta regola, la domanda può essere presentata entro le quarantotto ore precedenti l'inizio del periodo di astensione dal lavoro. Nel quesito non è chiaro se anche la madre è residente all’estero ma, anche in questo caso, la stessa INPS nella domanda per congedo parentale precisa che il congedo spetta ai lavoratori dipendenti del settore privato (operai, impiegati, dirigenti) titolari di uno o più rapporti di lavoro in corso, con l’obbligo di indicare il contratto di lavoro in corso di svolgimento al momento della richiesta del congedo. Si presume che le stesse regole in analogia e per legge, possano essere applicate anche al settore del pubblico impiego. In conclusione, il diritto al congedo parentale, per entrambi i genitori, nasce per accudire i propri figli e per tutelare la maternità e la paternità, in questo senso il congedo non può essere utilizzato per scopi diversi, anche se indirettamente favoriscono i figli, ma dentro un quadro generale di attenzione per i minori, diversamente può essere considerato come un abuso del diritto. Anche la stessa normativa europea dal momento della nascita o adozione di un figlio, stabilisce che i lavoratori dipendenti madre/ padre hanno diritto al congedo parentale, almeno 4 mesi di congedo ciascuno, di cui almeno 2 mesi retribuiti (conformemente alle norme nazionali) e non trasferibili, qualunque sia il loro tipo di contratto (tempo parziale, tempo pieno, ecc.). Quindi in risposta al quesito, si ritiene che anche nel caso specifico la domanda non possa essere rifiutata. In merito alla documentazione a corredo della domanda sempre a nostro avviso non serve una particolare documentazione probatoria ma, si ritiene sia sufficiente una dichiarazione sostitutiva di certificazione presentata ai sensi del DPR 445/2000 completa dei dati soggettivi e oggettivi del genitore madre/padre e del figlio, comprovanti la maternità ed il conseguente diritto al congedo.

    Data di pubblicazione: 02/12/2025

  • Cambio di indirizzo e modifica del percorso didattico per studente con PEI: chi valuta le opzioni e quando si svolgono le prove integrative?
  • A una prima lettura del quesito si evidenzia la strategia del consiglio di classe nel voler consentire allo studente con disabilità di poter raggiungere un traguardo importante nel suo percorso scolastico, ossia il raggiungimento del diploma di scuola secondaria di secondo grado. Nella descrizione della situazione è stata omessa la tipologia di deficit che interessa il ragazzo, stando alle informazioni presenti nel quesito è possibile ipotizzare che si tratti di uno studente con funzionamento intellettivo limite (FIL). Ciò che è descritto nel quesito come ipotesi di percorso di studi con il passaggio dal Liceo al Tecnico e contemporaneamente da un percorso semplificato a uno differenziato per poi tornare l’anno successivo nuovamente al percorso semplificato con eventualmente una ripetenza, è teoricamente possibile, stando alla normativa prevista dal D.I. 182/2020 e dal correttivo 153/2023, ma presenta delle insidie procedurali e didattiche molto evidenti con possibili ripercussioni psicologiche per lo studente con disabilità che renderebbero difficilmente affrontabile una tale ipotesi di passaggi e cambi curricolari per un ragazzo che di per sé presenta delle fragilità cognitive. Analizziamo i punti critici basandosi sulla normativa vigente (in particolare prendendo in esame il D.I. 182/2020 insieme al suo correttivo il D.I. 153/2023 e il DL 127 del settembre 2025, convertito nella Legge 164/2025). La strategia del consiglio di classe della seconda Liceo prevedrebbe per quest’anno scolastico 2025/2026 il passaggio al percorso differenziato assicurando la promozione in classe terza Liceo e nell’a.s. 2026/2027 affrontare altri due passaggi simultanei: Cambio di scuola/indirizzo (da Liceo a Tecnico). Cambio di PEI (da Differenziato a semplificato con adozione di verifiche equipollenti). La "promozione" ottenuta con percorso differenziato nell’a.s. 2025/2026 non consente il passaggio alla classe successiva a un percorso ordinario/semplificato, specialmente se si cambia anche indirizzo di studi. Se l'alunno viene promosso alla terza Liceo con programma differenziato, possiede il riconoscimento del livello degli apprendimenti raggiunti valido solo per iscriversi alla terza Liceo (o Tecnico) con programma differenziato, si ricorda che se uno studente ha nel suo piano di studi personalizzato anche una sola materia differenziata tutto il suo piano di studio risulta differenziato. Se vuole iscriversi alla terza Tecnico con programma semplificato, deve dimostrare di possedere le competenze previste per il livello di una classe seconda dell’indirizzo tecnico. Ma vi è un altro punto che nella descrizione della situazione del piano di studi personalizzato dello studente non viene evidenziato, ossia se il percorso differenziato si applica a tutte le discipline della classe seconda. Questo è un aspetto molto importante da considerare nell’analisi dell’ipotesi avanzata dalla scuola sulla scelta dei percorsi di studio. L'articolo 10-bis, comma 1, lettera a) del D.I. 152/2023 recita testualmente che, in caso di parere contrario del Consiglio di Classe al passaggio diretto, lo studente deve superare prove integrative: "...relative alle discipline e ai rispettivi anni di corso durante i quali è stato seguito un percorso differenziato..." Le Linee Guida allegate al D.I. 153/2023 e il modello di PEI (sezioni relative alla progettazione disciplinare) chiedono al GLO di indicare per ogni singola materia se si seguono: • Obiettivi ordinari (Classe) • Obiettivi globalmente corrispondenti • Obiettivi differenziati (Non equipollenti) Se nel PEI di seconda superiore risulta che vi sono discipline che sono state seguite con obiettivi differenziati, ma in altre è stata adottata la programmazione della classe (o nuclei fondanti e obiettivi globalmente corrispondenti), allora l'esame integrativo non dovrebbe riguardare quelle materie la cui preparazione è già stata valutata come "valida" ai fini del percorso ordinario durante l'anno. Pertanto, se il Consiglio di classe a maggioranza non ritiene che lo studente abbia raggiunto il livello delle competenze e conoscenze previste per la classe seguita con programma differenziato lo studente dovrà affrontare l’esame integrativo sulle materie che presentano obiettivi differenziati e sulle materie nuove (mai affrontate). Non dovrà fare l’esame sulle materie che nel PEI sono certificate come "ordinarie" ossia appartenenti al percorso B. Una volta definito chiaramente quali sono le materie che sono state indicate nel PEI con programma differenziato (se tutte o solo alcune) occorre stabilire quale consiglio di classe è chiamato a preparare gli esami integrativi e su quali discipline. Se è accolta la richiesta di passaggio a un Istituto Tecnico la competenza dell’analisi dei livelli degli apprendimenti è del Consiglio di Classe della scuola di destinazione (Istituto Tecnico) o di un'apposita commissione formata presso di esso. Infatti, nel cambio di indirizzo non è necessario superare le prove del percorso di provenienza (Liceo), ma solo dimostrare di possedere i requisiti per il percorso di destinazione (Tecnico). Le lacune nelle materie specifiche del Liceo (es. Latino o Disegno Artistico) decadono e non vengono valutate. Verranno valutate invece le materie comuni (se il programma svolto era differenziato) e le materie di indirizzo del Tecnico non presenti al Liceo. Quindi il CdC del Liceo può deliberare solo sulla situazione attuale. Se lo studente conclude l'anno col differenziato, il Liceo certifica che ha raggiunto gli obiettivi previsti dal suo PEI, che non corrispondono a quelli globalmente corrispondenti per la classe. Sarà quindi il CdC (o la commissione per gli esami integrativi) del futuro Istituto Tecnico a dover valutare se lo studente possiede i requisiti per frequentare la classe terza ordinaria con percorso semplificato Dato che lo studente proverrebbe da un percorso differenziato (quindi privo di idoneità alla classe terza) e da un altro indirizzo, l'opzione b) (rientro senza prove integrative nel caso di parere favorevole del consiglio di classe con decisione assunta a maggioranza) è praticamente impossibile. Infatti, il CdC del Tecnico non può assumersi la responsabilità di ammettere in terza lo studente con disabilità che ha seguito un programma differenziato al Liceo, senza verificare le competenze tecnico – professionali e di base delle discipline che non ha mai affrontato o che le ha svolte con obiettivi differenziati. Pertanto, risulta necessario il superamento di prove integrative. Le prove devono svolgersi prima dell'inizio delle lezioni dell'anno scolastico 2026/2027 (solitamente nella prima settimana di settembre 2026). Lo studente con disabilità dovrà sostenere gli esami per colmare le materie non studiate (materie di indirizzo del Tecnico) e dimostrare di aver raggiunto i livelli degli apprendimenti e i nuclei fondanti delle materie comuni (Italiano, Storia, Matematica) e di quelle d’indirizzo che al Liceo aveva seguito in modo differenziato. Vi è anche la possibilità che lo studente sia promesso col differenziato al Liceo e si iscriva alla terza Tecnico mantenendo il differenziato. Se durante la terza dimostra decisivi miglioramenti, il CdC del Tecnico potrà proporre il passaggio al semplificato, opzione B, per l'anno successivo o in corso d'anno. A parere dello scrivente, la procedura ipotizzata dal consiglio di classe del Liceo - adozione del percorso differenziato per passare poi al semplificato in altra scuola con indirizzo tecnico - è sconsigliabile perché porterà lo studente con disabilità a settembre 2026 a dover studiare in estate un numero consistente di materie comuni e specifiche del nuovo indirizzo per poter accedere alla classe terza dell’indirizzo tecnico con percorso “semplificato”. Tutto ciò potrebbe rivelarsi un carico di lavoro insostenibile, specialmente per uno studente che già fatica nel percorso attuale. Una soluzione che consentirebbe allo studente il passaggio all’indirizzo tecnico potrebbe essere quella di mantenere il suo Piano di Studi personalizzato semplificato con verifiche equipollenti ossia una personalizzazione in relazione agli obiettivi specifici di apprendimento (conoscenze, abilità, competenze) alle strategie, alle metodologie didattiche, alle modalità di verifica e ai criteri di valutazione adottando l’opzione B nel PEI e non essere ammesso alla classe terza. In questo modo, lo studente potrà iscriversi l'anno prossimo alla classe seconda dell'Istituto Tecnico. Con questa soluzione l’Istituto di accoglienza dovrà seguire la procedura prevista dal DL 127/2025 la quale prevede che nel primo biennio l'obbligo di svolgere gli esami integrativi decade ed è previsto solo un riallineamento graduale alla programmazione didattica della classe. La ripetenza va presentata allo studente e ai suoi genitori non come un fallimento ma come un ri-orientamento. I vantaggi di questa scelta sono molteplici, si consente al ragazzo di approcciarsi alla nova scuola partendo dalla classe seconda ha la possibilità di costruirsi delle basi solide, fare amicizia con i nuovi compagni di classe e magari puntare davvero al diploma attraverso un percorso di studi semplificato e utilizzando le giuste personalizzazioni in linea con le sue abilità e competenze, ma con i tempi giusti.

    Data di pubblicazione: 02/12/2025

  • Permessi orari L. 104: possono essere richiesti dal personale docente?
  • Per legge, i canonici te giorni di permesso mensile previsti dall’art. 33, comma 3 della legge 104/92 per assistenza al familiare disabile con connotazione di gravità oggi, dopo le modifiche di cui all’ art. 3-4 del D.lgs. 62/2024 definita ”persona con disabilità avente necessità di sostegno intensivo”, sono giornalieri indipendentemente dall’orario di lavoro. Al riguardo, nel pubblico impiego i contratti collettivi nazionali di lavoro, così come tutto il settore privato gestione INPS, possono derogare a questa regola generale e, stabiliscono la possibilità di poter frazionare in ore i tre giorni. Nel comparto scuola, l’art. 68 del CCNL vigente per il solo personale ATA con esclusione del personale docente ha previsto questa possibilità e ha stabilito quanto segue. 1. I dipendenti ATA hanno diritto, ove ne ricorrano le condizioni, a fruire dei tre giorni di permesso di cui all' art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104. Tali permessi sono utili al fine delle ferie e della tredicesima mensilità e possono essere utilizzati ad ore nel limite massimo di 18 ore mensili. 2. Al fine di garantire la funzionalità del servizio e la migliore organizzazione dell’attività amministrativa, il dipendente, che fruisce dei permessi di cui al comma 1, predispone, di norma, una programmazione mensile dei giorni in cui intende assentarsi, da comunicare all’ufficio di appartenenza all’inizio di ogni mese. 3. In caso di necessità ed urgenza, la relativa comunicazione può essere presentata nelle 24 ore precedenti la fruizione dello stesso e, comunque, non oltre l’inizio dell’orario di lavoro del giorno in cui il dipendente utilizza il permesso. Il CCNL, quindi, si riferisce al solo personale ATA e non ha ricompreso in questa possibilità il personale docente che rimane escluso. Questa è la posizione che abbiamo espresso tradizionalmente in tutti i nostri pareri in applicazione delle stesse regole contrattuali. E' vero che ci sono dei casi in cui alcune scuole in via del tutto eccezionale, per casi molto particolari, in deroga e in piena autonomia, valutate le esigenze di servizio e, in coerenza con le specifiche finalità della legge a sostegno della dovuta assistenza al familiare disabile in situazione di gravità, alcuni Dirigenti valutano la possibilità di frazionare in ore i giorni di permesso, anche per i docenti. Come detto, però, noi siamo sempre stati scettici se non decisamente contrari su questa possibilità, proprio in applicazione dello stesso contratto collettivo nazionale di lavoro e, per evitare eventuali osservazioni.

    Data di pubblicazione: 02/12/2025

  • Mancata copertura dei seggi nelle elezioni del CdI: procedure da seguire in caso di lista unica con numero insufficiente di candidati votati...
  • Dalla descrizione del quesito emerge che soltanto 7 dei candidati (lista unica) per la elezione del consiglio di istituto hanno conseguito voti, gli altri 7 candidati non hanno ottenuto voti. In questa situazione trova applicazione quanto previsto, all’ultimo periodo, dall’art. 44, comma 7, dell’O.M. 215/1991 che di seguito si riporta. 7. Ultimata la ripartizione dei posti tra le liste, si provvede a determinare, nei limiti dei posti assegnati a ciascuna lista, i candidati che, in base al numero delle preferenze ottenute, hanno diritto a ricoprirli. In caso di parità del numero di voti di preferenze tra due o più candidati della stessa lista, sono proclamati eletti i candidati secondo l'ordine di collocazione nella lista; lo stesso criterio si osserva nel caso in cui i candidati non abbiano ottenuto alcun voto di preferenza.” Pertanto sarà dichiarato eletto, fra i candidati che non hanno conseguito voti, quello che, nella lista presentata, risulta collocato nella posizione più alta. E quindi il consiglio potrà avere, per la componente dei genitori, gli otto consiglieri previsti dalla norma.

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