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    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Buongiorno, nel caso di fruizione di anno sabbatico da parte del dirigente scolastico, le ferie maturate sono perdute o vengono comunque scorporate dai giorni dell'asoettativa? Chiedo, inoltre, se l'impossibilità di svolgere altri lavori retribuiti durante la fruizione del sabbatico si estenda anche a tirocini all'estero, borse di studio per attività di ricerca o altre attività lavorative da svolgere in paesi stranieri. Grazie,
  • L’ Art 26 della legge 448 del 1998 prevede che i docenti e i dirigenti scolastici che hanno superato il periodo di prova possono usufruire di un periodo di aspettativa non retribuita della durata massima di un anno scolastico ogni dieci anni. Per i detti periodi i docenti e i dirigenti possono provvedere a loro spese alla copertura degli oneri previdenziali. L’art.13 del CCNL 8 luglio 2019 prevede che le ferie sono un diritto irrinunciabile, non sono monetizzabili. Costituisce specifica responsabilità del dirigente programmare, organizzare e comunicare le proprie ferie tenendo conto delle esigenze del servizio a lui affidato, coordinandosi con quelle generali della struttura di appartenenza, provvedendo affinché sia assicurata, nel periodo di sua assenza, anche mediante delega di funzioni nel rispetto della vigente normativa, la continuità delle attività ordinarie e straordinarie. Il comma 12 del medesimo art. 13 prevede che in caso di indifferibili esigenze di servizio o personali che non abbiano reso possibile il godimento delle ferie nel corso dell’anno, le ferie dovranno essere fruite entro il primo semestre dell’anno successivo. In caso di esigenze di servizio assolutamente indifferibili, tale termine può essere prorogato fino alla fine dell’anno successivo. Ciò premesso, si ritiene che era responsabilità del DS programmare le ferie prima del collocamento in congedo per anno sabbatico e quindi, a nostro avviso, le ferie residue maturate e non ancora fruite prima del suddetto collocamento non potranno essere richieste al termine dell’assenze per anno sabbatico. Durante l'aspettativa per motivi di famiglia (cfr. art. 18, comma 1 del CCNL 2007) il dipendente non può svolgere attività incompatibile stante il generale principio (cfr da ultimo Cassazione - Sez. Lavoro - Ord. 9 marzo 2020, n. 6637) ai sensi del quale l'autorizzazione allo svolgimento di attività extralavorativa retribuita è necessaria anche ove il dipendente si trovi in regime di aspettativa, in quanto il regime di aspettativa non esclude la persistenza del rapporto di lavoro pubblico, nè l'applicazione del Decreto Legislativo n. 165 del 2001, articolo 53. Infatti, l'aspettativa non fa cessare il rapporto di lavoro e la norma di cui al citato art. 53 non contiene una distinzione a seconda dello stato del rapporto stesso, mentre l'appartenere comunque ancora del dipendente ad una pubblica amministrazione, non fa cessare i rischi di conflitto di interessi o di possibile utilizzazione di entrature cui la norma, insieme ad altri interessi, è preposta a prevenire. Detti principi possono essere applicati in via analogica anche ad altre forme di aspettativa non retribuita. Quindi ogni attività lavorativa di natura non meramente occasionale è esclusa durante il congedo. Per quelle esenti da autorizzazione ex art. 53 comma 6 del D.Lgs. n. 165 del 2001 e per le attività di tirocinio e ricerca ( per le quali vi sono comunque specifiche forme di aspettativa) è comunque preferibile fare una comunicazione preventiva all’USR di riferimento.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Nell’ambito di un procedimento disciplinare a carico di uno studente è stata raccolta la testimonianza di una studentessa, vittima dei fatti di cui trattasi, e che ha costituito i presupposti per l’incolpazione e la successiva irrogazione della sanzione da parte del Consiglio di Classe. La testimonianza è stata raccolta in un verbale agli atti del procedimento. La famiglia del sanzionato ha fatto richiesta di accesso agli atti. Chiedo se, nell’ambito del procedimento d’accesso, la studentessa debba considerarsi controinteressata e quindi possa opporre resistenza alla consegna del verbale all’accedente. Trattandosi di molestie di natura sessuale riferite dalla studentessa nel citato verbale, chiedo in ogni caso se debbano attivarsi ulteriori forme di tutela negando l’accesso agli atti del documento endoprocedimentale.
  • La redazione non conosce gli atti del procedimento disciplinare in questione. Deve comunque ritenersi che sia l’atto di incolpazione sia la sanzione siano stati rispettivamente muniti di un’adeguata descrizione della condotta che integra l’infrazione e di un’adeguata motivazione. Tali requisiti sono imposti non solo dall’esigenza di rispettare la legge n.241/1990 (artt.3, 7 e 8), ma anche dall’art.4 dello Statuto. In questa prospettiva si deve escludere che l’incolpato non sia già a conoscenza di ciò che gli è stato ascritto (dovendo presumersi anche che egli sia stato ammesso a presentare le proprie giustificazioni). Ciò premesso, l’accesso appare direttamente funzionale all’esercizio del diritto di difesa dello studente sicché non pare esso possa essere legittimamente negato. Premesso che la testimonianza consacrata nel verbale è stata quindi già conosciuta non solo dal collegio, ma anche dallo stesso sanzionato (cosicché non si vede quale privacy residui in concreto), si suggerisce comunque di attenersi scrupolosamente ai dettami del D.P.R. n.184/2006 (in particolare l’art.3), dando tempestiva notizia dell’istanza di accesso alla studentessa nella sua qualità di controinteressata. Dopo di che si ritiene che l’accesso debba essere accolto, se del caso oscurando i dettagli, ove esistenti, non strettamente pertinenti alla condotta e, quindi, ininfluenti ai fini dell’esercizio del diritto di difesa.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Un docente, oggi non più in servizio nel nostro istituto, nell'anno solare 2023 ha accumulato n.2xx giorni di malattia. Il medico curante non ha selezionato in nessuno dei certificati medici inviati alla scuola la spunta "Stato patologico sotteso o connesso alla situazione di invalidità riconosciuta" ma neppure "patologia grave". Dunque si configurano tutte come malattie "ordinarie" se così si può dire. Successivamente, nell'xxxx del 2024, al docente è stato riconosciuto la stato di invalidità civile al 100%, con totale e permanente inabilità lavorativa, a decorrere dal xx.xx.2023. La Scuola di attuale titolarità oggi ci chiede di "modificare" le tipologie di assenze in assenza per grave patologia. Alla luce di tali informazioni, la Scuola può modificare le assenze di malattia in assenza per grave patologia ricadenti nel periodo successivo al riconoscimento dell'invalidità civile? E' necessaria ulteriore documentazione da parte del medico curante che attesti che, seppur non sia stata apposta la spunta, tali periodi sono considerarsi quali gravi patologia? Restiamo di attesa di Vs. cortese riscontro. Cordiali saluti. La Dirigente scolastica
  • La certificazione medica di cui al quesito (stato di invalidità civile al 100%, con totale e permanente inabilità lavorativa) non è idonea a ricondurre l'assenza a grave patologia di cui all'art. 17, comma 9, del CCNL 2007. Infatti, questa potrà comportare che l'assenza venga ricondotta, nel certificato telematico, a “Stato patologico sotteso o connesso alla situazione di invalidità riconosciuta”; detta assenza però è soggetta sia alle ritenute economiche previste dalla normativa vigente che computabile ai fini del superamento del periodo di comporto mentre, l'unico trattamento più favorevole concerne la non assoggettabilità del dipendente alle fasce orarie di reperibilità e la conseguente astensione da parte dell'Amministrazione di richiedere la visita fiscale (Pareri Funzione Pubblica n. 2 del 15 marzo 2010 e n. 30536 del 24/7/2012; DM 206/2017 - nuovo Regolamento sule visite fiscali- che per quanto concerne l'esenzione dalle visite fiscali richiede "stati patologici sottesi o connessi alla situazione di invalidità riconosciuta, pari o superiore al 67%"). Invece, per le assenze per grave patologia si osserva quanto segue. L’art. 17, comma 9, del CCNL 2007 prevede che in caso di gravi patologie che richiedano terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti sono esclusi dal computo dei giorni di assenza per malattia, di cui ai commi 1 e 8 del citato articolo 17 (che disciplinano, rispettivamente, il periodo massimo di comporto e la retribuzione spettante in caso di assenza per malattia), oltre ai giorni di ricovero ospedaliero o di day hospital anche quelli di assenza dovuti alle conseguenze certificate delle terapie; pertanto per i giorni anzidetti di assenza spetta l'intera retribuzione. Il CCNL Scuola non opera un elenco delle gravi patologie rilevanti ai fini dell'art. 17 comma 9. Sono necessarie, quindi, sia una certificazione a monte che riconosca al dipendente una grave patologia (rilasciata dalla ASL o dalla struttura ospedaliera) sia una successiva certificazione (redatta o dal medico curante o dalla struttura ospedaliera presso la quale vengono effettuate le terapie) dalla quale risulti in maniera chiara e inequivocabile che il dipendente sta praticando delle terapie temporaneamente e/o parzialmente invalidanti richieste da una grave patologia, indicando chiaramente i periodi di durata di tale invalidità con la conseguenza che, per usufruire dei benefici di cui all’art. 17, comma 9 citato, la certificazione medica deve specificare che si tratta di “grave patologia” ed il tipo di terapia cui il lavoratore è sottoposto ed i suoi eventuali effetti invalidanti (l'assenza, infatti, gode del beneficio contrattuale di cui all'art. 17, comma 9, anche per le conseguenze - certificate - delle terapie invalidanti cui il dipendente si sottopone con riferimento alla grave patologia di cui è affetto). Per quanto concerne la relativa certificazione, ricordiamo che l'INPS, con la circolare n. 113 del 25 luglio 2013, ha comunicato le modalità tecniche per la predisposizione e l'invio telematico dei dati delle certificazioni di malattia al SAC così come modificate dal decreto ministeriale 18 aprile 2012 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 128 del 4 giugno 2012. Sono stati introdotti nuovi campi nel certificato telematico; tra questi quello che consente la segnalazione dell'esistenza di una patologia grave che richiede terapia salvavita o di una malattia per la quale è stata riconosciuta la causa di servizio o, ancora, di uno stato patologico connesso alla situazione di invalidità già riconosciuta. Quindi, in via generale, se il medico curante, nel compilare il certificato telematico, ha barrato il riquadro relativo alla patologia grave che richiede terapia salvavita, detto certificato è sufficiente ai sensi dell’art. 17, comma 9, fermo restando che, per completezza, a nostro avviso, la scuola deve avere agli atti la certificazione dell'ASL o di altra struttura ospedaliera relativa alla attestazione della grave patologia. Sempre per completezza di risposta si precisa che, a livello territoriale ci possono essere prassi diverse e, come appreso durante i nostri corsi di formazione, in alcune realtà la certificazione medica di attestazione della grave patologia è rilasciata dalla competente ASL di appartenenza in persona del medico curante o di specialista che opera presso gli ambulatori ASL. Conclusivamente, la scuola che ha posto il quesito non deve procedere ad alcuna rettifica delle assenze e quindi non può essere accolta la richiesta della scuola di attuale titolarità.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Si chiede se un CS con contratto 1 2 ore fino al 30-6 ha diritto al completamento nello stesso Istituto. Nello specifico, il posto disponibile è un posto intero a 36 ore e la durata della supplenza è inferiore a quella prevista dal contratto di titolarità. Si deve procedere a scorrere le graduatorie o si deve proporre il completamento al CS che ha il contratto da 12 ore settimanali? Nel caso in cui la durata della supplenza fosse la medesima del contratto a orario ridotto, invece, come si dovrebbe procedere?
  • Gentile utente, la circolare annuale sulle supplenze del personale della scuola n. 157048\2025 nel paragrafo dedicato al personale ata indica che: "L’accettazione di una proposta di supplenza annuale o fino al termine delle attività didattiche non preclude all’aspirante di accettare altra proposta di supplenza per diverso profilo professionale, sempre di durata annuale o fino al termine delle attività didattiche, purché intervenga prima della presa di servizio. " L’articolo 4, comma 1, del D.M. 13 dicembre 2000, n. 430, dispone che, per le supplenze attribuite su spezzone orario, è garantito in ogni caso il completamento. È consentito lasciare uno spezzone per accettare un posto intero, purché al momento della convocazione per lo spezzone non vi fosse disponibilità per posto intero. A tale riguardo, si reputa utile rammentare che il completamento può operare solo tra posti dello stesso profilo. " In base a quanto sopra ,il collaboratore scolastico potrebbe lasciare la supplenza su spezzone di 12 ore per accettare il posto intero a 36 ore anche se nella normativa non è esplicitato il caso di abbandono della supplenza su spezzone fino al 30\06 per accettazione del posto intero per diversa supplenza di durata inferiore e quindi supplenza temporanea. Si ritiene che comunque il collaboratore scolastico possa accettare il completamento di orario per una parte del posto a 36 ore. Nel caso in cui la durata della supplenza fosse la medesima del contratto ad orario ridotto sicuramene il collaboratore potrebbe optare per il posto intero, come previsto dalla circolare sulle supplenze sopra citata, semprechè al momento della convocazione per lo spezzone non vi fosse stata disponibilità di posto intero.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Nel mese di dicembre la madre di una studentessa, attualmente iscritta alla classe terza di un indirizzo tecnico presso un altro istituto, richiede un appuntamento con il dirigente scolastico al fine di valutare il passaggio a un indirizzo liceale. Alla luce della normativa vigente, il dirigente scolastico chiarisce l’impossibilità di accogliere un passaggio in corso d’anno, in quanto la studentessa è tenuta a completare l’anno scolastico nell’indirizzo di attuale iscrizione e a presentare successivamente domanda di passaggio, sostenendo gli eventuali esami integrativi nel mese di settembre. Solo all’esito positivo di tali prove potrà essere formalizzato il trasferimento a un diverso indirizzo di studi. La madre propone, in alternativa, l’inserimento della studentessa in una classe seconda dell’indirizzo liceale richiesto, con conseguente iscrizione a una classe inferiore rispetto all’idoneità posseduta. Si chiede pertanto se tale richiesta possa essere accolta. In sostanza, la questione riguarda la possibilità di accogliere, nel mese di dicembre, una studentessa frequentante la classe terza di un istituto tecnico in una classe seconda di un liceo.
  • La normativa vigente non prevede la possibilità di passaggi in corso d'anno tra indirizzi diversi del sistema nazionale di istruzione. In merito a ciò, molto chiare sono le indicazioni del Testo Unico (D.Lgs 297/1994, artt. 192 e 193) riprese dal DM 5/2021. La stessa sentenza del Consiglio di Stato n. 3250/2024, che mette in discussione la base normativa stessa degli esami integrativi, prevede che le istituzioni scolastiche mettano in atto misure di accompagnamento e di riallineamento per consentire il cambio di indirizzo, ma non si riferisce a passaggi in corso d'anno. Recentemente, il legislatore ha ripreso la questione nel DL 127/2025 che, al fine di rafforzare il quadro normativo, prevede all'articolo 1, comma 3, specifiche indicazioni concernenti gli esami integrativi: «7 . Nell'ambito del primo biennio dei percorsi della scuola secondaria di secondo grado, gli studenti possono richiedere, entro e non oltre il 31 gennaio di ciascun anno scolastico, l'iscrizione alla corrispondente classe di altro indirizzo, articolazione o opzione. L'istituzione scolastica individuata per la successiva frequenza adotta interventi didattici integrativi volti ad assicurare l'acquisizione delle conoscenze, delle abilità e delle competenze necessarie per l'inserimento nel percorso prescelto, al fine di favorire il successo formativo e il riorientamento. A decorrere dal terzo anno dei percorsi della scuola secondaria di secondo grado, gli studenti, all'esito dello scrutinio finale, possono richiedere l'iscrizione a una classe corrispondente di altro percorso, indirizzo, articolazione o opzione del medesimo grado di scuola, presso l'istituzione scolastica individuata per la prosecuzione degli studi, previo superamento di un esame integrativo. L'esame integrativo si svolge in un'unica sessione da concludersi prima dell'inizio delle lezioni. Con ordinanza del Ministro dell'istruzione e del merito sono stabilite le modalità di svolgimento degli esami integrativi di cui al quarto periodo.». E' perciò confermato che, per una studentessa che frequenta il terzo anno di uno specifico indirizzo, non può essere previsto un passaggio da un indirizzo all'altro se non previo superamento di esame integrativo. Ciò vale in tutti i casi; a maggior ragione deve essere applicato per una studentessa che ha già completato l'obbligo di istruzione e per la quale non possono essere previsti "salti all'indietro" avendo la stessa già conseguito l'ammissione alla classe terza.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Gentilissimi, Sono una dirigente scolastica. Sottopongo alla Vostra attenzione un quesito in merito a una richiesta di accesso agli atti ex L. 241/90 avanzata da una docente del mio Istituto. I Fatti: Nello scorso mese di xxx, la docente in questione ha presentato una segnalazione scritta lamentando un comportamento irrispettoso (xxxxxxxx) tenuto da colleghi xxxxxxx durante xxxx. A seguito della segnalazione, ho regolarmente avviato xx procedimenti disciplinari. In sede di contraddittorio, i docenti incolpati hanno dichiarato che xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx. Tale versione è stata supportata dal fatto che l'evento è avvenuto durante xxxx, xxxxxxxxx. L'Esito: stante l'impossibilità di accertare inequivocabilmente che il gesto fosse diretto alla denunciante, ho disposto l'archiviazione dei procedimenti, pur richiamando formalmente i docenti a un comportamento più consono. Il Quesito: A distanza di mesi, la docente segnalante ha presentato istanza di accesso agli atti per verificare l'effettivo avvio dell'azione disciplinare e conoscerne l'esito. Chiedo pertanto un Vostro parere sulla legittimità di tale richiesta: la docente ha diritto di accedere alla documentazione inerente all'avvio e all'archiviazione del procedimento, o deve prevalere il diritto alla riservatezza dei controinteressati?
  • Dall’esame della situazione rappresentata nel quesito, la redazione non rinviene un interesse diretto concreto e attuale “corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso” (art.22, comma 1, legge n.241) all’ostensione degli atti del procedimento disciplinare in questione. Giova infatti ricordare che l’accesso documentale deve essere sorretto da una motivazione che faccia emergere detto interesse, non essendo ammessa la presentazione di istanze di accesso volte ad esercitare un controllo generalizzato dell’operato della pubblica amministrazione (art.24, comma 3, legge n.241). Ricordato che, in delicate materie come quella dell’accesso, l’autorità amministrativa è sempre richiesta di valutare caso per caso le istanze che le vengono sottoposte, la richiesta della docente non sembra accoglibile.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Un collaboratore scolastico con contratto di supplenza breve (part-time 12/36) svolge anche un rapporto di lavoro subordinato presso un datore privato. In una giornata in cui l’istituzione scolastica era chiusa per festività patronale e nella quale il dipendente non era in servizio, egli ha subito un infortunio in itinere mentre si recava al lavoro privato. L’evento è stato denunciato all’INAIL esclusivamente dal datore privato, in quanto riconducibile a quel rapporto di lavoro. Il dipendente ha successivamente trasmesso alla scuola certificazioni di malattia, superando i 30 giorni complessivi previsti dall’art. 19, comma 11, del CCNL per i supplenti brevi. Si chiede se tale assenza possa essere qualificata come “infortunio sul lavoro” ai fini del rapporto con la scuola o debba essere considerata malattia ordinaria e, in tale ultimo caso, se l’amministrazione debba procedere alla risoluzione del contratto per superamento del limite massimo previsto, oppure se, trattandosi di un part-time verticale, sia possibile operare un riproporzionamento dell’assenza.
  • In merito al quesito posto si precisa che il riferimento normativo per le assenze per malattia del personale a t.d. è ora rappresentato dall’art. 35 del CCNL 2024 ( che ha abrogato l’art. 19 del CCNL 2007 pur mantenendo la stessa disciplina sostanziale). L’art. 35 comma 6 del CCNL 2024 prevede che nei casi di assenza dal servizio per malattia del personale docente ed ATA, assunto con contratto a tempo determinato stipulato dal dirigente scolastico, si applica l'art. 5 del D.L. 12 settembre 1983, n. 463, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 1983, n. 638. Tale personale ha comunque diritto, nei limiti di durata del contratto medesimo, alla conservazione del posto per un periodo non superiore a 30 giorni annuali per ciascun anno scolastico, retribuiti al 50%. Per interpretazione pacifica dell’ARAN in caso di part time verticale le assenze per malattia sono riproporzionate nel periodo di comporto stante che si considerano, ai fini dell’assenza, solo le giornate in cui il dipendente avrebbe dovuto prestare servizio. Infatti, l'ARAN con l’ Orientamento SCU_070 del 14 giugno 2013 ha così precisato: "Il periodo massimo di comporto relativo alle assenze per malattia deve essere rapportato al periodo lavorato presso l’Amministrazione in caso di regime di part time verticale? .......Sulla base quindi dei principi desumibili dalla normativa di legge, dalla contrattazione collettiva e dalla giurisprudenza (vedi in particolare le sentenze di Cassazione Sez. lavoro, 30/12/2009 n. 27762 e 14 dicembre 1999 n. 14065 che hanno affermato il principio del riproporzionamento del periodo di comporto in caso di part time verticale) si ritiene che il trattamento del lavoratore a tempo parziale verticale debba necessariamente tenere conto della ridotta entità della prestazione lavorativa, relativamente sia ai trattamenti economici per malattia, sia alle assenze dovute a malattia, sia ai permessi retribuiti che al periodo massimo di conservazione del posto, tutti elementi che dovranno essere rideterminati tenendo conto di tale criterio". L'ARAN, con il successivo Orientamento Applicativo M_256 del 5 aprile 2016 (applicabile analogicamente anche al Comparto Istruzione) ha precisato che in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, trova applicazione un principio di riproporzionamento che, in relazione alle assenze per malattia, avrà ad oggetto tre elementi che compongono la fattispecie: il periodo massimo di conservazione del posto (cd. periodo di comporto); il triennio di riferimento, entro il quale calcolare il predetto periodo di conservazione del posto; i periodi di retribuzione intera e ridotta. Nel medesimo Orientamento viene altresì precisato che: "In proposito, si precisa che, ai fini della verifica dell’eventuale superamento del periodo di comporto, vengono presi in considerazione esclusivamente i giorni di malattia coincidenti con quelli in cui il dipendente avrebbe dovuto rendere la prestazione lavorativa. In relazione ai giorni festivi e non lavorativi, ricadenti in tale periodo, si ritiene applicabile la medesima presunzione di continuità, alla quale si ricorre per calcolare il periodo di comporto del personale con rapporto di lavoro a tempo pieno. Sussiste, infatti, un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo il quale, in mancanza di una diversa previsione contrattuale, nel calcolo del periodo di assenza per malattia, devono essere computati anche i giorni festivi o non lavorativi, che ricadano all’interno di tale arco temporale (Cass. Civ., sez. lavoro, sentenza 10/11/2004, n. 21385, sentenza 18/10/2000, n. 13816; sentenza 14/12/1999, n. 14065)". L'ARAN, con Orientamento RAL del 05/06/2011, ha affermato che in conseguenza di tale riproporzionamento del periodo massimo di conservazione del posto, ai fini della verifica del suo eventuale superamento si computano solo i giorni di malattia del lavoratore coincidenti con quelli nei quali, in base all'articolazione dell'orario del rapporto di lavoro a tempo parziale, è tenuto a rendere la sua prestazione lavorativa. Pertanto, alla luce degli Orientamenti ARAN, in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, trova applicazione il principio di riproporzionamento che, in relazione alle assenze per malattia, ha ad oggetto tre elementi che compongono la fattispecie: - il periodo massimo di conservazione del posto (cd. periodo di comporto) che per i dipendenti della Scuola è disciplinato dall’art. 17 comma 1 del CCNL 2007 e dall'art. 35 del CCNL 2024 per il personale a t.d.); - il triennio di riferimento, entro il quale calcolare il predetto periodo di conservazione del posto (o il diverso periodo stabilito per il personale a t.d come nel caso di specie cfr art. 35 comma 6 del CCNL 2024); - i periodi di retribuzione intera e ridotta Nel caso di specie il dipendente è in infortunio per quanto concerne il rapporto di lavoro privato che intrattiene ( compatibile stante che nel pubblico ha un contratto a t.d. con spezzone orario inferiore non superiore al 50%) ma le assenze come dipendente scolastico sono giustificate con certificazioni per malattia. Conclusivamente, a nostro avviso, l’ assenza non può essere qualificata come “infortunio sul lavoro” ai fini del rapporto con la scuola ma va considerata malattia ordinaria con le precisazioni di cui sopra per quanto concerne il part time.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Siamo in un Istituto tecnico Industriale, dotato di laboratori di informatica, chimica ed elettronica. E' frequente la necessità di intervenire sul funzionamento delle attrezzature informatiche presenti nelle aule e nei laboratori. (monitor, stampanti, computer di classe, rete internet,ecc). E' tenuto l';assistente tecnico ad intervenire per la risoluzione di questi problemi nelle aule, oppure il suo servizio deve svolgersi solamente nei laboratori? In caso negativo, chi risolve tutti i problemi di funzionamento e manutenzione delle attrezzature informatiche ed elettroniche presenti nelle aule dell'istituto?
  • L’allegato A al CCNL, che concerne la declaratoria delle aree del sistema di classificazione del personale ATA, per la figura dell’assistente tecnico prevede che lo stesso: ….. Svolge attività lavorative richiedenti specifica preparazione professionale e capacità di attuazione delle procedure quali, a titolo esemplificativo: la conduzione tecnica di laboratori, officine e reparti di lavorazione, garantendone l’efficienza e la funzionalità; il supporto tecnico allo svolgimento delle attività didattiche…. Nello stesso CCNL, all’articolo 63, comma 4, si legge che, nei periodi di sospensione dell’attività didattica gli assistenti tecnici saranno utilizzati in attività di manutenzione del materiale tecnico-scientifico-informatico dei laboratori, officine, reparti di lavorazione o uffici di loro competenza. L’analisi del combinato disposto delle citate fonti pattizie permette di evincere che gli assistenti tecnici, fatta salva la finalità prioritaria di garantire l’efficienza di officine e laboratori, possano essere utilizzati, all’occorrenza e secondo un preciso piano di attività, anche nel “supporto tecnico alle attività didattiche” (che non è detto si debbano svolgere nel contesto “fisico” delle aule destinate in modo specifico a laboratori) o anche in “uffici di loro competenza”. Si ritiene, pertanto, che l’attività degli assistenti tecnici possa e debba svolgersi a supporto dell’attività laboratoriale, intesa nel senso ampio del termine, fermo restando che ci si riferisce alla cosiddetta manutenzione ordinaria e alla sostituzione dei pezzi per materiale di consumo.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Gentilissimi, Vi propongo la seguente situazione: docente XX a tempo determinato di scuola primaria, posto sostegno, è nominata da GPS il 1° settembre dall'Ambito territoriale per supplenza annuale presso la nostra scuola. Detta docente supplente immediatamente chiama la segreteria e avvisa che prorogherà la presa di servizio a causa di malattia (quindi giustificato motivo). Da quel momento la docente inizia a inviare certificati medici, tutti ovviamente susseguenti senza interruzione: attualmente l'ultimo certificato copre fino all'ultimo giorno di attività didattiche del mese. Ovviamente la scuola ha dovuto supplire a questo prolungato differimento della presa di servizio chiamando un supplente breve destinatario di contratti di durata pari a quella dei singoli certificati di malattia. Quesito n° 1: posso io inviare visite fiscali di controllo alla docente assente, atteso che al momento non è vigente alcun contratto individuale di lavoro? E, se è possibile, quali potrebbero essere gli effetti di una eventuale assenza della docente alla visita fiscale? Può essere una motivazione valida per sostenere che il “giustificato motivo” che produce la necessità di proroga della presa di servizio non sussiste più? Quesito n° 2: Se la docente dovesse pensare che il periodo di interruzione dell’attività didattica di Natale non deve essere coperto da certificato di malattia e quindi non inviasse subito un certificato che copra in continuità i primi giorni successivi all’ultimo certificato medico, posso dichiarare che il “giustificato motivo” alla base della proroga della presa di servizio è decaduto e sulla base di ciò procedere a stipulare contratto fino ala fine delle attività didattiche con altro insegnante? Ringrazio in anticipo per la risposta. Cordialmente,
  • Nel caso sottoposto la situazione di salute della dipendente permette il differimento della presa di servizio fino alla scadenza del certificato di malattia, ai sensi della circolare annuale sulle supplenze n. 157048/2025. La decorrenza giuridica del contratto ha inizio dal 1° settembre, dopo l'accettazione, mentre quella economica ha inizio dopo la presa di servizio, Più specificamente, l'art. 9 del D.P.R. 3/1957 stabilisce che "La nomina dell'impiegato che per giustificato motivo assume servizio con ritardo sul termine prefissogli decorre, agli effetti economici, dal giorno in cui prende servizio. Colui che ha conseguito la nomina, se non assume servizio senza giustificato motivo entro il termine stabilito, decade dalla nomina." La norma è stata mantenuta nel tempo, sia per i contratti a tempo indeterminato che per quelli a tempo determinato. La circolare annuale sulle supplenze del personale della scuola (cfr Circolare n. 157048 del 9 luglio 2025) ha ribadito che la stipula del contratto, analogamente a quanto avviene per le assunzioni a tempo indeterminato, opportunamente perfezionata dal dirigente scolastico attraverso le funzioni del sistema informativo, rende immediatamente fruibili gli istituti di aspettativa e congedo previsti dal CCNL. E’ inoltre estesa al personale a tempo determinato la possibilità di differire la presa di servizio per i casi contemplati dalla normativa (a titolo esemplificativo, maternità, malattia, infortunio). In base alle norme attuali, quindi il dipendente che è impossibilitato ad assumere servizio per motivi di salute e giustifica la propria assenza con idonea documentazione (ad es. certificato telematico di malattia), ha diritto alla decorrenza giuridica del contratto, posticipando quella economica al momento dell'assunzione in servizio. Il differimento della presa di servizio è quindi previsto sia per i contratti a tempo indeterminato che per quelli a tempo determinato. Ciò premesso, in riferimento al primo quesito posto, a nostro avviso, il dirigente scolastica non può sottoporre la dipendente a visita fiscale in quanto ancora non vi è stata la presa di servizio e la certificazione di malattia è servita unicamente al relativo differimento. Per quanto concerne il secondo quesito, se la dipendente non prende servizio o non continua a differire la presa di servizio, decade dalla nomina. Si ritiene applicabile quanto previsto dall’art. 14 dell’O.M. 88 del 2024 che riportiamo in integrale: “Articolo 14 (Effetti del mancato perfezionamento e risoluzione anticipata del rapporto di lavoro) 1. La stipula del contratto di lavoro costituisce condizione necessaria per la presa di servizio. In caso di assegnazione dell’incarico di supplenza da GAE e GPS: a) la rinuncia, prevista all’articolo 12 comma 11, all’assegnazione della supplenza o la mancata assunzione di servizio entro il termine assegnato dall’Amministrazione, comporta la perdita della possibilità di conseguire supplenze di cui all’articolo 2, comma 5, lettere a) e b), sia sulla base delle GAE che dalle GPS, nonché, in caso di esaurimento o incapienza delle medesime, sulla base delle graduatorie di istituto, per tutte le classi di concorso e posti di insegnamento di ogni grado d’istruzione cui l’aspirante abbia titolo per l’anno scolastico di riferimento; b) l’abbandono del servizio comporta la perdita della possibilità di conseguire supplenze di cui all’articolo 2, comma 5, lettere a) e b), sia sulla base delle GAE che delle GPS, nonché, in caso di esaurimento o incapienza delle medesime, sulla base delle graduatorie di istituto, per tutte le classi di concorso/tipologie di posto di ogni grado di istruzione per l’intero periodo di vigenza delle graduatorie medesime.”.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Un docente a T.D. con incarico annuale di 16 ore ha presentato richiesta di essere autorizzato a svolgere incarico retribuito quale collaboratore in una A.S.D.; tale fattispecie risulta normata dal D.Lgs. 36/2021 e dal DM del 10 novembre 2023. Analizzando la documentazione della A.S.D. abbiamo però notato che lo stesso ne è il legale rappresentante, a questo punto è stato richiesto lo statuto per meglio comprendere la posizione/ruolo di fatto del predetto. A vostro avviso potrebbe ravvisarsi una situazione di incompatibilità per svolgimento di attività imprenditoriale/commerciale ex art. 53 comma 1 del D.Lgs. 165/2021? Grazie e saluti
  • Per quanto concerne la questione inerente alla carica di legale rappresentante dell’Associazione, come correttamente rilevato nel quesito, non è applicabile la normativa sul lavoro sportivo. Dobbiamo quindi fare riferimento alla normativa generale sull’incompatibilità di cui all'art. 53 del D.Lgs. 165/2001 ai sensi del quale resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del DPR 10/01/1957, n. 3. Lo stesso articolo prevede che gli incarichi retribuiti conferiti ai pubblici dipendenti devono essere previamente autorizzati dall'Amministrazione di appartenenza. Tali incarichi sono quelli, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Per poter svolgere attività ed incarichi extraistituzionali è necessaria l'autorizzazione del dirigente scolastico (cfr art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001). A meno che non si tratti di personale in part time con prestazione lavorativa non superiore al 50% i presupposti per il conferimento di incarichi extraistituzionali a dipendenti pubblici sono l'occasionalità, la saltuarietà, la mancanza di conflitto di interessi anche potenziale, la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento, con la ulteriore precisazione che l’attività deve essere svolta necessariamente al di fuori dell’orario di servizio (cfr Circolare Funzione Pubblica 3 del 1997; Parere Funzione Pubblica 24 gennaio 2012, n. 1). Più in generale la normativa prevede che possono essere autorizzati altri incarichi di lavoro che rispondano a tali condizioni: - la temporaneità e l’occasionalità dell’incarico. - il non conflitto con gli interessi dell’amministrazione e con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione; - la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento. Ricordiamo, inoltre, che a chiusura dei lavori del tavolo tecnico, a cui hanno partecipato il Dipartimento della Funzione Pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l'ANCI e l'UPI, avviato ad ottobre 2013 in attuazione di quanto previsto dall'intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013, è stato formalmente approvato il documento contenente "Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti". Nel Documento è precisato che sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche della abitualità e professionalità nonchè che si pongano in conflitto di interessi. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con percentuale di tempo parziale pari o inferiore al 50% (con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche del conflitto di interessi. Gli incarichi che presentano i caratteri della abitualità e professionalità ai sensi dell'art. 60 del d.P.R. n. 3/57, sicché il dipendente pubblico non potrà "esercitare attività commerciali, industriali, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro". L'incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri della abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo (art. 5, d.P.R. n. 633 del 1972; art. 53 del d.P.R. n. 917 del 1986; Cass. civ., sez. V, n. 27221 del 2006; Cass. civ., sez. I, n. 9102 del 2003). Sono altresì vietati gli incarichi che, sebbene considerati singolarmente e isolatamente non diano luogo ad una situazione di incompatibilità, considerati complessivamente nell'ambito dell'anno solare, configurano invece un impegno continuativo con le caratteristiche della abitualità e professionalità, tenendo conto della natura degli incarichi e della remunerazione previsti. Ricordiamo che già la Circolare n. 3 del 19 febbraio 1997 del Dipartimento della Funzione Pubblica, aveva chiarito che le attività consentite sono un’eccezione rispetto al prevalente e generale principio di incompatibilità, con la conseguenza che il potere di autorizzazione delle amministrazioni deve essere esercitato secondo criteri oggettivi e idonei a verificare la compatibilità dell’attività extra istituzionale in base alla natura della stessa, alle modalità di svolgimento e all’impegno richiesto. Conseguentemente, le attività extra istituzionali sono da considerarsi incompatibili quando oltrepassano i limiti della saltuarietà e occasionalità. Pertanto i requisiti per autorizzare un incarico sono: - la temporaneità e l’occasionalità dell’incarico. Sono, quindi, autorizzabili le attività esercitate sporadicamente ed occasionalmente, anche se eseguite periodicamente e retribuite, qualora per l’aspetto quantitativo e per la mancanza di abitualità, non diano luogo ad interferenze con l’impiego; - la necessità che l’attività svolta non sia in conflitto con gli interessi dell’Amministrazione e con il principio del buon andamento della Pubblica Amministrazione; - la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento, con la ulteriore precisazione che l’attività deve essere svolta necessariamente al di fuori dell’orario di servizio. La carica in questione è compatibile se connotata da temporaneità e saltuarietà della prestazione; alla stessa stregua non è incompatibile se –come si presume - a titolo gratuito trattandosi tra l'altro di associazione senza scopo di lucro ( cfr. art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 che rinvia agli artt. 60 e 61 del DPR 3/1957: "l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, ne alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro"). Ricordiamo che però non deve mai esserci la sussistenza di conflitto di interessi (es. attività della associazione con alunni delle classi del docente). In tal senso ricordiamo anche l'art. 5 del DPR 62/2013 ai sensi del quale "Nel rispetto della disciplina vigente del diritto di associazione, il dipendente comunica tempestivamente al responsabile dell’ufficio di appartenenza la propria adesione o appartenenza ad associazioni od organizzazioni, a prescindere dal loro carattere riservato o meno, i cui ambiti di interessi possano interferire con lo svolgimento dell’attività dell’ufficio. Il presente comma non si applica all’adesione a partiti politici o a sindacati".

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Ho bisogno di una consulenza giuridica rispetto a un caso che si è verificato nel nostro istituto scolastico. All'atto dell'iscrizione della propria figlia alla scuola primaria la mamma ha firmato la delega al ritiro della bambina da parte dei nonni materni, dichiarando la presenza del consenso dell'altro genitore. Sono passati xx anni e l'altro genitore ha revocato il consenso. Che cosa deve fare il dirigente scolastico? Considerato che la delega al ritiro non è un atto dispositivo, non incide su diritti fondamentali , è un atto organizzativo di ordinaria amministrazione, volto a garantire la vigilanza sul minore, può essere considerata sufficiente la volontà di un solo genitore? Oppure, dal momento che il dissenso è espresso manifestamente e portato a conoscenza della scuola la delega non può più essere considerata pienamente efficace e quindi va sospesa, in attesa di un provvedimento del giudice, in quanto il Dirigente non può dirimere i disaccordi tra genitori?
  • Il quesito non riferisce circa contrasti giudiziali tra i genitori eventualmente collegati a giudizi per lo scioglimento del vincolo coniugale o per l’affidamento; parimenti non constano provvedimenti in materia da parte dell’autorità giudiziaria. Si deve quindi ritenere che entrambi i genitori siano titolari della responsabilità genitoriale. Come rilevato nel quesito, la ripresa in consegna della minore è un atto non dispositivo che rientra nelle prerogative ordinarie di ciascun genitore; tali prerogative possono essere esercitate direttamente e singolarmente senza necessità di preventiva autorizzazione dell’altro, sicché la redazione esclude che l’individuazione del soggetto da ciascun genitore delegato al ritiro debba essere assentito dal partner. In altri termini, il diritto di cui trattasi può trovare concreta attuazione da parte di ciascun genitore anche mediante delegato di fiducia e l’altro genitore non può esercitare un diritto di veto al riguardo. Alla luce di quanto precede, si ritiene che la dichiarazione di consenso resa dalla madre fosse un requisito non previsto né necessario, sicché il sopravvenuto dissenso appare privo di rilevanza concreta. Ovviamente, le controversie genitoriali non potranno essere risolte dalla scuola, ma dal giudice.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • vorremmo cortesemente avere delucidazioni in merito al calcolo del periodo di comporto di un ata con supplenza annuale con contratti che partono dall'a.s. 2023/2024. Il limite di nove mesi di malattia in un triennio scolastico da quando decorre? Nel triennio scolastico si include l'anno scolastico corrente (2025/2026)? Si conteggiano tutte le malattie che si sono verificate per ogni anno scolastico oppure il triennio è da considerarsi un triennio "mobile" includendo le malattie che vanno dall'inizio o dalla fine (?) dell'ultima malattia sino a tre anni indietro (a questo punto non è più scolastico) In merito il contratto non dice nulla, contrariamente a quanto invece previsto per il triennio (non scolastico, "ultimo triennio") del personale a tempo indeterminato. Grazie
  • L’art. 17, comma 1, del CCNL 2007 (non modificato dal CCNL 2024) prevede che il dipendente a tempo indeterminato assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi. Ai fini della maturazione del predetto periodo, si sommano, alle assenze dovute all'ultimo episodio morboso, le assenze per malattia verificatesi nel triennio precedente. L'art. 35 del CCNL 2024 al comma 3 prevede che il personale docente ed ATA assunto con contratto a tempo determinato per l'intero anno scolastico (31 agosto) o fino al termine delle attività didattiche (30 giugno), nonché quello ad esso equiparato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, assente per malattia, ha diritto alla conservazione del posto per un periodo non superiore a 9 mesi in un triennio scolastico. Il comma 4 prevede che fermo restando tale limite, in ciascun anno scolastico la retribuzione spettante al personale di cui al comma precedente è corrisposta per intero nel primo mese di assenza, nella misura del 50% nel secondo e terzo mese. Per il restante periodo il personale anzidetto ha diritto alla conservazione del posto senza assegni. Analoga previsione era contenuta nell’art. 19 del CCNL 2007 successivamente abrogato dal citato art. 35 del nuovo e vigente CCNL. Pertanto, i riferimenti temporali per il periodo di comporto sono del tutto differenti tra personale a t.i. e personale a t.d.: rispettivamente, per il personale di ruolo, diciotto mesi calcolati sommando alle assenze dovute all’ultimo periodo morboso le assenze per malattia verificatesi nel triennio precedente e, per il personale a t.d. al 30 giugno o al 31 agosto, un periodo non superiore a 9 mesi in un triennio scolastico. Tutto ciò premesso, in riferimento al quesito posto, si ritiene che il calcolo vada fanno a triennio scolastico ( cioè le assenze nei tre anni scolastici compreso – a nostro avviso - anche quello in essere) e non a ritroso di tre ( solari) anni dall’ultimo episodio morboso. Quindi per il personale a t.d. il riferimento è ad un triennio scolastico ( cioè tre anni scolastici es. A.S. 2023/2024; A.S. 2024/2025; A.S. 2025/2026) e non al triennio precedente all'ultima assenza come per il personale a t.i. In definitiva, al personale assunto a tempo determinato fino al 30/6 o 31/8 spetta la conservazione del posto per un periodo non superiore a 9 mesi in un triennio scolastico. Se risulta superato detto limite dovrà essere risolto il contratto ai sensi dell’art. 35 citato.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • In relazione ad una richiesta (si vede allegato al quesito) di documentazione ex art. 391-quater c.p.p , attesa la necessità di tutelare l'esercizio di difesa del lavoratore, si chiede in che modo è possibile tuttavia non incorrere in eventuale violazione del diritto alla riservatezza che potrebbe essere oggetto di rivendicazione da parte del soggetto controparte c.d. "controinteressato". In concreto l'avvocato di parte chiede una serie di documenti precisi e "... ogni altro eventuale atto e/o verbale e/o documento legato ..." alla vicenda oggetto di procedimento penale. Si chiedono indicazioni per poter gestire al meglio l'istruttoria del procedimento in essere. Cordialmente.
  • La richiesta dei documenti trasmessa in visione si ascrive inequivocabilmente a un procedimento penale. Tale circostanza è richiamata nell’istanza nella quale si fa riferimento al numero di RGNR (identificativo del procedimento) all’udienza e all’imputato. E’ anche allegato il mandato difensivo. L’accesso rientra nelle facoltà di indagine attribuite dal codice di procedura penale al difensore dell’indagato o dell’imputato (art. 391 quater c.p.p.). Dispone la norma (introdotta con L. n. 397 del 2000) che ai fini delle investigazioni difensive, il difensore dell’imputato “può chiedere i documenti in possesso della p.a. e di estrarne copia”. L’istanza deve essere rivolta all’amministrazione che ha formato l’atto e che lo detiene stabilmente. In caso di rifiuto da parte della p.a., gli artt. 367 e 368 c.p.p. prevedono la possibilità da parte del difensore di ricorso al pubblico ministero. Se il pubblico ministero condivide il rifiuto della p.a., trasmette la richiesta con il suo parere al giudice per le indagini preliminari, altrimenti dispone il sequestro dei documenti. Va infatti ricordato che il p.m. ha il potere di disporre il sequestro (oltre che del corpo di reato) delle cose pertinenti il reato necessarie per l’accertamento dei fatti (art. 252 c.p.p.), fra le quali, i documenti. L’istanza del difensore ex art. 391 quater c.p.c. è un atto di rilievo giurisdizionale, non coincidente con l’atto di parte che attiva il procedimento amministrativo di accesso ai documenti: ciò trova conferma nella previsione del controllo del p.m. e poi del g.i.p. sull’esito dell’stanza stessa. Si può dunque affermare che l’accesso del difensore ai sensi dell’art.391 quater c.p.p. e l’accesso documentale ai sensi degli artt.22 e seguenti della legge n.241/1990 sono due fattispecie autonome e indipendenti, di talché, mentre la tutela nei confronti del primo è assicurata dalla magistratura penale, quella sul secondo è riservata alla giurisdizione amministrativa. Alla luce di un tanto: 1) L’istituto non è obbligato a fornire i documenti, come reso palese dalla formulazione della norma penale; ma il rifiuto (sul quale il sindacato è esercitato in prima battuta dal P.M. e, poi, dal G.I.P.) deve fondarsi su ragioni giuridiche desunte dall’ordinamento. Va da sé che in caso di dubbio, l’istituto potrà sempre interpellare il P.M. In difetto di ragioni ostative, non si ravvisano motivi per negare l’accesso. 2) L’estraneità dell’accesso difensivo “penale” alla legge n.241/1990 fa fondatamente escludere che si debba dare comunicazione dell’avvio del procedimento al controinteressato, il cui consenso, quindi, non è richiesto. 3) In ragione della stretta attinenza al processo penale, non vi sono dunque particolari adempimenti procedurali da osservare; parimenti, non è richiesto il bilanciamento tra l’interesse difensivo e la tutela della riservatezza previsto dall’art.24, u.c., della richiamata legge n.241/1990.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Una docente, già in part time, chiede di essere collocata in aspettativa senza assegni, con decorrenza 1.1.2026, per svolgere l'incarico di giudice onorario in regime di esclusività ai sensi dell’art. 3, comma 2 della legge n.51/2025, invocando l'applicazione dell'art. 23 bis del Dlgs 165/2001 per come modificato dalla Legge 19 giugno 2019 n. 56. Il dubbio è sulla durata dell'aspettativa poiché il Dlgs 165/2001 non sembra porre limiti di tempo se non per impieghi presso privati ( 5 anni rinnovabili per una volta) ma il vigente CCNL scuola art. 18, comma 3 pone il limite di un anno scolastico per le aspettative per motivi di lavoro. Quale durata temporale quindi bisogna applicare alla fattispecie? Un anno o nessun limite temporale? Prevale la normativa generale o poiché la stessa non stabilisce una durata massima si deve applicare la norma pattizia? E qualora si dovesse applicare il CCNL l'aspettativa può iniziare in qualunque momento dell'anno scolastico o obbligatoriamente dal 1 settembre? Grazie per la risposta.
  • I G.O.T. (così come i V.P.O.), sono magistrati onorari, il cui incarico ha una durata temporanea e si caratterizza per l'inesistenza di un rapporto di impiego e di subordinazione. In giurisprudenza (cfr Cassazione, Sez. Un., 21 febbraio 1991, n. 1845) è stato chiarito che la posizione del magistrato onorario non è riconducibile, neppure astrattamente, né al rapporto di impiego privato, né a quello pubblico. Il Consiglio di Stato, con parere del 23 maggio 2012 n. 2466, ha ritenuto che l’incarico di vice procuratore onorario (VPO), in considerazione delle indennità per esso previste, si configura come incarico retribuito e come tale è sottoposto all’obbligo di preventiva autorizzazione dell’attività extraistituzionale ex art. 53 D.Lgs. 30 marzo 2001 n. 165. La circolare del Ministero della Giustizia del 18 marzo 2021 ha così precisato "Il Decreto Legislativo 13 luglio 2017 n. 116, che disciplina la riforma organica della magistratura onoraria, ha previsto, in astratto, la compatibilità dell’incarico di magistrato onorario con lo svolgimento di attività lavorative o professionali, come si desume dall’articolo 1 del medesimo decreto, il cui terzo comma così recita: “L'incarico di magistrato onorario ha natura inderogabilmente temporanea, si svolge in modo da assicurare la compatibilità con lo svolgimento di attività lavorative o professionali e non determina in nessun caso un rapporto di pubblico impiego. Al fine di assicurare tale compatibilità, a ciascun magistrato onorario non può essere richiesto un impegno complessivamente superiore a due giorni a settimana. Ai magistrati onorari sono assegnati affari, compiti e attività, da svolgere sia in udienza che fuori udienza, in misura tale da assicurare il rispetto di quanto previsto dal presente comma”. Ferma restando la competenza del Consiglio Superiore della Magistratura per tutto quanto attiene lo status del magistrato, anche onorario, ai fini del rilascio della necessaria autorizzazione, gli interessati dovranno indicare, nella relativa istanza, l’ufficio di espletamento delle funzioni onorarie, la retribuzione annua complessiva (prevista o presunta), l’impegno settimanale/mensile in media richiesto. Gli uffici (nella persona del Dirigente o, in mancanza, del Capo dell’ufficio), dove, invece, gli interessati sono assegnati a prestare servizio quali pubblici dipendenti, dovranno inoltrare le istanze di autorizzazione di quest’ultimi, esprimendo il proprio parere circa l’insussistenza o meno di situazioni, anche potenziali, di conflitto di interessi delle funzioni onorarie con l’attività istituzionale, circa l’assenza o meno di pregiudizi o detrimenti allo svolgimento e alla funzionalità dell’attività degli uffici nonché in ordine alla compatibilità o meno con l’orario di servizio. In ogni caso, al perdurante svolgimento di funzioni giudiziarie onorarie non potrà conseguire automaticamente la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale, restando al contrario tale opzione vincolata ad un’attenta valutazione delle scoperture e in genere della complessiva situazione dell’Ufficio in cui si presta servizio, acquisito comunque il parere dell’Ufficio medesimo, (anche in considerazione delle rilevantissime criticità da cui hanno preso le mosse le procedure di reclutamento per titoli e prova orale disciplinate dal decreto-legge n. 34 del 2020)". La Cassazione, con la Sentenza del 14/04/2023, n.10080, ha affermato che la figura del magistrato onorario, non diversamente da quella di qualsiasi funzionario onorario, si è sempre caratterizzata per l'esistenza di un rapporto di servizio con attribuzione di funzioni pubbliche, mancando gli elementi essenziali dell'impiego pubblico, quali la scelta del dipendente di carattere prettamente tecnico - amministrativo effettuata mediante procedure concorsuali (che si contrappone, nel caso del funzionario onorario, ad una scelta politico - discrezionale), l'inserimento strutturale del dipendente nell'apparato organizzativo della P.A. (rispetto all'inserimento meramente funzionale del funzionario onorario), lo svolgimento del rapporto secondo un apposito statuto per il pubblico impiego (che si contrappone ad una disciplina del rapporto di funzionario onorario derivante pressoché esclusivamente dall'atto di conferimento dell'incarico e dalla natura dello stesso), il carattere retributivo, perché inserito in un rapporto sinallagmatico, del compenso percepito dal pubblico dipendente (rispetto al carattere indennitario e di ristoro delle spese rivestito dal compenso percepito dal funzionario onorario), la durata tendenzialmente indeterminata del rapporto di pubblico impiego (a fronte della normale temporaneità dell'incarico onorario). Tali caratteristiche del servizio onorario hanno anche in passato giustificato la conclusione che esso non è prestato nell'ambito di un rapporto di lavoro, né di carattere subordinato né di carattere autonomo, così restando al di fuori dell'ambito di applicazione degli artt. 35 e 36 Cost.. Pertanto, l'esercizio delle funzioni di viceprocuratore onorario non è riconducibile ad un rapporto di lavoro di natura subordinata con il Ministero della Giustizia, ma ad un rapporto di servizio onorario con attribuzione di funzioni pubbliche, mancando gli elementi essenziali dell'impiego pubblico, quali la scelta del dipendente di carattere prettamente tecnico-amministrativo effettuata mediante procedure concorsuali, l'inserimento strutturale del dipendente medesimo nell'apparato organizzativo della P.A., lo svolgimento del rapporto secondo un apposito statuto per il pubblico impiego, il carattere retributivo del compenso e la durata tendenzialmente indeterminata del rapporto stesso. L’art 3 della legge 15 aprile 2025, n. 51 prevede che i magistrati onorari confermati che sono anche pubblici dipendenti devono chiedere l'autorizzazione di cui all'articolo 53 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, anche se rilasciata in precedenza. Qualora l'autorizzazione di cui sopra sia rilasciata, i magistrati onorari che hanno optato per il regime di esclusività delle funzioni onorarie ai sensi dell'articolo 29, comma 6, del decreto legislativo 13 luglio 2017, n. 116, sostituito dall'articolo 1, comma 1, lettera c), della citata legge n. 51/2025, sono collocati in aspettativa senza assegni, con diritto al mantenimento della qualifica, nel rispetto del limite massimo di durata del periodo di fruizione dell'aspettativa previsto dalle disposizioni normative o contrattuali applicabili. La norma sancisce, da un lato, la necessità dell’autorizzazione di cui al richiamato art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001; inoltre, prevede che i magistrati esclusivisti vengano posti in aspettativa non retribuita, destinata a venir meno non solo per il decorso del termine, stabilito da leggi o da norme contrattuali, per la fruizione dell’aspettativa stessa, bensì, ovviamente, per effetto della protrazione dell’incarico di magistrato onorario sino al raggiungimento dell’età massima consentita con conseguente diritto al trattamento di quiescenza. Ciò premesso, in riferimento al caso di specie, si ritiene che possa essere richiesta l’aspettativa ex art. 23 bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 che non pone limiti temporali per l’attività svolta a favore di organismi pubblici. L’art. 23-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 il quale prevede che "in deroga all'articolo 60 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ivi compresi gli appartenenti alle carriere diplomatica e prefettizia e, limitatamente agli incarichi pubblici, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato sono collocati, salvo motivato diniego dell'amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale. Resta ferma la disciplina vigente in materia di collocamento fuori ruolo nei casi consentiti. Il periodo di aspettativa comporta il mantenimento della qualifica posseduta. È sempre ammessa la ricongiunzione dei periodi contributivi a domanda dell'interessato, ai sensi della legge 7 febbraio 1979, n. 29, presso una qualsiasi delle forme assicurative nelle quali abbia maturato gli anni di contribuzione. Quando l'incarico è espletato presso organismi operanti in sede internazionale, la ricongiunzione dei periodi contributivi è a carico dell'interessato, salvo che l'ordinamento dell'amministrazione di destinazione non disponga altrimenti". Per quanto concerne la durata il comma 4 dell'art. 23-bis si limita a prevedere che "nel caso di svolgimento di attività presso soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche, il periodo di collocamento in aspettativa di cui al comma 1 non può superare i cinque anni, è rinnovabile per una sola volta e non è computabile ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza"; quindi la durata non deve coincidere con l'anno scolastico o comunque concludersi nello stesso AS come per l'art. 18, c. 3 e del CCNL 2007. Pertanto, per l'aspettativa ex art bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 per incarichi presso soggetti pubblici non c'è un limite massimo. Infine si rileva che l’aspettativa ex art 23 cit è fattispecie diversa, e sia alternativa che cumulabile, con quella prevista dall’art. 18 co. 3 CCNL 2007.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Docente assunta al 30/06/2025 in godimento congedo biennale e attualmente in congedo parentale art.42 fino al 19/12/2025. In concomitanza con la sospensione delle attività didattiche (dal 24 Dicembre al 06 Gennaio 2026) la docente ha presentato richiesta di permesso Legge 104 per i giorni 29-30-31 Dicembre 2025 e 02-03-05 Gennaio 2026; chiediamo se tale richiesta sia concedile a copertura dei giorni di sospensione o se questi ultimi giorni devono essere necessariamente coperti con le ferie. Grazie.
  • La nostra risposta è affermativa, di seguito le motivazioni. Il lavoratore dipendente che usufruisce dei permessi previsti dall’art. 33 comma 3, peer assistenza materiale e morale al familiare disabile con connotazione di gravità accertata ex art.3 comma 3 della legge oggi, definita persona con disabilità avente necessità di sostegno intensivo (art. 3-4 del D.lgs. 62/2024) soggetto diretto, è considerato soggetto indiretto. Questi permessi, possono essere richiesti da tutti i lavoratori dipendenti sia del settore privato che del comparto del pubblico impiego, scuola compresa, siano essi lavoratori a tempo indeterminato, che a tempo determinato (in costanza del rispettivo contratto di lavoro vigente,) che in part-time. L’amministrazione/scuola datore di lavoro ha solo l’onere della verifica del diritto ai permessi al momento della richiesta. Mentre, per il lavoratore, la Funzione Pubblica nella circolare 13/2010 e ancor prima nel parere 13/2008 ( stesse regole INPS settore privato) ha chiarito che, salvo dimostrate situazioni di urgenza, per la fruizione dei permessi, l'interessato dovrà comunicare al dirigente competente le assenze dal servizio con congruo anticipo, se possibile con riferimento all'intero arco temporale del mese, al fine di consentire la migliore organizzazione dell'attività amministrativa. L’art. 15 comma 6 del CCNL 2007 prevede che i permessi di cui all'art. 33, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 devono essere possibilmente fruiti dai docenti in giornate non ricorrenti. Quindi, si ritiene che per il personale docente, non sia previsto, in via generale, alcun impedimento alla fruizione dei permessi anche durante le vacanze stante che i giorni di sospensione delle lezioni non rappresentano tecnicamente giorni non lavorativi. Tuttavia, il quesito pone la questione della richiesta di ferie durante il periodo della sospensione delle lezioni ad opera del personale docente a t.d. Come noto, sul punto, è intervenuta la recente interpretazione della Cassazione che, con l'Ordinanza 17/06/2024 n. 16715, ha affermato che il docente a tempo determinato che non ha chiesto di fruire delle ferie durante il periodo di sospensione delle lezioni ha diritto all'indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo inutilmente invitato a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie e alla indennità sostitutiva, in quanto la normativa interna - e, soprattutto, l'art. 5, comma 8, del D.L. n. 95 del 2012, come integrato dall'art. 1, comma 55, della legge n. 228 del 2012 - deve essere interpretata in senso conforme all'art. 7, par. 2, della direttiva 2003/88/CE, che, secondo quanto precisato dalla Corte di Giustizia, Grande Sezione (con sentenze del 6 novembre 2018 in cause riunite C-569/16 e C-570/16, e in cause C-619/16 e C-684/16), non consente la perdita automatica del diritto alle ferie retribuite e dell'indennità sostitutiva, senza la previa verifica che il lavoratore, mediante una informazione adeguata, sia stato posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare effettivamente il proprio diritto alle ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro. In particolare, il detto docente non può essere considerato automaticamente in ferie nel periodo fra il termine delle lezioni e il 30 giugno di ogni anno. La Nota dell'USR Piemonte n. 11853 del 16 luglio 2024, di cui riportiamo alcuni passaggi, aveva subito ben evidenziato le implicazioni della nuova giurisprudenza sull’operato delle scuole: "L’applicazione della disposizione sopra richiamata (legge 228/2012) ha comportato la monetizzazione delle ferie nei limiti dei giorni residuati dopo aver decurtato, non solo i periodi di sospensione delle lezioni elencati dai calendari scolastici regionali dei rispettivi anni scolastici (Natale, Pasqua, Carnevale), ma anche il periodo ricompreso tra il termine delle lezioni e il 30 giugno. La suddetta circostanza ha dato avvio ad un cospicuo contenzioso volto ad ottenere la liquidazione dell’indennità sostitutiva delle ferie in applicazione letterale della disposizione normativa prima citata: nello specifico, i ricorrenti, chiedevano di espungere, dall’ammontare dei giorni da decurtare, il periodo ricompreso tra il termine delle lezioni e il 30 giugno. La tematica sopra evidenziata ha subito un’evoluzione giurisprudenziale, da ultimo con l’ordinanza della Suprema Corte n. 16715/24, che ha enunciato il seguente principio di diritto. Principio di Diritto: “Il docente a tempo determinato che non ha chiesto di fruire delle ferie durante il periodo della sospensione delle lezioni ha diritto all’indennità sostitutiva, a meno che il datore di lavoro dimostri di averlo inutilmente invitato a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie e all’ indennità sostitutiva, in quanto la normativa interna e soprattutto l’art. 5, comma 8 del D.L. n. 95 del 2012, deve essere interpretata in senso conforme all’art. 7 della direttiva 2003/88/CE, la quale non consente la perdita automatica del diritto alle ferie retribuite e dell’indennità sostitutiva, senza la previa verifica che il lavoratore, mediante una formazione adeguata, sia stato posto dal datore di lavoro in condizione di esercitare effettivamente il proprio diritto alle ferie prima della cessazione del rapporto di lavoro. In particolare, il detto docente non può essere considerato automaticamente in ferie nel periodo fra il termine delle lezioni ed il 30 giugno di ogni anno”. Alla luce della suddetta ordinanza della Corte di cassazione n. 16715 del 2024, che si allega per completezza, si ritiene opportuno che le S.S.L.L., provvedano, all’atto dell’instaurarsi del rapporto di lavoro o anche nel corso del rapporto, ad invitare/diffidare formalmente i docenti interessati a presentare istanza di fruizione dei giorni di ferie, maturati e maturandi, durante i periodi di sospensione delle lezioni (Natale, Pasqua, carnevale, ponti …) o anche nel periodo intercorrente tra la fine delle lezioni e il 30 giugno, con espresso avviso della perdita, in assenza di domanda volontaria, del diritto alle ferie stesse ed all’indennità sostitutiva". La Nota MIM del 27 marzo 2025 ha ribadito che, alla luce della giurisprudenza sopra citata, il docente a termine non può perdere il diritto alla indennità sostituiva delle ferie per il solo fatto di non avere chiesto le ferie «se non dopo essere stato invitato dal datore di lavoro a goderne, con espresso avviso della perdita, in caso diverso, del diritto alle ferie ed alla indennità sostitutiva. Ne consegue che i Dirigenti scolastici devono invitare - espressamente e in forma scritta – il personale docente a tempo determinato a godere delle ferie retribuite, in particolar modo nei periodi di sospensione delle lezioni, all’uopo avvisando quest’ultimi della perdita, in caso diverso, tanto del diritto a fruire delle ferie quanto del diritto a percepire l’indennità sostitutiva. Pertanto, seppur è vero che nulla osta alla fruizione dei permessi 104 come sopra detto, si presume che la scuola abbia comunicato al personale docente a t.d. la necessità di richiedere le ferie retribuite, in particolar modo nei periodi di sospensione delle lezioni, all’uopo avvisando quest’ultimi della perdita, in caso diverso, tanto del diritto a fruire delle ferie quanto del diritto a percepire l’indennità sostitutiva. Se ciò è stato fatto, e la docente chiede comunque di fruire di giorni di permesso L.104/1992 durante il periodo delle vacanze, allorchè a fine anno residuino dei giorni di ferie non godute, si ritiene che alla stessa non spetterà alcuna monetizzazione stante la mancata presentazione della domanda di ferie durante la sospensione delle lezioni per la pausa natalizia.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Buongiorno, si chiede un chiarimento in merito alla gestione dell’aspettativa per motivi familiari di una docente a tempo indeterminato. La docente titolare è collocata in aspettativa dal 15/09/2025 al 23/12/2025. Successivamente ha presentato ulteriore richiesta di aspettativa per motivi familiari con decorrenza dal 07/01/2026. Considerato il periodo di sospensione delle attività didattiche dal 24/12/2025 al 06/01/2026, si chiede: se tale periodo debba essere formalmente coperto da aspettativa oppure se sia assorbito dall’aspettativa precedente e/o successiva; se sia necessario adottare uno specifico provvedimento amministrativo per il periodo di sospensione; come debba essere gestita la supplente, in particolare: se il contratto della supplente debba cessare il 23/12/2025, se sia corretto stipulare un nuovo contratto dal 07/01/2026, specificando che non si intende procedere al pagamento delle festività natalizie (24/12/2025 – 06/01/2026). Si ringrazia per il supporto.
  • Una fattispecie molto frequente è quella in cui un docente si assenta l'ultimo giorno di attività prima delle vacanze per poi assentarsi nuovamente, per il medesimo titolo (nel caso di specie aspettativa), il primo giorno in cui avrebbe avuto lezione al rientro delle vacanze. In argomento può soccorrere, ad avviso di chi scrive, l'orientamento MEF sulla questione di un'assenza durante l'ultimo giorno prima della sospensione delle lezioni e nuova assenza al primo giorno di servizio successivo alla sospensione delle lezioni (per il medesimo titolo di assenza). La nota del MEF n. 108127/1999 ha infatti precisato che “diversa fattispecie si configura nel caso in cui la fine di un periodo di assenza a vario titolo coincida con l'inizio della sospensione delle attività didattiche (quali giorni non festivi del periodo natalizio o pasquale o estivo)… In tale ipotesi poiché la funzione docente si esplica non solo con l'insegnamento ma anche con la partecipazione ad altre attività individuali e collettive, la sospensione delle attività didattiche di fatto non preclude l'effettiva ripresa del servizio al termine del periodo di assenza. E' appena il caso di precisare che ricade nella responsabilità del dirigente scolastico la dichiarazione della avvenuta ripresa del servizio”. In merito a cosa debba intendersi per ripresa del servizio, il MEF ha precisato che "ricade nella responsabilità del dirigente scolastico la dichiarazione della avvenuta ripresa del servizio". L’importante è dunque che sia data regolamentazione e comunicazione sulle modalità per attestare la ripresa del servizio scelte (ad esempio manifestazione di disponibilità al servizio inviata tramite PEC etc) e che il dirigente sia in condizione di disporre degli elementi probatori per non considerare assenza per aspettativa i giorni di sospensione nel caso di nuova assenza allo stesso titolo alla ripresa delle lezioni dopo il termine delle vacanze. In sostanza, a nostro avviso, la disponibilità alla ripresa del servizio può anche essere manifestata con una e-mail istituzionale o certificata, nella quale si dichiara la cessazione della condizione ostativa al servizio e la messa a disposizione della scuola. Riportiamo il recente orientamento dell'ARAN che conferma quanto detto sopra. "SCU_111_Orientamento Applicativo 31 marzo 2020 Come si calcolano i giorni di sospensione delle attività didattiche nel caso in cui il docente si assenti per malattia il giorno prima delle vacanze di Natale o di Pasqua e il giorno di ripresa dopo le suddette vacanze? A tal riguardo questa Agenzia ritiene opportuno richiamare la nota della Ragioneria Generale dello Stato del 15.06.99, prot. n. 108127 secondo cui “…..i giorni festivi interposti senza soluzione di continuità tra due periodi di malattia, giustificati da due separati certificati che non li contemplino, siano comunque da considerare assenza per malattia e si cumulino con i periodi inclusi nei certificati stessi……Si deve, infine, precisare che diversa fattispecie si configura nel caso in cui la fine di un periodo di assenza a vario titolo coincida con l’inizio della sospensione delle attività didattiche (quali i giorni non festivi del periodo natalizio o pasquale o estivo). In tale ipotesi, poiché la funzione dei docenti si esplica non solo con l’insegnamento nelle classi, ma anche con la partecipazione ad altre attività collaterali individuali e collettive, la sospensione delle attività didattiche di fatto non preclude l’effettiva ripresa del servizio al termine del periodo di assenza. E’ appena il caso di precisare che ricade nella responsabilità del capo d’istituto la dichiarazione dell’avvenuta ripresa del servizio”. Tutto ciò premesso, nel caso di specie, se il docente invia una mail alla scuola dichiarando, in modo inequivocabile, che dal 24/12/2025 al 06/01/2026 è disponibile alla ripresa di servizio, il periodo delle vacanze natalizie e della conseguente sospensione dell’attività didattica, non sarà imputato ad aspettativa. Come detto sopra, ricade nella responsabilità del DS la dichiarazione dell’avvenuta ripresa del servizio. Pertanto, trattandosi di responsabilità dirigenziale, alcuni DS richiedono che vi sia l’effettiva ripresa del servizio e sul punto si registrano anche posizioni molto restrittive delle RTS. Per quanto concerne il supplente l'art. 13 comma 12 dell'O.M. 88 del 2024 prevede che nel caso in cui a un primo periodo di assenza del titolare ne consegua un altro intervallato da un periodo di sospensione delle lezioni, si procede alla conferma del supplente già in servizio; in tal caso il nuovo contratto decorre dal primo giorno di effettivo servizio dopo la ripresa delle lezioni.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Gentilissimi/e, pongo alla vostra attenzione il seguente quesito. Una docente, assente per malattia sulla base di un certificato medico del pronto soccorso della durata di tre giorni, si è presentata a scuola prima della fine del periodo di malattia. Il collaboratore del dirigente, ignorando che la docente fosse ancora in malattia, le ha permesso di andare in classe. Cosa deve fare il Dirigente scolastico?
  • L'argomento di cui al presente quesito, ovvero la possibilità, per il lavoratore, di rientrare in servizio in anticipo, rispetto alla data di fine prognosi, è affrontato dall'INPS con la circolare n. 79 del 2 maggio 2017, intitolata "Riduzione del periodo di prognosi riportato nel certificato attestante la temporanea incapacità lavorativa per malattia". A parere dell'INPS, la data di fine prognosi rappresenta un elemento "previsionale" sul decorso clinico e sull’esito dello stato patologico riportato in diagnosi, non potendosi escludere, pertanto, una possibile variazione sia in termini di prolungamento sia di riduzione, in base ad un decorso rispettivamente più lento o più rapido della malattia. Mentre il caso del prolungamento dello stato morboso non comporta alcun particolare problema, bastando un certificato medico di proroga della malattia, si pone il problema di come riconoscere una riduzione della prognosi originariamente prevista dal medico. A parere dell'INPS, in questo caso il medico sarà tenuto a rettificare il certificato originario, con indicazione della nuova data di fine prognosi. Sempre secondo l'INPS, il lavoratore è tenuto a richiedere al medico tale rettifica, prima di riprendere servizio in anticipo. La mancata rettifica del certificato, infatti, potrebbe comportare l'assenza del lavoratore alla visita fiscale, che potrebbe essere disposta anche d'ufficio dall'INPS. D'altro canto, il datore di lavoro non potrebbe consentire al lavoratore la ripresa dell’attività lavorativa in difetto della rettifica del certificato medico originario. Entrambi, datore di lavoro e lavoratore, sono infatti tenuti al rispetto della normativa vigente, ovvero, rispettivamente, l’art. 2087 del codice civile, che impegna il datore di lavoro ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica dei prestatori di lavoro, e l’art. 20, comma 1 del D.lgs. n. 81/2008, che obbliga il lavoratore a prendersi cura della propria salute. Le considerazioni espresse dell'INPS nella circolare sopra richiamata appaiono ben argomentate e condivisibili. Ciò premesso, si pone il caso di come comportarsi nel caso di cui al presente quesito (rientro in servizio in difetto di rettifica della prognosi). Alla luce di dette considerazioni, appare che né il datore di lavoro, né il lavoratore abbiano seguito la procedura corretta. Il lavoratore, infatti, avrebbe dovuto chiedere la rettifica della certificazione originaria e, in mancanza, il datore di lavoro non avrebbe dovuto consentire la ripresa del servizio. Ci sarebbero, pertanto, i presupposti per un procedimento disciplinare a carico del lavoratore (per essersi presentato in servizio in corso di prognosi), nonché a carico di chi, secondo le disposizioni impartite dall'amministrazione, avrebbe dovuto comunicare al collaboratore del dirigente lo stato di assenza per malattia del docente. Si raccomanda, tuttavia, prima di procedere, di accertare l'effettiva esistenza di tali disposizioni e che esse siano state correttamente portate a conoscenza al personale interessato; in caso contrario, si sconsiglia di procedere disciplinarmente. Quanto ai giorni di servizio prestati prima della fine della prognosi, a nostra parere non vanno inclusi nell'assenza per malattia, avendo il dipendente, sia pure irregolarmente, reso la prestazione lavorativa. Non occorre effettuare, in proposito, alcuna comunicazione all'INPS, dal momento che l'indennità per malattia, per i dipendenti pubblici, è a carico dello Stato e non dell'ente previdenziale.

    Data di pubblicazione: 22/12/2025

  • Una studentessa minorenne di classe xx (xx anni) di un xxx scrive in un tema di essere stata abusata sessualmente dal xxx xx anni prima rispetto alla data in cui scrive . Nel tema viene indicato che - xxxxxxx - xxxxxxx. Non è dato conoscere xxxxxxx né se i genitori siano a conoscenza di quanto scritto dalla studentessa. La docente di xxxx, letto il compito, ha richiesto un appuntamento al dirigente scolastico nel corso del quale è stato mostrato il compito e condivisa l'informazione. Si chiede quali siano le azioni da porre in essere da parte della scuola alla luce dei fatti esposti.
  • La gestione di una rivelazione di abuso all'interno di un elaborato scolastico richiama un preliminare bilanciamento tra la libertà didattica e la tutela del minore, come confermato dal Vademecum del Garante della Privacy 2025 dedicato alle attività delle scuole (https://www.garanteprivacy.it/documents/10160/0/VADEMECUM+-+La+scuola+a+prova+di+privacy+2025.pdf/f1d98c71-9f9d-faaa-9126-478d4bb4f2ad?version=3.0 ), il quale chiarisce che l'assegnazione di temi su argomenti personali non costituisce di per sé una violazione della riservatezza. È evidente però che la grave rivelazione contenuta nel tema non può in alcun modo essere sottaciuta né sottovalutata, posto che il tempo trascorso non attenua la gravità dei fatti confessati e neppure riduce i doveri della scuola che si profilano duplici, nel sostegno alla studentessa e nella segnalazione all’Autorità. Infatti i docenti e i dirigenti scolastici rivestono la qualifica di Pubblici Ufficiali e come tali hanno il dovere, sancito dall'articolo 331 del Codice di procedura Penale, di denunciare i reati perseguibili d'ufficio di cui vengono a conoscenza durante l'esercizio delle loro funzioni, ricordando che lo scambio di informazioni con i Servizi Sociali e l'Autorità Giudiziaria non viola il segreto d'ufficio, ma rappresenta un atto dovuto per la protezione del minore. Infatti nel rapporto tra operatori pubblici istituzionalmente coinvolti, lo scambio di informazioni non costituisce violazione della privacy, ma è strettamente utile e pertinente per inquadrare la situazione e consentire un adeguato intervento a tutela del minore. In questo contesto, la docente destinataria del tema deve agire con estrema sensibilità, limitandosi ad accogliere la studentessa con calma e senza giudizio, evitando accuratamente di forzarla a fornire dettagli investigativi che potrebbero traumatizzarla ulteriormente o inquinare le prove. Può essere proposto alla ragazza un colloquio, eventualmente presso lo sportello psicologico, se attivato nella scuole e se la studentessa ne è stata autorizzata all’accesso da parte dei genitori, affinché possa essere sostenuta con immediatezza nel contesto scolastico. L'elaborato originale deve essere conservato con cura, privo di correzioni o segni grafici, per poi essere allegato a una relazione tecnica interna riservata che verrà redatta dalla docente e che descriva i fatti e venga consegnata immediatamente al Dirigente Scolastico. Nella breve relazione tecnica che la docente trasmetterà al Dirigente devono essere precisati anche gli elementi che hanno portato l’insegnante a ritenere che le dichiarazioni sulla situazione di abuso subita dalla ragazza siano verosimili. Tale segnalazione dovrà contenere una obiettiva e dettagliata descrizione dei fatti, senza che vengano tratte conclusioni o vengano espressi giudizi di valore. Una volta informato, il Dirigente assume la responsabilità legale di rappresentare l'istituzione verso l'esterno, procedendo senza ritardo alla denuncia scritta presso la Procura della Repubblica o gli organi di Polizia Giudiziaria e attivando, parallelamente, i Servizi Sociali territoriali per definire le forme di sostegno più adeguate. In particolare il Dirigente scolastico informato dei fatti dalla docente sia informalmente che con la relazione tecnica di quest’ultima e con il tema in originale redatto dalla studentessa, procederà a denunciare l’ipotesi di reato, ritenuta sufficientemente fondata, trasmettendo le informazioni di cui è in possesso senza porre in essere alcun atto di accertamento o di indagine. Infatti il Dirigente scolastico che denuncia, non evidenzia la certezza dei fatti, ma solo l’esistenza di un sospetto sufficientemente fondato. È tassativo che il Dirigente si astenga da qualsiasi indagine autonoma o interrogatorio della studentessa e/o di altri soggetti in quanto si tratta di compiti che spettano esclusivamente alla magistratura, e che garantisca la massima riservatezza per prevenire fenomeni di vittimizzazione secondaria. Per quanto riguarda il rapporto con la famiglia, se l'abuso è sospettato in ambito endofamiliare, si deve omettere ogni comunicazione ai genitori per non pregiudicare l'incolumità della minore o le indagini; solo nei casi di sospetto extrafamiliare la scuola cercherà la collaborazione dei genitori, procedendo comunque d'ufficio in caso di loro rifiuto. Infine, occorre ricordare che l'omessa denuncia, ancorché di un fatto accaduto diverso tempo fa, ma di cui si viene a conoscenza ora, configura un reato ai sensi dell'articolo 361 del Codice Penale e che, qualora il Dirigente dovesse restare inerte, la docente segnalante ha non solo il diritto ma il dovere di rivolgersi direttamente alle autorità competenti, con un'iniziativa che non può essere sanzionata, né considerata lesiva dell'immagine della scuola poiché finalizzata alla protezione superiore della minore. Una volta attivata la Procura si può valutare, congiuntamente alla Procura, se e come coinvolgere i genitori.

    Data di pubblicazione: 19/12/2025

  • Valutazione della liceità dell’assegnazione di incarichi aggiuntivi a docenti con ore eccedenti e a docenti con contratto di lavoro part-time...
  • Il Decreto Ministeriale 22 maggio 2025, n. 96 si inserisce nel contesto operativo del Programma Nazionale (PN) "Scuola e competenze" 2021-2027, cofinanziato dal Fondo Sociale Europeo Plus (FSE+), le cui attività rientrano nell'Obiettivo specifico ESO4.6 del PN 2021-2027. La norma è finalizzata all'ampliamento dell'offerta formativa attraverso specifiche iniziative volte al potenziamento delle competenze, all'inclusione e alla socialità. Le relative azioni devono essere implementate in orario extracurricolare, ponendo particolare enfasi sul periodo estivo e sui periodi di sospensione della didattica curricolare ordinaria. Tale strategia è stata resa operativa mediante l'Avviso pubblico n. 81652 del 23 maggio 2025, rubricato “Percorsi educativi e formativi per il potenziamento delle competenze, l’inclusione e la socialità nel periodo di sospensione estiva delle lezioni” ma comunemente denominato “Piano estate aa.ss. 2024-2025 e 2025-2026”. Tale Avviso coinvolge istituzioni scolastiche sia del primo che del secondo ciclo di istruzione. Per il personale docente con orario settimanale a tempo pieno (24 ore), l'attribuzione di ulteriori ore per la realizzazione delle progettualità previste dal D.M. 96/2025 è ritenuta lecita e non costituisce una violazione del limite orario di lezione standard. La legittimità di tali incarichi deriva dalla natura aggiuntiva degli stessi, in quanto necessari alla realizzazione di progetti specificamente finanziati dal PN Scuola 2021-2027 (FSE+). Si tratta di incarichi supplementari remunerati a parte, utilizzando l’opzione dei costi standard unitari (UCS), non inclusi nel calcolo delle ore di servizio settimanali del docente. In virtù di ciò, le attività extra-curricolari connesse al progetto sono considerate ore aggiuntive che non inficiano il limite delle ore eccedenti o l'ampliamento dell'orario di lezione fino a 24 ore. Pertanto, un docente della scuola secondaria di primo grado può validamente assumere l'incarico di esperto o tutor nei moduli del "Piano estate" a seguito di selezione interna, senza che sorgano conflitti con il proprio orario di cattedra e il limite massimo di ore di lezione settimanali previsto dalle disposizioni contrattuali. Venendo al personale con rapporto di lavoro a tempo parziale, la normativa contrattuale applicabile è definita dall'articolo 39, comma 8, del CCNL comparto scuola 2006-2009, disposizione non modificata dal CCNL del comparto “Istruzione e ricerca” 2019-2021. Tale articolo stabilisce che detto personale è escluso dalle attività aggiuntive di insegnamento aventi carattere continuativo. Si definisce servizio continuativo quello prestato senza interruzione nell’arco di un anno scolastico o di un semestre (come le attività di avviamento alla pratica sportiva o le attività didattiche previste nel PTOF con durata semestrale o annuale). Sono invece espressamente consentite le attività aggiuntive di insegnamento che non rivestono carattere continuativo o che presentano una soluzione di continuità. I percorsi educativi e formativi finanziati dal D.M. 96/2025 si concretizzano tipicamente in moduli caratterizzati da una durata specifica e circoscritta. L'attribuzione di incarichi di esperto o tutor a docenti con contratto part-time è considerata lecita. Tale liceità è subordinata alla condizione che gli interventi siano configurabili come microinterventi di insegnamento o attività che si svolgono per un limitato numero di ore e in un periodo di tempo circoscritto. In buona sostanza, la validità dell'incarico è strettamente legata al fatto che ciascuno dei corsi o interventi affidati al docente part-time sia scevro del carattere della continuità. Anche qualora la somma totale delle ore assegnate dovesse risultare rilevante, il principio fondamentale che prevale è che i singoli moduli (come, ad esempio, i percorsi di potenziamento delle competenze di base) mantengano la natura di attività con "soluzione di continuità," similmente ai corsi di recupero.

    Data di pubblicazione: 19/12/2025

  • Rientro dall’aspettativa ex art. 70 CCNL e sovrapposizione con supplenza temporaneamente conferita: richiesta di indicazioni operative...
  • Se l'assistente amministrativa di ruolo ha ottenuto un contratto a tempo determinato come docente, ai sensi dell'art.70 del CCNL attualmente vigente, rimane titolare nel proprio ruolo nella scuola di titolarità dove ha un contratto a tempo indeterminato e nella quale è stata posta in aspettativa per il periodo in cui è stato assunto come supplente. La dipendente ATA pertanto, con la risoluzione del contratto di supplenza a seguito dell’annullamento dell’individuazione, a nostro avviso, trattandosi di rientro necessitato, deve rientrare in servizio nella scuola di titolarità interrompendosi in tal senso l'aspettativa. Il contratto del supplente – nominato sulla assenza per aspettativa ex art. 70 - non può essere risolto, in caso di rientro anticipato "necessitato" del titolare ( come nel caso di specie), in quanto nelle ultime norme contrattuali non è prevista tale soluzione, a meno che non sia indicata come clausola/condizione risolutiva del contratto individuale di lavoro. In giurisprudenza è stato affermato che non è possibile licenziare il lavoratore a tempo determinato qualora vengano meno le esigenze per cui è stato assunto per rientro anticipato del titolare (cfr. Tribunale di Pordenone sentenza 12/2004-Corte d’Appello di Trieste sentenza 160/2005 – Tribunale di Campobasso sentenza 277/2014). A supporto fra l'altro, anche l'ARAN "Orientamento Scuola del 14 giugno 2013", ha precisato che l’art. 18, comma 2, del CCNL/1995 che prevedeva espressamente la risoluzione del contratto stipulato con il supplente a seguito di "rientro anticipato del titolare" non è stato espressamente ripreso dai successivi CCNL. Inoltre, l'art. 61 del CCNL 2024 ( e prima ancora l'art. 41 del CCNL 2018) prevede i contratti a tempo determinato devono recare in ogni caso il termine. Tra le cause di risoluzione di tali contratti vi è anche l’individuazione di un nuovo avente titolo a seguito dell’intervenuta approvazione di nuove graduatorie. L’ARAN, nell'orientamento SCU 110 del 25 marzo 2020, ha precisato che: “In caso di rientro anticipato del titolare, il contratto a tempo determinato stipulato per la sostituzione del docente o del personale ATA si risolve automaticamente? In merito si osserva che da un lato che l’art. 18, comma 2, lett c) del CCNL 04/08/1995, è stato superato dalle previsioni contenute nel CCNL comparto scuola del 29/11/2007, dall’altro tale ultimo contratto agli artt. 25 e 44 ha disciplinato – rispettivamente per il personale docente ed ATA – gli elementi caratterizzanti il contratto individuale di lavoro, anche a tempo determinato. In particolare è richiesta la forma scritta e l’indicazione di alcuni elementi essenziali definiti alle lettere a), b), c), d), e), f) e g) del comma 4 del citato art. 25 e del comma 6 del suindicato art. 44, nonché la specificazione “delle cause che ne costituiscono condizioni risolutive”, salvo l’ipotesi di “individuazione di un nuovo avene titolo a seguito dell’intervenuta approvazione di nuove graduatorie” espressamente prevista dall’art. 41, comma 1, del CCNL comparto istruzione e ricerca del 19 aprile 2018. Pertanto, il CCNL non esclude la possibilità di risoluzione anticipata del contratto di supplenza ma richiede l’indicazione delle cause che comportano detta risoluzione.” Con l'Orientamento CIRS80 13 aprile 2021 è stato affermato quanto segue: "E’ possibile inserire nel contratto di supplenza, come clausola di risoluzione, il rientro del titolare a causa del venir meno delle condizioni previste dalla legge 104/1992 per assistenza a persona disabile? Ai sensi dell’art. 1, comma 10, del CCNL relativo al personale del comparto Istruzione e ricerca del 19.04.2018, triennio 2016/18, continuano a trovare applicazione le norme contrattuali dei precedenti CCNL dallo stesso non derogate e compatibili con le norme legislative vigenti. Pertanto, sono tuttora vigenti i commi 6 e 7 dell’art. 44 del CCNL Scuola 29/11/2007 che disciplinano il contratto individuale di lavoro del personale ATA, ivi incluso quello a tempo determinato. Tale contratto individuale richiede la forma scritta e deve contenere l’indicazione di alcuni elementi essenziali definiti nelle lettere a), b), c), d), e), f), g) del medesimo articolo, nonché la specificazione “delle cause che ne costituiscono condizioni risolutive”, salvo l’ipotesi di “individuazione di un nuovo avente titolo a seguito dell’intervenuta approvazione di nuove graduatorie” espressamente prevista dall’art. 41, comma 1, del CCNL comparto Istruzione e ricerca del 19 aprile 2018. Pertanto, nel contratto individuale devono essere indicate, affinché possano essere fatte valere, le cause che ne costituiscono condizioni risolutive, ivi inclusa l’ipotesi oggetto del quesito. Questa Agenzia ritiene, inoltre, opportuno richiamare la circolare del Miur n. U.0026841 del 05.09.2020, che fornisce utili indicazioni operative in materia di supplenze del personale docente, educativo ed ATA". Pertanto, anche alla luce dei recenti chiarimenti ARAN, se nel contratto del supplente non è stata indicata alcuna clausola o condizione risolutiva, lo stesso non può essere risolto nel caso di rientro anticipato del dipendente che ha sostituito e quindi il supplente deve essere mantenuto in servizio, fino alla scadenza del contratto. Più specificamente l'ARAN, con gli ultimi orientamenti, sembrerebbe ammettere la possibilità di inserire il rientro anticipato come causa di risoluzione anche se non abbiamo sul punto ancora recenti precedenti giurisprudenziali successivi a detto orientamento in merito alla legittimità di detta clausola. Resta fermo che in mancanza di adeguata clausola (che doveva essere inserita al momento della stipula del contratto a t.d. e che si presume non sia presente nel vostro contratto) il contratto con il supplente non potrà essere risolto.

    Data di pubblicazione: 19/12/2025

  • Possibilità di proroga della supplenza di sostegno a seguito del rientro del docente titolare in riposo per allattamento...
  • Gentile utente, nel caso sottoposto il supplente ha diritto alla proroga del contratto limitatamente alle ore ore di riposo per allattamento, poichè la docente titolare usufruisce di tali permessi successivamente al termine del periodo di congedo parentale, entro il primo anno di vita del bambino e l'assenza per le ore di allattamento è continuativa rispetto a quella per per il precedente congedo. La proroga anche se limitata alle ore di allattamento può essere disposta per motivi di continuità didattica, tenuto conto della distribuzione delle ore di insegnamento di sostegno per gli alunni disabili e garantendo quindi l'unitarietà di tale insegnamento, in modo che per uno stesso alunno non siano in servizio due insegnanti di sostegno. Quanto sopra è previsto nell'art. 13, comma 11, dell'O.M. 88/2024 , richiamato nella circolare annuale sulle supplenze n. 157048/2024 con le seguenti indicazioni: "11. Al fine di garantire la continuità didattica, ove al primo periodo di assenza del titolare ne consegua un altro, o più, senza soluzione di continuità o interrotti solo da giorno festivo o da giorno libero dall’insegnamento, ovvero da entrambi, la supplenza temporanea è prorogata nei riguardi del medesimo supplente già in servizio, a decorrere dal giorno successivo a quello di scadenza del precedente contratto."

    Data di pubblicazione: 19/12/2025

  • Compatibilità tra l’attività di docente e la carica di Presidente di una Società Sportiva Dilettantistica a Responsabilità Limitata senza scopo di lucro...
  • L'art. 53 del D.Lgs. 165/2001 dispone che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del DPR 10/01/1957, n. 3. Lo stesso articolo prevede che gli incarichi retribuiti conferiti ai pubblici dipendenti devono essere previamente autorizzati dall'Amministrazione di appartenenza. Tali incarichi sono quelli, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Per poter svolgere attività ed incarichi extraistituzionali è necessaria l'autorizzazione del dirigente scolastico (cfr art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001). A meno che non si tratti di personale in part time con prestazione lavorativa non superiore al 50% i presupposti per il conferimento di incarichi extraistituzionali a dipendenti pubblici sono l'occasionalità, la saltuarietà, la mancanza di conflitto di interessi anche potenziale, la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento, con l'ulteriore precisazione che l’attività deve essere svolta necessariamente al di fuori dell’orario di servizio (cfr Circolare Funzione Pubblica n. 3 del 1997; Parere Funzione Pubblica 24 gennaio 2012, n. 1). Più in generale la normativa prevede che possono essere autorizzati altri incarichi di lavoro che rispondano a tali condizioni: - la temporaneità e l’occasionalità dell’incarico; - il non conflitto con gli interessi dell’amministrazione e con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione; - la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento. Ricordiamo, inoltre, che a chiusura dei lavori del tavolo tecnico, a cui hanno partecipato il Dipartimento della Funzione Pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l'ANCI e l'UPI, avviato ad ottobre 2013 in attuazione di quanto previsto dall'intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013, è stato formalmente approvato il documento contenente "Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti". Nel Documento è precisato che sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche della abitualità e professionalità nonchè che si pongano in conflitto di interessi. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con percentuale di tempo parziale pari o inferiore al 50% (con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche del conflitto di interessi. Gli incarichi che presentano i caratteri della abitualità e professionalità ai sensi dell'art. 60 del d.P.R. n. 3/57, sicché il dipendente pubblico non potrà "esercitare attività commerciali, industriali, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro". L'incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri della abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo (art. 5, d.P.R. n. 633 del 1972; art. 53 del d.P.R. n. 917 del 1986; Cass. civ., sez. V, n. 27221 del 2006; Cass. civ., sez. I, n. 9102 del 2003). Sono altresì vietati gli incarichi che, sebbene considerati singolarmente e isolatamente non diano luogo ad una situazione di incompatibilità, considerati complessivamente nell'ambito dell'anno solare, configurano invece un impegno continuativo con le caratteristiche della abitualità e professionalità, tenendo conto della natura degli incarichi e della remunerazione previsti. Ricordiamo che già la Circolare n. 3 del 19 febbraio 1997 del Dipartimento della Funzione Pubblica, aveva chiarito che le attività consentite sono un’eccezione rispetto al prevalente e generale principio di incompatibilità, con la conseguenza che il potere di autorizzazione delle amministrazioni deve essere esercitato secondo criteri oggettivi e idonei a verificare la compatibilità dell’attività extra istituzionale in base alla natura della stessa, alle modalità di svolgimento e all’impegno richiesto. Conseguentemente, le attività extra istituzionali sono da considerarsi incompatibili quando oltrepassano i limiti della saltuarietà e occasionalità. Pertanto i requisiti per autorizzare un incarico sono: - la temporaneità e l’occasionalità dell’incarico. Sono, quindi, autorizzabili le attività esercitate sporadicamente ed occasionalmente, anche se eseguite periodicamente e retribuite, qualora per l’aspetto quantitativo e per la mancanza di abitualità, non diano luogo ad interferenze con l’impiego; - la necessità che l’attività svolta non sia in conflitto con gli interessi dell’Amministrazione e con il principio del buon andamento della Pubblica Amministrazione; - la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento, con la ulteriore precisazione che l’attività deve essere svolta necessariamente al di fuori dell’orario di servizio. La carica in questione è compatibile - e quindi potrà essere concessa l'autorizzazione - se connotata da temporaneità e saltuarietà della prestazione, secondo quanto sopra precisato. ( in tal senso si potranno chiedere chiarimenti sulle modalità di effettuazione dell'incarico). Non si applica infatti la previsione dell'incompatibilità assoluta prevista per le cariche in società con scopo di lucro ( cfr. l'art. 60 sopra citato). Infatti, le società sportive dilettantistiche (SSD) rappresentano una speciale categoria di società di capitali (srl o soc. coop.), caratterizzate dall’assenza del fine di lucro e che esercitano, infatti, attività sportiva dilettantistica. Ad ogni modo non deve mai esserci la sussistenza di conflitto di interessi (es. attività della associazione con alunni delle classi del docente). In tal senso ricordiamo anche l'art. 5 del DPR 62/2013 ai sensi del quale "Nel rispetto della disciplina vigente del diritto di associazione, il dipendente comunica tempestivamente al responsabile dell’ufficio di appartenenza la propria adesione o appartenenza ad associazioni od organizzazioni, a prescindere dal loro carattere riservato o meno, i cui ambiti di interessi possano interferire con lo svolgimento dell’attività dell’ufficio. Il presente comma non si applica all’adesione a partiti politici o a sindacati".

    Data di pubblicazione: 19/12/2025

  • Gestione delle assenze cicliche di un dipendente senza rientro in servizio: copertura di festivi, sabati e domeniche e utilizzo del congedo parentale...
  • Relativamente al congedo parentale e congedo per malattia del bambino, il comma 5 dell’art. 34 del CCNL 2024 prevede che i periodi di assenza di cui ai precedenti commi 3 e 4 (congedo parentale e congedo per malattia del bambino), nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all'interno degli stessi. Tale modalità di computo trova applicazione anche nel caso di fruizione frazionata, ove i diversi periodi di assenza non siano intervallati dal ritorno al lavoro del lavoratore o della lavoratrice (prima il riferimento normativo era l'art. 12 del CCNL 2007 citato nei pareri ARAN che andiamo a riportare). Pertanto, alla luce della suddetta disposizione contrattuale, se tra due periodi di congedo parentale/ malattia del bambino non intercorre almeno un giorno di lavoro effettivo, devono essere computati o come congedo parentale o come congedo malattia anche i sabati e le domeniche ricompresi tra gli stessi. A supporto si riporta l'orientamento SCUOLA 060 del 23/05/2013. "Nel caso di assenza di un dipendente di tipo ciclica, cioè che ha inizio con un periodo di congedo parentale e termina con la fruizione dello stesso congedo, intervallato da altra tipologia di assenza, senza però che si verifichi il rientro effettivo del docente, le giornate del sabato e della domenica come devono essere computate? Si fa presente che ai sensi dell'art. 12, comma 6, del CCNL 29/11/2007 (congedi parentali) "6. I periodi di assenza di cui ai precedenti commi 4 e 5, nel caso di fruizione continuativa, comprendono anche gli eventuali giorni festivi che ricadano all'interno degli stessi. Tale modalità di computo trova applicazione anche nel caso di fruizione frazionata, ove i diversi periodi di assenza non siano intervallati dal ritorno al lavoro del lavoratore o della lavoratrice." In relazione alla nota INPS n. 19772 del 18 ottobre 2011, da voi citata, sembra chiaro, dall’esempio relativo al caso 2, che nel quesito da voi esposto ci si trovi di fronte ad un’assenza di tipo ciclica che ha inizio con un periodo di congedo parentale e termina con la fruizione dello stesso congedo, intervallato da altra tipologia di assenza, senza però che si verifichi il rientro effettivo del docente, in quanto le assenze per L. 104 ricadono all’interno di due differenti frazioni di congedo parentale senza nessuna ripresa del servizio". La citata Nota INPS n. 19772 del 18 ottobre 2011, fornisce una serie di esempi e modalità di computo del congedo. Nel caso in cui un lavoratore, con orario di lavoro articolato su cinque giorni lavorativi (c.d. settimana corta), fruisca di congedo parentale nel seguente modo: 1^ settimana: dal lunedì al venerdì = congedo parentale Sabato e domenica 2^ settimana: dal lunedì al venerdì = ferie - malattia - assenza ad altro titolo Sabato e domenica 3^ settimana: dal lunedì al venerdì = ferie o malattia o assenza ad altro titolo Sabato e domenica 4^ settimana: dal lunedì al venerdì = congedo parentale il sabato e la domenica compresi tra la seconda e la terza settimana non sono computabili, né indennizzabili a titolo di congedo parentale in quanto tali giorni - compresi in un periodo unico di congedo parentale posto che, dalla prima alla quarta settimana, non vi è ripresa dell’attività lavorativa - risultano comunque ricompresi all’interno di un periodo di assenza fruita ad altro titolo (periodo neutro ai fini di interesse). Viceversa, il sabato e la domenica ricadenti tra la prima e la seconda settimana e tra la terza e la quarta sono computabili ed indennizzabili in conto congedo parentale in quanto tali giorni cadono, rispettivamente, subito dopo e subito prima il congedo parentale richiesto. Quanto sopra vale anche nei casi in cui il lavoratore alterni congedo parentale e ferie nel seguente modo: dal martedì al giovedì = congedo parentale venerdì = ferie sabato e domenica lunedì= ferie dal martedì a giovedì = congedo parentale. Anche in tale ultima ipotesi, infatti, il sabato e la domenica non si computano a titolo di congedo parentale in quanto inclusi in un periodo, seppur breve, di ferie (venerdì e lunedì). A chiarimento di quanto sopra esposto l'INPS fornisce ancora due possibili casi: Caso 1 da lunedì a venerdì = congedo parentale sabato e domenica da lunedì a mercoledì = ferie giovedì = ripresa del lavoro Caso 2 da lunedì a venerdì = congedo parentale sabato e domenica da lunedì a mercoledì = ferie giovedì = congedo parentale venerdì = ripresa del lavoro Nel primo caso (caso 1) il sabato e la domenica rimangono evidentemente esclusi dal computo del congedo parentale in quanto la frazione di congedo termina il venerdì (infatti, successivamente alle ferie, il lavoratore riprende l’attività lavorativa). Viceversa, nel secondo caso (caso 2), il sabato e la domenica vanno conteggiati ed indennizzati in conto congedo parentale in quanto tali giorni sono compresi in un’unica frazione di congedo (dal lunedì della prima settimana al giovedì della seconda) e ricadono immediatamente dopo il congedo parentale. I criteri sopra indicati trovano applicazione anche nell’ipotesi in cui il lavoratore, avendo già richiesto un periodo di congedo parentale, presenti un’altra domanda (o diverse domande) di congedo parentale determinanti di fatto una proroga del periodo di congedo precedentemente richiesto. L'ARAN, con l'O.A. CIRS46 24 febbraio 2021 ha ulteriormente precisato che nell’ipotesi, ad esempio, che il lavoratore o la lavoratrice richiedano 4 giorni di congedo parentale (lunedì –giovedì), 1 giorno di ferie (venerdì) e successivamente altri 4 giorni di congedo parentale (lunedì – giovedì), il sabato e la domenica ricadenti nei due periodi di congedo, non essendo gli stessi intervallati dal ritorno al lavoro, sono considerati congedo parentale e conteggiati nell’ambito di tali assenze. Ciò premesso nel caso di specie, in applicazione delle indicazioni dell’INPS e dell’ARAN sopra riportate, si ritiene che all’interno dell’unico periodo di congedo parentale ininterrotto siano da imputare a congedo le giornate del 29 e 30 novembre e 13/14 dicembre.

    Data di pubblicazione: 19/12/2025

  • Un parere sulla legittimità della procedura di conferimento di supplenza a seguito di mancata reperibilità del candidato avente titolo e successiva accettazione tardiva...
  • Gentile utente, per la convocazione degli aspiranti alle supplenze dalle graduatorie di istituto il D.M. 89/2024 all'art. 9 prevede l'utilizzo della procedura informatica messa a disposizione dal SIDI che rende possibile la prospettazione della situazione di occupazione totale o parziale ovvero di inoccupazione degli aspiranti e, conseguentemente, di procedere all'interpello e convocazione dei soli aspiranti che siano nella condizione di accettare la supplenza stessa e cioè: a. se totalmente inoccupati; b. se parzialmente occupati, ai sensi delle disposizioni relative al completamento d'orario di cui all'articolo 4 del Regolamento; c. anche se occupati, se ricorra la situazione di cui all'articolo 7, comma 2, del Regolamento. L'utilizzazione di tale procedura da parte delle scuole preliminarmente ad ogni attività di interpello degli aspiranti è tassativa, ai fini di ogni possibile risparmio di attività superflue nei riguardi di aspiranti non in condizione di accettare la supplenza stessa per il periodo necessario. L'art. 10 dello stesso decreto descrive dettagliatamente l'attività di interpello dei candidati che devono comunicare la disponibilità o meno ad accettare la proposta di assunzione mediante messaggio di posta elettronica Tale messaggio con avviso di ricezione è inviato tramite posta elettronica certificata (PEC) o, in assenza di questa, tramite posta elettronica ordinaria istituzionale o privata (PEO). L'utilizzo della procedura è previsto per la convocazione di ogni tipologia di supplenza tenendo comunque conto che, per le supplenze pari o superiori a 30 giorni, la proposta di assunzione deve essere trasmessa con un preavviso di almeno 24 ore rispetto al termine utile per la risposta e con ulteriore termine di almeno 24 ore per la presa di servizio. La comunicazione relativa alla proposta di assunzione deve contenere: - dati essenziali relativi alla supplenza, ovvero la data di inizio, la durata, l’orario complessivo settimanale, distinto con i singoli giorni di impegno; - - il termine del giorno e l'ora in cui tassativamente deve avvenire la convocazione o pervenire il riscontro; le indicazioni di tutti i recapiti idonei a poter contattare la scuola da parte degli aspiranti. Nel caso di comunicazione multipla diretta a più aspiranti, tale comunicazione deve inoltre contenere: - - l'ordine di graduatoria in cui ciascuno si colloca rispetto agli altri contestualmente convocati; la data in cui sarà assegnata la supplenza di modo che, trascorse 24 ore da tale termine, tutti gli aspiranti che avevano riscontrato positivamente l'offerta e non siano risultati assegnatari della supplenza possano considerarsi sciolti da ogni vincolo di accettazione. L'utilizzazione della procedura di convocazione per posta elettronica comporta necessariamente che gli aspiranti debbano indicare nella compilazione della domanda l'indirizzo di posta elettronica (PEO o PEC). Nei casi in cui, per qualunque motivo, l'utilizzazione della funzione SIDI di convocazione possa risultare non praticabile, le scuole provvederanno alle convocazioni utilizzando le metodologie già precedentemente indicate nell'articolo 9 del DM 26 giugno 2008, n. 9, ma assicurando comunque che i contenuti della comunicazione corrispondano alle prescrizioni previste all'art. 10. Stante quanto sopra, nel caso in questione si afferma che la scuola ha inviato la comunicazione massiva ai candidati e ha ottenuto le disponibilità, quindi anche quella del candidato x. A questo punto si doveva procedere all'assegnazione della supplenza per ordine di graduatoria , comunicando tale assegnazione via mail al candidato che aveva piu punteggio. L'utilizzo del fonogramma è infatti previsto in alternativa in caso di impraticabilità dell'utilizzazione della procedura informatica che prevede in prima istanza l'uso dell'indirizzo di posta elettronica. Poichè il candidato x ha utilizzato la mail per rispondere, come da prassi , si ritiene che anche se la scuola ha agito in buona fede ci possano essere gli estremi per un ricorso dell'aspirante, che pur avendo fornito un recapito telefonico errato, ha però correttamente indicato il proprio recapito di posta elettronica, dando la propria disponibilità ad accettare la supplenza, come risulta da quanto affermato nel quesito. D'altra parte l'art. 6 del D.M. 89\024 relativo ai dati contenuto nel modulo domanda prevede che gli aspiranti debbano dichiarare: l’indirizzo, comprensivo di codice di avviamento postale, il recapito di posta elettronica ordinaria o certificata presso cui chiede di ricevere le comunicazioni relative alla procedura, nonché, facoltativamente, il numero telefonico. L’aspirante si impegna a far conoscere tempestivamente, tramite il sistema telematico, ogni eventuale variazione dei dati sopra richiamati; " Essendo l'indicazione del numero telefonico facoltativa, l'errore nella comunicazione dello stesso non può essere addotta come elemento di contestazione da parte della scuola.

    Data di pubblicazione: 19/12/2025

  • Gestione della firma di documenti protocollati durante un periodo di reggenza cessato e subentro del dirigente titolare: profili procedurali...
  • La fattispecie in esame presenta diversi profili di criticità. Sulla base delle informazioni fornite, si osserva quanto segue. In via preliminare, si ricorda che il Dirigente Scolastico subentrante assume la titolarità dell’istituzione scolastica e la responsabilità, inter alia, di sottoscrivere gli atti amministrativi pendenti, se giudicati legittimi. Tale obbligo sussiste anche per i provvedimenti antecedenti alla presa di servizio, al fine di garantire la continuità dell'azione amministrativa. Riguardo alla legittimità della firma autografa si specifica che l’art. 41 del D.lgs. n. 82 del 2005 (Codice dell'Amministrazione Digitale - CAD) stabilisce che le pubbliche amministrazioni, comprese le istituzioni scolastiche, sono tenute a gestire i procedimenti amministrativi avvalendosi delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. In virtù di tale obbligo, nell’ambito delle proprie attività, le Pubbliche Amministrazioni devono privilegiare il formato digitale. Il documento informatico, quando creato direttamente con strumenti informatici, rappresenta l'originale, mentre l’eventuale copia cartacea ne costituisce una riproduzione. Tale principio è ribadito dall'art. 23-ter del CAD, il quale dispone che gli atti formati con strumenti informatici "costituiscono informazione primaria ed originale da cui è possibile effettuare, su diversi o identici tipi di supporto, duplicazioni e copie per gli usi consentiti dalla legge". Si consideri, inoltre, che gli atti amministrativi definitivi possono aver già esaurito la loro efficacia giuridica o aver prodotto determinati effetti giuridici. In coerenza con la normativa vigente al momento della loro formazione e nel caso in cui tali documenti siano stati formati originariamente in formato analogico, si ritiene che non vi sia l’obbligo di apporre la firma digitale su atti che hanno già prodotto i loro effetti. Un provvedimento amministrativo, infatti, esplica la propria efficacia dalla data della sua emanazione, attestata dalla firma. Una volta prodotti, tali effetti non sono modificabili se non a seguito dell’avvio di un nuovo procedimento amministrativo e con il ricorso ai rimedi previsti dalla Legge n. 241/90. Premesso ciò, si procede con la formulazione del parere. Nel caso di specie, si rileva l’inapplicabilità della procedura di cui all'art. 22 del Codice dell’Amministrazione Digitale (CAD), relativa alla formazione di copie informatiche di documenti analogici. Tale impossibilità deriva dall'assenza originaria della sottoscrizione sia sulla decisione a contrarre, sia sul relativo contratto, configurando le seguenti criticità: • Mancata conclusione della procedura di evidenza pubblica: l’assenza di firma autografa o digitale sulla decisione a contrarre, unitamente alla mancata pubblicazione all'Albo, impedisce all'atto di perfezionarsi. Di conseguenza, il provvedimento è inidoneo a produrre effetti giuridici, non avendo formalmente concluso l'iter procedimentale. • Nullità del contratto per difetto di forma: la mancanza di sottoscrizione del contratto ne determina l'inesistenza de iure. Ai sensi dell'art. 18 del D.Lgs. n. 36/2023 (Codice dei Contratti Pubblici), i contratti della Pubblica Amministrazione, pur se disciplinati dallo iure privatorum, richiedono la forma scritta ad substantiam a pena di nullità. Come ribadito dalla Corte di Cassazione (Civile, Sez. II, Sent. n. 23699/2025), la volontà negoziale della Pubblica Amministrazione deve necessariamente determinarsi confluendo in un unico documento sottoscritto da entrambe le parti. Tale requisito è inderogabile e non può essere surrogato da atti interni preparatori o da comportamenti concludenti, quali il pagamento di fatture (si veda anche la Delibera ANAC n. 119/2023). • Illegittimità degli atti consequenziali: la nullità del contratto e l'inefficacia della decisione a contrarre travolgono, per derivazione, tutti gli atti successivi. Risulta pertanto privo di titolo giuridico anche l'eventuale pagamento delle fatture all’operatore economico per i corsi relativi al DM 65/2023. • Impossibilità di sanatoria retroattiva: non è giuridicamente ammissibile la firma retroattiva, digitale o analogica, di atti che non sono mai stati legalmente perfezionati. Un atto privo di sottoscrizione ab origine è un atto inesistente, non suscettibile di ratifica postuma mediante apposizione di firma con data antecedente. • Competenza e responsabilità del Dirigente subentrante: la risoluzione della controversia ricade sotto la responsabilità dell'attuale Dirigente Scolastico. Questi è tenuto a sottoporre a un rigoroso esame di legittimità e regolarità tecnica gli atti pendenti, al fine di garantire il corretto esercizio dei poteri gestionali e prevenire profili di responsabilità erariale o amministrativa connessi all'adozione di provvedimenti viziati. La soluzione prospettata nel quesito non appare percorribile, atteso che viene esplicitamente dichiarata la mancata sottoscrizione degli atti, circostanza che ne preclude il perfezionamento legale. Fermo restando l'eventuale accertamento dei profili di responsabilità in capo al dirigente uscente — il quale, pur in assenza di atti perfezionati, ha consentito che l'attività producesse effetti giuridici e vantaggi economici a favore del terzo (l'operatore aggiudicatario che ha erogato i corsi senza la previa stipula del contratto) — si pone il problema della sanatoria del rapporto di fatto. Nello specifico, per risolvere la criticità e regolarizzare la posizione dell'Amministrazione, occorre valutare le seguenti opzioni: A. Decisione a contrarre (atto amministrativo): l’assenza di sottoscrizione configura una nullità dell'atto per difetto di un elemento essenziale. È tuttavia possibile intervenire in via di autotutela, ai sensi dell'art. 21-nonies della Legge n. 241/90, mediante un provvedimento di convalida. Tale atto, opportunamente motivato, deve dare atto della sussistenza originaria di tutti gli altri elementi costitutivi (oggetto, importo, volontà di provvedere) e della volontà di sanare il vizio di forma per garantire la continuità dell’azione amministrativa e la tutela dell’affidamento dei terzi Atto a carico dell'attuale DS). B. In alternativa la punto A., l’assenza di firma sulla decisione a contrarre può essere sanata tramite un provvedimento di rettifica e integrazione. Qualora l’atto sia completo in ogni sua parte e la mancata firma risulti come un mero errore materiale o un’omissione procedurale, il Dirigente attuale può formalmente confermare la validità del contenuto, richiamando tutti gli atti preparatori che testimonino l'effettiva volontà a contrarre dell'istituzione scolastica. C. Contratto: l’acquisizione del CIG fuori dal sistema MEPA non esime dall’obbligo della forma scritta. Qualora le parti abbiano dato esecuzione alle prestazioni in assenza di un contratto formalmente sottoscritto, ma sia documentabile l'accordo raggiunto (tramite lo scambio di corrispondenza o l'accettazione del preventivo), non si può procedere a una semplice integrazione. Si suggerisce, pertanto, di adottare un provvedimento motivato di ricognizione e regolarizzazione. Con tale atto, il Dirigente scolastico dà atto dell'avvenuta esecuzione delle prestazioni, della coerenza delle stesse con l'interesse pubblico e della necessità di formalizzare il rapporto pregresso per consentire la liquidazione della spesa. Tale procedura serve a ricondurre nell'alveo della legittimità un rapporto che, altrimenti, si configurerebbe come un'obbligazione naturale o un arricchimento senza causa. Dato che il contratto è finanziato con fondi PNRR (DM 65/23), la mancanza della firma è comunque un'irregolarità grave che potrebbe essere rilevata in sede di rendicontazione. La strada della regolarizzazione motivata è, secondo il nostro parere, praticabile per tentare di mettere in sicurezza il finanziamento, dichiarando che la prestazione è stata resa correttamente e che l'omissione della firma è stata un mero errore materiale procedurale. Si raccomanda di avviare un confronto preventivo con i Revisori dei Conti sul tema. Altre soluzioni non riusciamo a trovarle.

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