Data di pubblicazione: 28/11/2025
Innanzitutto va precisato che i riferimenti normativi all'O.M. 90/2001 non sono più validi in quanto tale ordinanza è stata abrogata e superata dalle nuove disposizioni in materia di inclusione, in particolare dal Decreto Interministeriale n. 182 del 29 dicembre 2020 (che adotta il modello nazionale di PEI), dal suo correttivo 153/2023 e dal D.Lgs. n. 66/2017 e successive modifiche. Le disposizioni relative alla valutazione e alle prove equipollenti sono ora integrate nel quadro normativo più recente. La terminologia corretta e attuale, in particolare per la programmazione “semplificata” nella scuola secondaria di secondo grado che mira al raggiungimento degli standard di apprendimento nazionali, è "riferimento ai nuclei fondanti delle discipline". Il PEI deve esplicitare i criteri per la valutazione, in coerenza con quanto programmato. La richiesta di limitare le verifiche a due a settimana può trovare un fondamento se il PF/DF evidenzia condizioni che rendono un carico valutativo elevato clinicamente controindicato o inefficace. In questi casi dovrebbe essere evidenziato nella Diagnosi Funzionale o nel Profilo di Funzionamento se già operativo dati relativi a per esempio l’accertamento di un basso livello di sostenibilità dell'attenzione o una rapida insorgenza di affaticamento cognitivo (specialmente in caso di disturbi neurologici, sindromi genetiche, o quadri complessi che richiedono grande dispendio energetico per mantenere la performance). Quindi se nel PF/DF vi sono indicati tempi di elaborazione delle informazioni notevolmente rallentati, un eccesso di verifiche può impedire il consolidamento degli apprendimenti tra una prova e l'altra. Da ciò potrebbe derivare una particolare criticità allo stress e all'ansia da prestazione (soprattutto se correlata a quadri autistici o ansiosi), per cui un numero elevato di prove formali innescherebbe una reazione emotiva tale da bloccare il processo di apprendimento e la manifestazione delle competenze. In questo caso, la limitazione del numero di verifiche non è una "semplificazione", ma una misura di efficacia per garantire che l'alunna possa effettivamente dimostrare le sue competenze senza essere sopraffatta dal carico. Si consiglia di acquisire il parere del Neuropsichiatra Infantile (NPI) o di altro specialista che ha redatto o contribuito alla stesura del PF/DF. Se il NPI inserisce esplicitamente una "indicazione clinica" o una "prescrizione" nel PF/DF (o in un documento allegato) che raccomanda la limitazione del carico valutativo per motivi di salute e benessere psicofisico (es. Non sottoporre l'alunna a più di due momenti di valutazione formale a settimana), questa raccomandazione assume un peso vincolante per il GLO. I docenti e la scuola, pur mantenendo l'autonomia didattica, non possono ignorare una prescrizione clinica che impatta direttamente sulla salute e sulla gestione dello stress dell'alunna. Il GLO deve prendere atto delle indicazioni del NPI e del PF/DF. Se l'indicazione clinica è presente, il GLO ha l'obbligo di tradurla in azioni didattiche concrete all'interno del PEI (Sezione 8 - Criteri di valutazione).La misura di limitare le verifiche (a due o a un numero ritenuto clinicamente sostenibile) deve quindi essere, discussa e formalizzata come misura individualizzata nella Sezione 8 del PEI approvato dal GLO (D.I. 182/2020). La richiesta della famiglia di limitare le verifiche settimanali a due troverebbe un solido fondamento normativo e clinico solo se il Profilo di Funzionamento (PF) o la diagnosi funzionale (DF) evidenzino dati (fatica, rallentamento, ansia) che rendono il carico di 4 prove inefficace o dannoso per l'alunna con disabilità. Senza un riferimento oggettivo nel PF/DF o una prescrizione clinica, la richiesta rimane una proposta familiare che il GLO valuta, ma non è vincolante. Con la prescrizione, diventa un elemento essenziale del progetto di vita della studentessa. Si consiglia di operare sulle modalità di verifica che possono essere personalizzate e rese equipollenti, nonché sugli indicatori della valutazione.
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Data di pubblicazione: 28/11/2025
Il membro della RSU gode di una serie di diritti che sono elencati nell’art. 5, comma 4, dell’ACNQ del 12 aprile 2022. Il primo dell’elenco è il “diritto ai permessi sindacali per l’espletamento del mandato di cui all’art. 10 del CCNQ 4 dicembre 2017;”. Non si aggiunge altro, né si entra nel merito di casi specifici, quale è quello illustrato nel quesito. Il secondo riferimento utile è costituito dal Testo coordinato delle disposizioni contrattuali, pubblicato dall’ARAN nel settembre 2025, che unisce il CCNQ sulle modalità di utilizzo dei distacchi, aspettative e permessi, nonché delle altre prerogative sindacali del 4 dicembre 2017 e il CCNQ di ripartizione dei distacchi e permessi tra le associazioni sindacali rappresentative nei comparti e nelle aree di contrattazione nel triennio 2022 -2024 del 30 novembre 2023. Le parti che ci riguardano sono l’art. 3, comma 1, dove si dichiara che i membri delle RSU sono dirigenti sindacali e quindi godono dei vantaggi legati al ruolo. Particolarmente importante è l’art. 10, che al comma 1 recita: “I dipendenti con rapporto di lavoro a tempo indeterminato o determinato nei limiti della durata del rapporto di lavoro, anche con qualifica dirigenziale, che siano dirigenti sindacali ai sensi dell’art. 3 (Dirigenti sindacali), comma 1, lettere da a) ad e) hanno titolo ad usufruire nei luoghi di lavoro dei permessi sindacali retribuiti, giornalieri od orari, per l’espletamento del loro mandato.”. Al successivo comma 5 si aggiunge: “I dirigenti sindacali indicati nel comma 1 possono fruire dei permessi retribuiti loro spettanti, oltre che per la partecipazione a trattative sindacali, anche per presenziare a convegni e congressi di natura sindacale.”. Al comma 6 poi si specifica: “I permessi sindacali retribuiti, giornalieri ed orari, sono equiparati a tutti gli effetti al servizio prestato. Tale disciplina si applica anche ai permessi usufruiti per la partecipazione ai congressi, convegni di natura sindacale dai dirigenti sindacali dei comparti Istruzione e ricerca e Funzioni centrali e delle relative aree dirigenziali operanti all’estero.”. Al comma 10 si aggiunge infine: “Per i componenti delle RSU i permessi possono essere cumulati per periodi - anche frazionati - non superiori a dodici giorni a trimestre”. In quanto riportato non è fatto cenno alla specifica situazione di un docente su cattedra oraria esterna. Quindi bisogna ragionare per deduzione. Il diritto ad usufruire di permessi negli Accordi nazionali è affermato come un diritto “pieno”, quindi non condizionato da situazioni particolari. In particolare va rammentato che l’elettorato passivo, una volta limitato ai docenti di ruolo, è stato poi esteso anche ai docenti con rapporto di lavoro a tempo determinato cui sia stato conferito un incarico annuale fino al termine dell’anno scolastico o fino al termine delle attività didattiche. Inoltre, a ben guardare, si dichiara che i dirigenti sindacali hanno titolo ad usufruire nei luoghi di lavoro dei permessi sindacali retribuiti e nel caso di specie il docente condivide due luoghi di lavoro, anche se esercita il mandato di RSU soltanto in uno dei due istituti di cui è titolare di COE. I testi contrattuali citati, pertanto, non prevedono eccezioni. D’altra parte, a conferma del diritto affermato, un’eventuale non autorizzazione al permesso per la partecipazione ad un evento coincidente con il servizio presso la scuola dove il docente non è RSU costituirebbe una lesione di un diritto sindacale sancito in accordi nazionali che hanno il valore di norma. È facile dedurre che l’eventuale non autorizzazione farebbe scattare l’accusa di comportamento antisindacale. Si consiglia pertanto di autorizzare i permessi sindacali che dovessero essere richiesti. Inoltre i due dirigenti scolastici interessati alla COE dovranno scambiarsi le comunicazioni relative al monte-ore a disposizione del docente e al suo eventuale esaurimento. Sarà compito del dirigente dell’istituto nel quale il docente è membro della RSU ricevere le richieste di permesso sindacale e girarle al collega dell’altro istituto qualora ricadano nell’orario di servizio che il docente presta nella seconda scuola. Spetterà sempre al dirigente dell’istituto sede di RSU dover stabilire e comunicare il monte-ore disponibile per i permessi sindacali, tenendo presente che dovrà moltiplicare l’organico del suo istituto per il parametro di 25 minuti e 30 secondi. Da questo calcolo risulterà il monte-ore disponibile per i permessi sindacali spettanti all’intera RSU, che sarà responsabile della sua successiva ripartizione tra i suoi membri.
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Data di pubblicazione: 28/11/2025
Preliminarmente si rileva che, in via generale e di regola, le modalità di comunicazione scuola-famiglia sono rimesse alla competenza del consiglio di istituto ex art. 44, c. 5 del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019/2021. E benché della legittimità di questa disposizione pattizia si possa a buon titolo dubitare (il consiglio di istituto è organo amministrativo le cui competenze devono essere stabilite per legge o regolamento: si veda in tal senso l’ottavo comma dell’art. 10 T.U. Istruzione), essa intesta tale competenza in modo chiaro: “Per assicurare un rapporto efficace con le famiglie e gli studenti, in relazione alle diverse modalità organizzative del servizio, il consiglio d’istituto sulla base delle proposte del collegio dei docenti definisce le modalità e i criteri per lo svolgimento dei rapporti con le famiglie e gli studenti, assicurando la concreta accessibilità al servizio, pur compatibilmente con le esigenze di funzionamento dell'istituto e prevedendo idonei strumenti di comunicazione tra istituto e famiglie.” Ciò significa che gli strumenti di comunicazione – ivi comprese le modalità di acquisizione del consenso o della presa visione da parte delle famiglie circa le comunicazioni stesse – possono essere stabiliti dal consiglio di istituto in modo da rendere il servizio più accessibile. Posta questa premessa, è tuttavia necessario fare alcune precisazioni distinguendo tra le varie tipologie di comunicazioni. Muoviamo dalle uscite anticipate. La disposizione contenuta nell’art. 19-bis del D.L. n. 148/2017 induce a ritenere che i minori che abbiano compiuto i quattordici anni di età possano rientrare a casa autonomamente, senza previa autorizzazione dei genitori e senza che ciò implichi alcuna responsabilità in capo al personale dell’istituzione scolastica che lo consenta, ferma restando la previa informazione alle famiglie sugli orari della scuola. Occorre comunque tenere conto del fatto che, anche con riferimento ai minori ultraquattordicenni, potrebbero presentarsi situazioni di incapacità o di rischio tali da consigliare all’istituzione scolastica l’attivazione di particolari cautele e il mantenimento della vigilanza fino alla riconsegna ai genitori o a chi da questi delegato. Per quanto riguarda invece l’uscita “al termine dell’orario delle lezioni” dei minori di quattordici anni, essa può avvenire in autonomia solo previa autorizzazione dei genitori come disposto dal citato art. 19-bis. Quanto esposto fin qui vale in generale per le uscite "non anticipate". Circa quelle anticipate, invece, qualora le stesse si rendano necessarie per eventi eccezionali e segnino di fatto l’anticipazione del “termine dell’orario delle lezioni”, la autorizzazione all’uscita autonoma può essere acquisita mediante registro elettronico a patto che venga rispettata la procedura sotto riportata. Muoviamo dalla considerazione secondo cui l’art. 10, comma 3, lettera a) del D.Lgs. n. 297/1994 intesta al consiglio di istituto l’adozione del regolamento interno che deve, tra l'altro, stabilire le modalità per la vigilanza degli alunni durante l'ingresso e la permanenza nella scuola nonché durante l'uscita dalla medesima. In questa prospettiva, è dunque necessario che: - la questione trovi in primo luogo disciplina nel predetto regolamento (la cui adozione compete a un organo collegiale in cui risultano rappresentati anche i genitori). Risulta, cioè, necessario esplicitare in questa sede che gli studenti potranno uscire anticipatamente in modo autonomo previa informazione agli esercenti la responsabilità genitoriale e loro autorizzazione attraverso le apposite funzionalità del registro elettronico. In quella sede sarà anche necessario affermare la assoluta eccezionalità delle uscite anticipate e il fatto che esse segnino, in quegli specifici casi, il “termine dell’orario delle lezioni” la cui modificazione deve essere tempestivamente comunicata alle famiglie; - le previsioni ivi inserite vengano poi richiamate nel patto di corresponsabilità. In esso deve essere inserita infatti una clausola con la quale gli esercenti la responsabilità genitoriale si dichiarano consapevoli che, nel caso eccezionale di uscita anticipata, previa comunicazione della scuola e loro AUTORIZZAZIONE attraverso le apposite funzionalità del registro elettronico, gli studenti rientreranno presso il proprio domicilio in autonomia, fatte salve particolari situazioni che i genitori stessi sono tenuti a segnalare tempestivamente alla scuola. Nel caso delle uscite anticipate, cioè, basta che le famiglie siano preventivamente informate, ogniqualvolta se ne presenti la necessità, anche quando gli studenti sono in grado di tornare a casa autonomamente perché ultraquattordicenni. Risulta evidente, infatti, che il mantenimento di un continuo flusso informativo e comunicativo con le famiglie in questo ambito costituisce un efficace strumento per contenere i margini di contestazione al verificarsi di un infortunio. In tutti gli altri casi, tanto più nulla osta a che il consiglio di istituto – nell’ambito della competenza a lui intestata dall’art. 44, c. 5 del CCNL 2019-2021 – individui il registro elettronico come lo strumento mediante il quale portare a conoscenza dei genitori PDP, informative sulla privacy, autorizzazioni per le uscite didattiche ecc. Tuttavia, alle famiglie va utilmente richiesto – sempre in sede di patto di corresponsabilità – di verificare con puntualità le comunicazioni riportate nel registro elettronico e di non cedere le proprie password onde non ingenerare incertezza circa la provenienza delle autorizzazioni e della presa visione. La sicurezza delle comunicazioni con le famiglie tramite strumenti digitali può essere rafforzata anche mediante specifici interventi formativi da includersi anch’essi nel patto, come adesso previsto dal comma 1-ter dell’art. 5-bis D.P.R. n. 249/1998 (“1-ter. Le istituzioni scolastiche integrano il Patto educativo di corresponsabilità, definendo in maniera dettagliata le attività formative e informative che intendono programmare a favore delle studentesse, degli studenti e delle loro famiglie, con particolare riferimento all'uso sicuro e consapevole della rete internet.”) A queste condizioni si può sancire l’equivalenza della presa visione o dell’autorizzazione fornita mediante strumenti digitali rispetto alla firma analogica su documenti cartacei. Ciò significa che la scuola non incorrerà in responsabilità maggiori per il fatto di non averla acquisita.
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Data di pubblicazione: 28/11/2025
Si chiede di sapere se, in occasione della partecipazione a corsi di formazione organizzati per il personale ATA e docente, debbano essere riconosciute...
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Data di pubblicazione: 28/11/2025
Nel caso di specie nell’A.S. 2022/2023 il dipendente era stato collocato in aspettativa ex art. 59 CCNL 2007 (ora sostituito dall’art. 70 del CCNL 2024) con contestuale stipula di contratto a t.d. L’accettazione dell’incarico ex art. 59 CCNL 2007 ratione temporis vigente ha comportato l’applicazione della relativa disciplina prevista dal CCNL per il personale assunto a tempo determinato. L’art. 17, comma 1, del CCNL 2007 (non modificato dai successivi CCNL) prevede che il dipendente a tempo indeterminato assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi. Ai fini della maturazione del predetto periodo, si sommano, alle assenze dovute all'ultimo episodio morboso, le assenze per malattia verificatesi nel triennio precedente. Per quanto concerne il personale a t.d. l’art. 19, comma 3, del CCNL 2007, vigente nell’A.S. 2022/2023 ( ora cfr art. 35 CCNL 2024 che però ha confermato la medesima previsione) prevede che il personale docente ed ATA assunto con contratto a tempo determinato per l'intero anno scolastico o fino al termine delle attività didattiche, nonché quello ad esso equiparato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, assente per malattia, ha diritto alla conservazione del posto per un periodo non superiore a 9 mesi in un triennio scolastico. Pertanto, i riferimenti temporali per il periodo di comporto sono del tutto differenti tra personale a t.i. e personale a t.d.: rispettivamente diciotto mesi calcolati sommando alle assenze dovute all’ultimo periodo morboso le assenze per malattia verificatesi nel triennio precedente e periodo non superiore a 9 mesi in un triennio scolastico. Alla stessa stregua diversi sono i regimi di trattamento economico durante la malattia. Per il personale di ruolo il comma 8 del citato art. 17 prevede che il trattamento economico spettante al dipendente, nel caso di assenza per malattia nel triennio di cui al comma 1, è il seguente: a) intera retribuzione fissa mensile, ivi compresa la retribuzione professionale docenti ed il compenso individuale accessorio, con esclusione di ogni altro compenso accessorio, comunque denominato, per i primi nove mesi di assenza. Nell'ambito di tale periodo per le malattie superiori a 15 gg. lavorativi o in caso di ricovero ospedaliero e per il successivo periodo di convalescenza post-ricovero, al dipendente compete anche ogni trattamento economico accessorio a carattere fisso e continuativo; b) 90% della retribuzione di cui alla lett. a) per i successivi 3 mesi di assenza; c) 50% della retribuzione di cui alla lett. a) per gli ulteriori 6 mesi del periodo di conservazione del posto previsto nel comma 1. Per il personale a t.d. i commi 3 e 4 dell'art. 19 prevedevano che il personale docente ed ATA assunto con contratto a tempo determinato per l'intero anno scolastico o fino al termine delle attività didattiche, nonché quello ad esso equiparato ai sensi delle vigenti disposizioni di legge, assente per malattia, ha diritto alla conservazione del posto per un periodo non superiore a 9 mesi in un triennio scolastico. Fermo restando tale limite, in ciascun anno scolastico la retribuzione spettante al personale di cui al comma precedente è corrisposta per intero nel primo mese di assenza, nella misura del 50% nel secondo e terzo mese. Per il restante periodo il personale anzidetto ha diritto alla conservazione del posto senza assegni. Il comma 10 prevede che nei casi di assenza dal servizio per malattia del personale docente ed ATA, assunto con contratto a tempo determinato stipulato dal dirigente scolastico, tale personale ha comunque diritto, nei limiti di durata del contratto medesimo, alla conservazione del posto per un periodo non superiore a 30 giorni annuali, retribuiti al 50%. ( analoghe previsioni sono state mantenute dal vigente art. 35 CCNL 2024) Richiamato il quadro normativo di riferimento, pur mancando sul punto interpretazioni ufficiali da parte delle Amministrazioni competenti, riteniamo che, stante la diversità della disciplina inerente al periodo di comporto (e del trattamento retributivo) a seconda della tipologia di personale, ai fini delle assenze che sono effettuate come dipendente di ruolo non rilevano le precedenti assenze che si erano verificate durante il servizio come personale non di ruolo (dipendente in aspettativa ex art. 59 CCNL 2007). Pertanto, in riferimento alla situazione di cui al quesito, riteniamo che ai fini dell'attuale calcolo del trattamento economico spettante e del periodo di comporto non siano da conteggiare anche le assenze per malattia effettuate durante il periodo di aspettativa ex art. 59 e in vigenza di contratto a tempo determinato. Infine per quanto concerne l’ultima parte del quesito si rileva che il periodo di ricovero e di successiva convalescenza rilevano ai fini del periodo di comporto non essendo prevista alcuna deroga in tal senso (come invece avviene per l'assenza per grave patologia). Come abbiamo rilevato in precedenti risposte in argomento, ultimamente viene citata, a sostegno della tesi contraria, la sentenza della Cassazione n. 15845 del 2024 che però concerne un dipendente cui si applicava il CCNL Carta Industria. Nella motivazione della Sentenza si legge infatti che la norma contrattuale collettiva invocata esclude dal comporto, tra le altre “le assenze dovute a ricovero ospedaliero, compreso il day hospital”. Più specificamente nel caso di specie si verteva sull'applicazione del CCNL Carta Industria che testualmente prevede quanto segue "Nel computo dei limiti della conservazione del posto e del trattamento economico come sopra definiti non saranno conteggiate: a) le assenze dovute a ricovero ospedaliero, compreso il day hospital; b) le terapie salvavita; c) i periodi di assenza continuativa superiori ad un mese, entro il limite complessivo di 90 giorni". Per contro, per quanto concerne il personale scolastico, l'art. 17 del CCNL 2007 ( né tanto meno le disposizioni inerenti al personale a t.d.) non prevede alcuna disposizione specifica e quindi il periodo di ricovero e post ricovero (cui secondo l'interpretazione dell'ARAN è equiparabile il day hospital ed il day surgery) nonchè l'accesso al Pronto Soccorso rilevano ai fini del superamento del periodo di comporto non essendo previsto in merito alcun trattamento di favore come, invece, avviene – ad esempio - per le assenze per grave patologia.
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Data di pubblicazione: 28/11/2025
La recente nota MIM n. 8524 del 7 novembre u.s., seguita al comunicato ANAC del 5 novembre, sembra aver chiarito diversi aspetti dell'intricata vicenda...
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Data di pubblicazione: 28/11/2025
L’art. 53, primo comma, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del Testo Unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. L’art. 60 del DPR n. 3 citato prevede che l'impiegato non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all'uopo intervenuta l'autorizzazione del Ministro competente. Deve essere considerata come esercizio del commercio e dell’industria ogni attività imprenditoriale; deve, inoltre, essere considerato esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di presidente o di amministratore delegato di società di capitali. Non costituisce, invece, esercizio di attività imprenditoriale il ricoprire la posizione di amministratore o di presidente di fondazioni o associazioni o di altri enti senza fini di lucro. È, quindi, incompatibile con lo status di pubblico dipendente l'assunzione di cariche in società aventi scopo di lucro, che possono essere svolte soltanto previa autorizzazione dell'amministrazione di appartenenza (Corte Conti Liguria Sent. 22/10/2015, n. 83). Invece, il divieto in questione di cui all'art. 53 citato non pone limiti alla partecipazione di un pubblico dipendente in società commerciali in qualità di mero socio di capitale. Esso esclude, invece, come detto sopra, che egli possa ricoprire cariche sociali, compiere atti di amministrazione nella società, trattare o concludere affari in nome della stessa. In giurisprudenza (cfr Corte di Cassazione, sez. lav., Sent. 26/11/2012, n. 20857) è stato affermato che l'impiegato della Pubblica Amministrazione non può esercitare il commercio, l'industria, né alcuna professione, senza alcun riferimento ad attività retribuita, onde il divieto deve ritenersi assoluto, a prescindere dalla sussistenza o meno di una remunerazione, ovvero di una continuità della prestazione lavorativa diversa da quella espletata alle dipendenze della P.A.. La Corte dei Conti, con la Sentenza n. 9 del 7 maggio 2019, ha affermato che per un dipendente pubblico a tempo indeterminato è assolutamente vietata l’attività di amministratore unico di una società di capitali, in quanto carica sociale palesemente e testualmente vietata e non autorizzabile ex art. 60, d.P.R. n. 3 del 1957, richiamato dall’art. 53, co.1, D.Lgs. n.165 del 2001 (che, nel caso di specie, tra l’altro, era stata svolta non in modo occasionale ma sistematico). La giurisprudenza della Corte dei Conti è molto rigida in materia Il dipendente pubblico non può assumere incarichi di amministrazione in società di capitali. Sussistendo un divieto assoluto di legge, l'attività non è neanche autorizzabile dall' amministrazione di appartenenza. ( Corte Conti Umbria n. 60 del 2022). La Corte dei Conti della Sardegna, con la Sentenza n. 130/2024, ha ribadito i suesposti principi. Il Consiglio di Stato ha affermato che non vale ad escludere la situazione d'incompatibilità di un pubblico dipendente, che eserciti un'attività imprenditoriale, il fatto che egli eserciti regolarmente il suo lavoro, in quanto la norma d'incompatibilità mira anche a salvaguardare le energie lavorative del dipendente stesso, ai fini di un miglior rendimento nei confronti della p.a. datrice di lavoro (cfr. Consiglio Stato sez. V sent. 13 gennaio 1999, n. 24). Come già rilevato in precedenti risposte in argomento, a nostro avviso, la titolarità di un'attività commerciale resterebbe vietata anche nel caso si trattasse di part time non superiore al 50%. A queste conclusioni era giunto anche l'USR Emilia-Romagna nella Nota 2456 del 9 febbraio 2007. Nel Parere citato viene precisato che la titolarità di una attività commerciale resta assolutamente vietata all’intera categoria dei dipendenti, così come risulta vietata, per la medesima categoria, la possibilità di accettare cariche in società costituite a fine di lucro. Il citato art. 53, al comma 1, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del testo unico approvato con d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, salva la deroga prevista dall'articolo 23-bis del presente decreto, nonché, per i rapporti di lavoro a tempo parziale, dall'articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 17 marzo 1989, n. 117 e dagli articoli 57 e seguenti della Legge 23 dicembre 1996, n. 662. Il comma 56 dell'art. 1 della Legge n. 662 del 1996 prevede che le disposizioni di cui all'articolo 58, comma 1, del decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 (ora art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001), e successive modificazioni ed integrazioni, nonché le disposizioni di legge e di regolamento che vietano l'iscrizione in albi professionali non si applicano ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno. Ai sensi del successivo comma 58, la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale può essere concessa dall'amministrazione entro sessanta giorni dalla domanda, nella quale è indicata l'eventuale attività di lavoro subordinato o autonomo che il dipendente intende svolgere. L'amministrazione, entro il predetto termine, nega la trasformazione del rapporto nel caso in cui l'attività lavorativa di lavoro autonomo o subordinato comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso in cui la trasformazione comporti, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, pregiudizio alla funzionalità dell'amministrazione stessa. La trasformazione non può essere comunque concessa qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica. Il dipendente è tenuto, inoltre, a comunicare, entro quindici giorni, all'amministrazione nella quale presta servizio, l'eventuale successivo inizio o la variazione dell'attività lavorativa. Il CCNL Scuola all'art. 39, comma 9, del CCNL 2007 (non modificato sul punto dal CCNL 2024) prevede che al personale docente in part time interessato è consentito, previa motivata autorizzazione del dirigente scolastico, l'esercizio di altre prestazioni di lavoro che non arrechino pregiudizio alle esigenze di servizio e non siano incompatibili con le attività d'istituto. Dall'analisi della normativa di cui alla Legge n. 662 del 1996 e delle disposizioni del CCNL si evince che il riferimento è alla attività di lavoro autonomo o subordinato. Conclusivamente, abbiamo in precedenza ritenuto che vi fosse incompatibilità tra status di dipendente pubblico (seppur in part time non superiore al 50%) e l'attività commerciale o di amministratore di società. Per completezza si deve però rilevare che, come appreso anche durante i nostri corsi di formazione, da parte di alcuni Uffici Scolastici vi è negli ultimi tempi una interpretazione più estensiva sulla questione di cui al quesito (compatibilità o meno della attività commerciale in caso di dipendente con part time non superiore al 50%) Ad esempio l'USR Piemonte con la Nota 12437 del 26 agosto 2022 ha ribadito la regola dell’incompatibilità assoluta con riferimento al personale scolastico, sia a tempo pieno che parziale con prestazione lavorativa superiore al 50%, è posta dall’art. 508, comma 10, d.lgs 297/1994 (Testo unico Istruzione) rispetto all’esercizio di attività commerciali, industriali e professionali ovvero svolte alle dipendenze di soggetti privati o, ancora, comportanti l’accettazione di cariche in società costituite a scopo di lucro. ( in senso analogo cfr la Nota operativa USR Sicilia n. 21198 del 31 agosto 2020) Pertanto, il dipendente se a tempo pieno (o con part time superiore al 50%) non può esercitare attività commerciale mentre se in part time non superiore al 50% i recenti orientamenti di cui abbiamo detto sopra ammettono la possibilità di autorizzazione. In tal senso si muove anche la recente giurisprudenza. Ad esempio (cfr Cassazione civile sez. lav., 18/07/2022, n.22497 seppur con riferimento ad un dipendente di un ente locale) ha affermato che i dipendenti pubblici con un part time non superiore al 50% possono instaurare rapporti con altri enti anche in assenza di autorizzazione da parte della pubblica amministrazione di appartenenza. Nella motivazione si richiama Cass., Sez. L, n. 28757 del 7 novembre 2019, "In tema di pubblico impiego privatizzato, alla stregua della disciplina di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 (applicabile "ratione temporis"), D.P.C.M. n. 117 del 1989, art. 6, comma 2, e della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 58-bis, si deve escludere che i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale superiore al 50 per cento possano essere implicitamente autorizzati, in via generale, allo svolgimento di attività extralavorativa retribuita, in quanto la normativa in esame consente una deroga al principio di incompatibilità in caso di svolgimento di lavoro part-time solo quando il lavoratore svolga una prestazione ad orario ridotto non superiore al 50 per cento" (per lo sviluppo giurisprudenziale in materia, cfr. Cass., Sez. L, n. 8642 del 12 aprile 2010)". Conclusivamente, nel caso di specie, al netto di eventuali indicazioni specifiche da parte dell'USR di riferimento, riteniamo che l'attività in questione possa essere autorizzata dal DS stante che trattasi di docente con part time non superiore al 50% fermo restando che la suddetta attività non dovrà interferire con gli obblighi di servizio ordinari della dipendente e non dovranno sussistere situazioni di conflitto di interesse neanche a livello potenziale.
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Data di pubblicazione: 27/11/2025
Si ritiene che l’interpretazione formulata nel quesito sia corretta e che il docente in questione non sia tenuto alla ripetizione del periodo di formazione e prova, non solo in virtù del passaggio della Nota MIM prot. n. 202382 del 26/11/2024 citato ma anche in virtù del fatto che la medesima Nota esclude dalla ripetizione del periodo di prova i “docenti che abbiano già svolto il periodo di formazione e prova o il percorso FIT ex DDG nello stesso grado di nuova immissione in ruolo sia su posto comune che di sostegno”. Una simile affermazione non lascia spazio a dubbi interpretativi e conferma le conclusioni a cui si era pervenuti nel quesito.
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Data di pubblicazione: 27/11/2025
Per quanto concerne le assenze per visite specialistiche (nel caso di specie possiamo ricomprendervi anche la prestazione ambulatoriale di cui al quesito) occorre distinguere a seconda se trattasi di personale docente o ATA in quanto si applicano normative diverse. Per quanto concerne il personale docente il comma 5-ter dell’art. 55-septies del D.Lgs. 165/2001 novellato dalla legge 125 del 30 ottobre 2013, recita che “Nel caso in cui l'assenza per malattia abbia luogo per l'espletamento di visite, terapie, prestazioni specialistiche od esami diagnostici il permesso è giustificato mediante la presentazione di attestazione, anche in ordine all'orario, rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione o trasmessa da questi ultimi mediante posta elettronica”. La suddetta norma rappresenta la disciplina generale in tema di assenze per visite specialistiche; si applica al personale docente mentre per il personale ATA rileva l'art. 69 del CCNL 2024 che ha introdotto specifici permessi orari per un ammontare complessivo di 18 ore all'anno. Più specificamente l'art. 69 del nuovo CCNL 2024 disciplina esclusivamente per il Personale ATA le assenze per l'effettuazione di visite specialistiche mentre per il Personale Docente (cui non è applicabile detto articolo) rimane in vigore la disciplina di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001 nell'interpretazione post Sentenza del TAR Lazio n. 5714 del 2015 che aveva annullato la Circolare della F.P. n. 2 del 2014 (quindi imputazione, a scelta del dipendente, dell'assenza alla malattia o ad altri istituti contrattuali quali ferie, permessi brevi ex art. 16 CCNL 2007 o permessi per motivi personali ex art. 15 CCNL 2007). Il MIUR, con la Nota n.7457 del 06/05/2015, ha precisato che, nelle more della rivisitazione della disciplina (che però ha riguardato, come detto sopra, solo il personale ATA), le assenze dal servizio per visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici devono essere ricondotte esclusivamente alla disciplina normativa di cui all'art. 55 septies, comma 5 ter, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 che regola le assenze per malattia dei dipendenti pubblici per l'espletamento di tali prestazioni. Quindi, allo stato attuale, per il personale docente, l’assenza per l’effettuazione di visite, prestazioni specialistiche e terapie può essere ricondotta a malattia e, in tali casi, è giustificata con la presentazione di un'attestazione (che indichi anche l'orario) rilasciata dal medico o dalla struttura, anche privati, che hanno svolto la visita o la prestazione. Non è quindi richiesto anche il certificato del medico curante. La necessità che l'attestazione indichi anche l'orario deriva dalla applicazione della disposizione di cui all'art. 55 septies, comma 5-ter sopra richiamato, ma non inerisce alla circostanza che la visita debba svolgersi necessariamente in orario scolastico per poter essere imputata a malattia. Se, quindi, il docente ha chiesto che l'assenza a visita specialistica venga ricondotta a malattia sarà sufficiente presentare l’attestazione della struttura presso la quale le cure sono effettuate e l'assenza, essendo imputata a malattia, si riferisce all'intera giornata. Il DS non ha possibilità di sindacare la struttura o il medico presso cui sono svolte dette prestazioni. Ad ogni modo non potrà essere ricondotta a malattia l'assenza relativa alle giornate di viaggio. In merito ai giorni di viaggio, la Circolare Ministeriale n. 301 del 27 giugno 1996 avente ad oggetto “Artt. 19, 21, 23, 24, 27, 28, 51 e 71 del CCNL del personale del comparto Scuola (Sottoscrizione 4 agosto 1995) - Perplessità interpretative” ha precisato che, nel caso di assenza per visita specialistica con fruizione del trattamento ex art. 23 del CCNL (cioè l'assenza dal servizio per malattia), il dipendente ha diritto ad assentarsi per il tempo strettamente necessario all'effettuazione della prestazione sanitaria, ivi compresi i giorni eventualmente richiesti per il viaggio. Tuttavia l'ARAN, con il successivo O.A. 26 settembre 2017 M_263, in merito alle assenze dal servizio per visite mediche, terapie, prestazioni specialistiche ed esami diagnostici, ha affermato che dette assenze, imputabili alla malattia, sono esclusivamente preordinate all'effettuazione delle suddette terapie o accertamenti diagnostici, con la conseguenza che i giorni di viaggio per recarsi presso la struttura sanitaria prescelta non possano essere ascrivibili alla malattia stessa. Pertanto, il dipendente, per i suddetti giorni di viaggio, dovrà fare ricorso agli altri istituti contrattuali previsti in materia di assenza dal lavoro.
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Data di pubblicazione: 27/11/2025
In premessa non si può che ribadire l’obbligo per le istituzioni scolastiche di provvedere all’erogazione dell’attività alternativa. Obbligo mai revocato in dubbio e che, non a caso, può essere assolto anche attraverso la nomina di personale a tempo determinato che viene retribuito mediante ruoli di spesa fissa (si veda da ultimo la Nota USR Friuli Venezia Giulia prot. n. 14737 del 18/09/2024). Tanto premesso, occorre dunque affrontare la questione dell’individuazione dei docenti incaricati di dette attività nella scuola primaria. Secondo la C.M. n. 61 del 18/07/2012 relativa all’adeguamento dell’organico di diritto alla situazione di fatto, “le economie derivanti dalla scelta da parte delle famiglie del modello orario di 24 ore settimanali o dalla mancata effettuazione dell’intero orario da parte del docente della classe, in dipendenza dell’ impiego del docente di religione e/o del docente specialista di lingua inglese, nonché da eventuali risorse di organico rese disponibili a livello regionale, concorrono prioritariamente ad assicurare il tempo mensa alle classi organizzate con rientri pomeridiani, a programmare e organizzare le attività educative e didattiche in base al piano dell’offerta formativa e ad assicurare l’insegnamento dell’ora alternativa alla religione cattolica. Le quattro ore residuate dalle 44 ore settimanali delle classi a tempo pieno, equivalenti all’orario frontale di due docenti per classe, comunque disponibili nell’organico di istituto, potranno essere utilizzate per l’ampliamento del tempo pieno sulla base delle richieste delle famiglie, nonché per la realizzazione di altre attività volte a potenziare l’offerta formativa (compreso il tempo mensa per le classi che attualmente praticano i rientri pomeridiani), nonché assicurare l’insegnamento dell’ora alternativa alla religione cattolica”. Simili affermazioni sono coerenti con: - il disposto dell’art. 4, c. 7, D.P.R. n. 89/2009 secondo cui “Le maggiori disponibilità di orario derivanti dalla presenza di due docenti per classe, rispetto alle 40 ore del modello di tempo pieno, rientrano nell'organico d'istituto”; - quanto stabilito nella Nota del MEF – Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato, prot. n. 26482 del 07/03/2011 che ha fornito chiarimenti in merito alla gestione economica delle ore alternative all’IRC. Essa precisa infatti che dette ore devono essere affidate, prioritariamente, al personale interamente o parzialmente a disposizione della scuola, ovviamente da non confondere con gli insegnanti cui sono attribuite attività di potenziamento. Secondo la Nota MIM prot. n. 93862 del 17/04/2025 sulla determinazione degli organici del personale docente per l’anno scolastico 2025/2026, infatti, “Le attività di potenziamento introdotte dalla L. 107/2015, finalizzate al raggiungimento di obiettivi formativi individuati come prioritari, sono da ritenersi comuni a tutti gli alunni e quindi, analogamente a quanto avviene per quelle curriculari, devono restare estranee alle attività alternative all’insegnamento della Religione cattolica.” Il dirigente scolastico deve dunque individuare i docenti di attività alternative nella scuola primaria prioritariamente tra quelli assegnati alle classi/sezioni, secondo le indicazioni soprariportate. Se ciò non risulta possibile – come nel caso descritto nel quesito – occorre procedere a detta individuazione seguendo le indicazioni contenute nella Nota del MEF del 2011 sopracitata secondo cui, in caso di indisponibilità di “personale interamente o parzialmente a disposizione della scuola”, il dirigente scolastico deve rivolgersi nell’ordine a: “docenti dichiaratisi disponibili ad effettuare ore eccedenti rispetto all'orario d'obbligo; personale supplente già titolare di altro contratto con il quale viene stipulato apposito contratto a completamento dell'orario d'obbligo; personale supplente appositamente assunto, non potendo ricorrere ad una delle ipotesi sopra specificate.” Tuttavia, nella scuola primaria non è possibile attribuire ore eccedenti l’orario d’obbligo, come ricorda proprio, da ultimo, la Nota USR Piemonte prot. n. 17764 del 29/09/2025, secondo cui: “Riguardo ai docenti di scuola dell’infanzia e di scuola primaria, si richiama la Deliberazione della Sezione Regionale di Controllo per il Piemonte della Corte dei Conti n. 50 del 2014 che esclude la possibilità di superare, con il conferimento delle ore eccedenti, un orario di cattedra di complessive 24 ore settimanali.” Del resto, ciò trova conferma nell’art. 2, c. 4 dell’O.M. n. 88/2024 che prevede l’attribuzione di spezzoni pari o inferiori a sei ore “fino al limite di 24 ore settimanali come ore aggiuntive oltre l’orario d’obbligo” solo nella scuola secondaria. Dunque, venuta meno una simile possibilità, occorre ricorrere alla copertura delle ore di alternativa disponibili con personale docente avente diritto al completamento o, in subordine, mediante personale a tempo determinato appositamente assunto. In entrambi i casi, al ricorrere dei presupposti previsti e fin qui illustrati, il dirigente scolastico può legittimamente procedere all’assegnazione di dette ore o a titolo di completamento o mediante nomina di personale a tempo determinato, così come affermato nella Nota Mef del 2011.
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Data di pubblicazione: 27/11/2025
Assistente Amm.va a TD fino al 30 giugno per 18 ore sett.li part time verticale, giorni di servizio mercoledì/giovedì/venerdì, sistematicamente chiede a settimane...
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Data di pubblicazione: 27/11/2025
Gentile utente, nel caso sottoposto la supplente ha diritto al riconoscimento solo economico del sabato e della domenica, avendo completato tutto l'orario di servizio settimanale di 18 ore, ma non al riconoscimento giuridico, in quanto la supplenza è cessata di venerdì, senza alcuna proroga al lunedì successivo. Questa fattispecie è stata già chiarita dal MIM nella circolare n. 13650/2013 sulle retribuzioni del personale della scuola, che fa riferimento alle disposizioni degli artt. 40 e 60 del CCNL 2026/2009 tuttora vigenti e che sono anche ribadite nella più recente circolare annuale sulle supplenze n. 157048/2025. La circolare n. 13650 precisava che: "1) Art. 40, comma 3 (personale docente ed educativo) e art. 60, comma 2 (personale ATA) Per effetto di tali disposizioni il dipendente che completi tutto l’orario settimanale ordinario ha diritto al pagamento della domenica ai sensi dell’art. 2109, comma 1 del Codice Civile. Inoltre, come precisato dall’ARAN, in risposta a specifico quesito, la previsione contrattuale si estende al pagamento del sabato qualora risulti giorno libero del dipendente. Per orario ordinario deve intendersi 25 ore settimanali nella scuola dell’infanzia, 24 ore nella scuola primaria, 18 ore nella scuola secondaria, 30 ore nelle istituzioni educative, da svolgere in non meno di 5 giorni settimanali, e 36 ore per il personale ATA. Ai fini dell’applicazione della disposizione in questione l’orario settimanale può essere stato effettuato anche in più scuole ma purché si riferisca al medesimo grado di scuole per il personale docente ed educativo e al profilo della medesima area per il personale ATA. In caso di completamento dell’orario ordinario in più scuole il pagamento della domenica e dell’eventuale sabato libero sarà disposto dall’ultima scuola di servizio che vi darà luogo previe le necessarie notizie fornite dai dirigenti scolastici interessati e dal supplente interessato circa i precedenti servizi settimanali e le opportune verifiche della scuola medesima." Quanto sopra è confermato nelle faq messe a disposizione dal Sidi sul pagamento del sabato e domenica, in particolare nella faq n. 31 che indica: "31. COME VA COMUNICATO PER LE SUPPLENZE BREVI IL DIRITTO AL PAGAMENTO DEL SABATO E DOMENICA O DELLA SOLA DOMENICA SUCCESSIVI AL TERMINE DEL CONTRATTO? L’eventuale diritto al pagamento del sabato e domenica o della sola domenica, nel caso di sabato/domenica successivi al termine del periodo contrattuale, va segnalato esclusivamente con l’apposita selezione dal menù a tendina in fase di inserimento del contratto. Tale diritto andrà indicato nell’ultimo contratto stipulato, dall’ultima scuola di servizio che vi dà luogo, nei casi e secondo le modalità previste dalla specifica normativa (vedi anche Nota DGPER n. 13650 del 18.12.2013), previe le opportune verifiche e le necessarie notizie fornite dai dirigenti scolastici interessati, nonché dal supplente, circa i precedenti servizi settimanali. Si ricorda che ad ausilio di tale attività di verifica è possibile consultare i rapporti di lavoro del dipendente svolti presso altre scuole mediante la funzione “Elenchi”. Se in fase di stipula del contratto è stato selezionato il pagamento Sab/Dom successivi al termine del contratto, nel prospetto D-1 l’importo di tale pagamento è valorizzato nella voce a parte, denominata “importo lordo per sabato/domenica”, in quanto non ricompreso nella voce “importo lordo." Nel caso sottoposto esistono gli estremi normativi per il riconoscimento solo economico del sabato e della domenica. Per completezza normativa si precisa che il D.M. 131/2007 è stato superato dalla nuove disposizioni che disciplinano le supplenze riferite alla legge 41/2020 e alle successive ordinanze ministeriali biennali, di cui l'ultima è l'O.M. 88/2024.
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Data di pubblicazione: 27/11/2025
Mentre non è in discussione il fatto che l’affidamento delle uscite didattiche debba essere connotato dalla massima tutela della sicurezza, l’applicazione del D.L. 127/2025 ora convertito in legge suscita, in effetti e tuttora, qualche perplessità: in massima parte, la ragione sottesa dipende dal fatto che la norma non indica quali sono i requisiti minimi per l’aggiudicazione, ma si limita a indicare i settori potenzialmente attributivi di punteggio tecnico (“in tali casi, le stazioni appaltanti, incluse le centrali di committenza, valorizzano gli elementi qualitativi dell'offerta sulla base di criteri oggettivi idonei ad attestare la disponibilità di sistemi e dispositivi per la sicurezza del trasporto, per l'accessibilità e il trasporto di persone con disabilità, nonchè le competenze tecniche dei conducenti”). Nel breve periodo e salve ulteriori modifiche (dovute al fatto che anche la nomenclatura delle caratteristiche tecniche varia da zona a zona), a seguito di una prima indagine su quali elementi possano essere scrutinati per l’attribuzione di punteggio tecnico, ci stiamo assestando sui seguenti punti: - non riteniamo sia possibile, per l’impresa, dichiarare genericamente di avere i requisiti di cui al D.L. 127/2025, visto che la norma non si occupa di definire una soglia minima di sufficienza, ma si limita ad indagare quali siano i settori di riferimento (sicurezza, disabilità, capacità tecnica del conducente); - non riteniamo parimenti possibile affidare il compito della selezione ad un’agenzia di viaggi, trattandosi di una probabile esternalizzazione di una funzione pubblica vietata ai sensi dell’art. 43 comma terzo D.I. 129/2018, e ciò a prescindere dal pagamento; - fra gli elementi utili ai fini dell’attribuzione del punteggio tecnico (70 punti) stiamo valutando: a) l’anzianità media del parco mezzi a disposizione, con punteggi diversi per i mezzi di proprietà e i mezzi altrimenti disponibili per l’operatore economico; b) la disponibilità di strumentazione di sicurezza (AEBS, ACC, LKA/LDW, ecc.) su almeno il 50% dei mezzi; c) piani di sanificazione; d) piani di manutenzione ordinaria e straordinaria dei mezzi; e) classi di emissioni di almeno metà degli automezzi nel caso di punteggio superiore a zero; f) certificazioni di capacità in capo ad almeno la metà dei conducenti (PBLS, corsi di sicurezza e antincendio, ecc.); g) la disponibilità delle pedane per il trasporto per i lotti specifici nelle quali siano necessarie; sul punto, vale la pena sottolineare che la norma non sembra fare eccezioni sull’attribuzione del punteggio, che sembra necessaria in tutti i casi e che pare costituire un elemento di affidabilità dell’operatore economico al di là della singola esigenza; h) disponibilità di automezzi di scorta o sostitutivi; i) tutele assicurative aggiuntive, se compatibili con quelle dell’Istituzione Scolastica; l) proposte migliorative. Ciò detto, le risposte ai quesiti sono: - la normativa impone la comparazione anche quando la cifra è al di sotto della soglia degli affidamenti diretti: anche nel dossier preparatorio del D.L. 127/2025 si legge “Quindi per i servizi ad alta intensità di manodopera non è mai utilizzabile il criterio del minor prezzo, né sopra né sotto la soglia di rilevanza comunitaria, nemmeno se standardizzati”; - l’unico modo di attribuire punteggio agli elementi indicati dal D.L. 127/2025 è l’offerta economicamente più vantaggiosa; - l’unico strumento di negoziazione su MePA che consente l’applicazione del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa è l’RDO evoluta. Siamo consapevoli del fatto che il D.L. 127/2025, così come è stato scritto, impone oneri notevoli alle Istituzioni Scolastiche, così come siamo consapevoli del fatto che esiste un’interpretazione che esclude l’applicazione della norma sotto soglia. La nostra preoccupazione, in questa fase, è che non applicare la norma comporti potenziali conseguenze assicurative, che vorremmo evitare, in attesa di una lettura più confortante da parte di una delle Autorità che si sono pronunciate sul punto nelle ultime settimane.
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Data di pubblicazione: 27/11/2025
Gentile utente, nel caso sottoposto la proroga della supplenza spetta alla supplente A che ha preso servizio e subito dopo si è assentata per congedo parentale. Il congedo parentale ( prima astensione facoltativa) secondo il costante orientamento del Consiglio di Stato è equiparato all'astensione obbligatoria per maternità , essendo lo stesso un naturale prolungamento della prima. Infatti la sentenza del Consiglio di Stato n. 5797\2007 interveniva sulla materia stabilendo che: «Come è noto, l’art.6 della legge n. 1204 del 1971 dispone espressamente, con formula generale ed onnicomprensiva, che i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità devono essere computati nell’anzianità di servizio “a tutti gli effetti”. In ordine all’astensione facoltativa il successivo articolo 7 dispone che i periodi di assenza “sono computati nell’anzianità di servizio, esclusi gli effetti relativi alle ferie ed alla tredicesima mensilità o alla gratifica natalizia”. Come questo Consiglio ha già avuto modo di rilevare (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 26 aprile 2002, n. 2254), le norme appena richiamate sanciscono una completa equiparazione anche del periodo di astensione facoltativa all’effettiva prestazione di servizio con l’unica eccezione, non suscettibile di interpretazione estensiva o di manipolazione analogica, degli effetti, estranei alla fattispecie che interessa, delle ferie, della tredicesima mensilità e della gratifica natalizia. Questa lettura del dato normativo è confortata dalla ratio dell’istituto di che trattasi. La circostanza che l’astensione facoltativa si atteggi per definizione a frutto di libera scelta dell’interessata non toglie, infatti, che l’astensione facoltativa è rivolta alla tutela della prole, ossia al soddisfacimento di esigenze intimamente compenetrate, in un’ottica di naturale continuazione, con la tutela della maternità naturale posta a fondamento dell’astensione obbligatoria. Ne deriva che sia il dato letterale sia l’omogeneità della ratio, escludono, in assenza di indicazione legislativa discriminante, la praticabilità di un approccio ermeneutico volto a differenziare, sotto profili diversi da quelli evidenziati ex lege, la computabilità dell’astensione obbligatoria e di quella facoltativa alla stregua di servizio effettivamente prestato (così, Cons. Stato, sezione VI, 26 aprile 2002, n. 2254; Cons. Stato, sezione VI, 9 aprile 2000. n. 2038; sezione II, parere 17 ottobre 1990; vedi anche più in generale Cons. Stato, sezione VI, 16 maggio 2001, n. 2760)». Sulla base di tale consolidato orientamento , si ritiene che alla supplente A spetti la proroga della supplenza, poichè il congedo di cui ha usufruito è considerato effettivo servizio. e in caso di ulteriore richiesta di congedo sia da parte della collaboratrice titolare che della supplente A, la proroga spetta alla supplente B anch'essa in congedo parentale. Per quanto riguarda l'obbligo dell'assunzione in servizio, si ritiene che esso non sussista , essendo la proroga una continuazione del contratto principale in cui le supplenti hanno già formalizzato l'assunzione con la presa di servizio fermo restante i termini previsti per la richiesta di congedo di nell'art. 34 comma 6 del CCNL scuola 2024 che indica: "6. Ai fini della fruizione, anche frazionata, dei periodi di astensione dal lavoro, di cui all'art. 32, comma 1, del d.lgs. n.151 del 2001, la lavoratrice madre o il lavoratore padre presentano la relativa domanda, con l’indicazione della durata, all'ufficio di appartenenza di norma cinque giorni prima della data di decorrenza del periodo di astensione. La domanda può essere inviata anche per mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento o altro strumento telematico idoneo a garantire la certezza dell’invio nel rispetto del termine minimo di cinque giorni. Tale disciplina trova applicazione anche nel caso di proroga dell'originario periodo di congedo. 7. In presenza di particolari e comprovate situazioni personali che rendano impossibile il rispetto della disciplina di cui al precedente comma 6, la domanda può essere presentata entro le quarantotto ore precedenti l'inizio del periodo di astensione dal lavoro."
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Data di pubblicazione: 26/11/2025
Premesso che il nostro istituto comprensivo ha adottato da diversi anni la settimana corta su 5 giorni lavorativi, con chiusura del sabato, si chiede...
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Data di pubblicazione: 26/11/2025
Gentile utente, nel caso sottoposto il collaboratore scolastico non può licenziarsi dal contatto attuale per il quale ha preso servizio come docente di sostegno di scuola primaria, senza incorrere nelle sanzioni previste dall'art. 14 comma 1 lettera b) dell'O:M: 88\2024. Il collaboratore infatti, nel momento in cui ha richiesto aspettativa dal ruolo nel suddetto profilo professionale di personale ata è d un docente supplente fino alla scadenza dell'aspettativa e soggetto alla normativa che disciplina il personale docente a tempo determinato, cioè l'O.M. 88\2024 , che ha disposto l'aggiornamento delle graduatorie provinciali di supplenza e delle graduatorie di istituto. L'art. 14 comma 1 lettera b) della suddetta ordinanza prevede che: "b) l’abbandono del servizio comporta la perdita della possibilità di conseguire supplenze di cui all’articolo 2, comma 5, lettere a) e b), sia sulla base delle GAE che delle GPS, nonché, in caso di esaurimento o incapienza delle medesime, sulla base delle graduatorie di istituto, per tutte le classi di concorso/tipologie di posto di ogni grado di istruzione per l’intero periodo di vigenza delle graduatorie medesime." Le supplenze di cui all'art. 2 lettere a)e b) dell'ordinanza sono quelle annuali fino la 31\08 e quelle fino al termine delle attività didattiche fino al 30\06. Il collaboratore attualmente docente, abbandona do la supplenza sul posto di sostegno con contratto fino al 30\06, anche se nominato in sede di interpello per esaurimento delle GPS e delle graduatorie di istituto, non può conseguire altre supplenze sia sulla base delle GAE che in base alle graduatorie di istituto e agli interpelli per tutte le classi di concorso o tipologie di posto in ogni grado di istruzione fino all'anno scolastico 2026\2027, in cui scade il periodo di vigenza delle attuali graduatorie . Si precisa che in base alle disposizioni della circolare annuale sulle supplenze n. 157048/2025 le procedure di interpello, che sono attivate in caso di esaurimento delle GPS e delle graduatorie di istituto, sono soggette alle stesse regole delle citate graduatorie, comprese le sanzioni di cui all'art. 14 dell'O.M. 88/2024.
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Data di pubblicazione: 26/11/2025
Gentile utente, occorre preliminarmente ricordare che gli aspetti retributivi, previdenziali e fiscali riguardanti il personale della scuola sono di diretta competenza del MEF/RTS/NoiPA, in quanto ufficio preposto al pagamento degli emolumenti, anche nella veste di sostituto d'imposta. Pertanto, non essendo previsto alcun adempimento afferente la competenza dell'istituzione scolastica, sarebbe necessario che eventuali richieste e/o sollecitazioni in merito venissero rivolte dal docente stesso direttamente al soggetto che provvede ai pagamenti. Ad ogni buon conto, rispondiamo con ordine alle diverse domande poste nel quesito. E necessario, innanzitutto, precisare che, come previsto dalla legge di Bilancio 2023 (art. 1, c. 283 L. 197/2022, che ha aggiunto l’art. 14.1 al D.L. 4/2019 convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26), il docente, avendo compiuto i 67 anni (età per la pensione di vecchiaia), ha superato il periodo di "incumulabilità" previsto dalla Quota 103. Pertanto, può percepire interamente sia la pensione che il reddito da lavoro dipendente senza che la pensione venga sospesa o decurtata. Per quanto concerne l’inquadramento stipendiale, il docente percepirà il trattamento economico tabellare iniziale previsto dal CCNL Scuola per il personale a tempo determinato (gradone 0-8). Infatti, indipendentemente dall'anzianità maturata prima del pensionamento, il rapporto di lavoro che si instaura tramite MAD (o graduatorie) post-quiescenza è giuridicamente un nuovo contratto, che nello specifico è a tempo determinato.. In merito alle ritenute, il fatto di essere pensionati non esonera dal versamento dei contributi obbligatori sul nuovo lavoro dipendente. Le ritenute saranno quelle normalmente previste per i contratti a tempo determinato, ovvero: Ritenute Previdenziali (INPS - ex INPDAP): Il docente è soggetto alla normale contribuzione previdenziale carico del dipendente (aliquota ordinaria, attualmente l'8,80% per la gestione pubblica). Da evidenziare che tali contributi non vanno "persi". Il docente potrà richiedere in futuro un supplemento di pensione (dopo 5 anni dalla data di decorrenza della pensione o dall'ultimo supplemento, oppure una tantum dopo 2 anni se è l'unica volta) per valorizzare questa nuova contribuzione. Fondo Credito (0,35%): Trattenuta obbligatoria per i dipendenti pubblici. Ritenute Fiscali (IRPEF e Addizionali): Verranno applicate le aliquote IRPEF scaglionate in base al reddito presunto derivante solo da questo contratto (salvo diversa richiesta del docente). La norma non prevede agevolazioni fiscali specifiche. Il reddito da pensione e il reddito da lavoro dipendente si sommeranno in sede di dichiarazione dei redditi (Modello 730 o Redditi PF), formando un unico reddito complessivo. Aggiungiamo infine che, per evitare un conguaglio fiscale elevato, sarebbe opportuno consigliare al docente di richiedere espressamente al MEF/NOIPA: Di non applicare le detrazioni per lavoro dipendente (poiché probabilmente già usufruisce delle detrazioni per pensione sull'assegno INPS, e spesso non sono cumulabili oltre certe soglie). Oppure, di applicare direttamente un'aliquota IRPEF maggiorata (ad esempio fissa al 35% o 43% a seconda del suo reddito pensionistico), così da abbattere il debito in sede di 730.
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Data di pubblicazione: 26/11/2025
Un docente chiede di fruire di 6 giorni di ferie per motivi personali come i 3 giorni di permesso art. 15 del CCNL. Nell'autodichiarazione non vuole...
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Data di pubblicazione: 26/11/2025
Nel caso in cui le dimissioni dei due genitori fossero state accolte dal consiglio in data antecedente al giorno di inizio della procedura elettorale, di cui all’O.M. 215/1991, in riferimento ai giorni delle elezioni fissati dal direttore dell’USR, si sarebbero dovute tenere le elezioni suppletive secondo la tempistica della citata O.M. Nel caso di dimissioni accolte in data successiva, non è possibile dar luogo a elezioni suppletive secondo una calendarizzazione difforme rispetto a quella determinata in base alla data fissata dal direttore dell’USR. Le elezioni, per la copertura dei seggi lasciati liberi dai dimissionari, si svolgeranno il prossimo anno scolastico. A nulla rileva, sotto il profilo giuridico, che la rappresentanza dei genitori nel consiglio di istituto sia per il corrente anno scolastico sottodimensionata rispetto alla composizione originaria. Si fa presente a conferma di quanto sopra che, secondo la previsione dell'art. 37 del D.Lgs. 297/1994, “l’organo collegiale è validamente costituito anche nel caso in cui non tutte le componenti abbiano espresso la propria rappresentanza”.
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Data di pubblicazione: 25/11/2025
Gentile utente, effettivamente il regime corretto è TFR. E' necessario richiedere flussi a variazione al MEF dal 1° ottobre 2012 in poi, l'istituzione scolastica dovrà procedere con la modifica del regime dal 01/01/2006 al 30/09/2012 sostituendo OPTANTE con TFR ed inserire le retribuzioni valutabili e teoriche tabellari TFR dal 14/09/2000 al 31/12/2005 oltre che inserire il regime TFR in tali periodi.
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Data di pubblicazione: 25/11/2025
Il tema delle ripetenze degli alunni con disabilità è disciplinato dalla normativa in modo approfondito e negli ultimi anni sono intervenute anche sentenze in merito che hanno definito con più precisione le decisioni da adottare. È ovvio che una richiesta dei genitori di un alunno con disabilità di far ripetere l’anno non è sufficiente per adottare una simile decisione, ma tale scelta deve basarsi se possa o no giovare al ragazzo oppure recargli un grave pregiudizio da un punto di vista di crescita psicofisica che l’impedimento al passaggio al grado superiore potrebbe causare all'alunno. Il trattenimento di un alunno con disabilità può essere previsto se vi sono concreti motivi che devono emergere in sede di Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione. La ripetenza degli alunni con disabilità è disciplinato dalla L. 104/1992, dal d.Lvo 16.4.1994, n.297 e dal dlgs 62/2017. Si ricorda che “per gli alunni con disabilità certificata ai sensi della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si procede alla valutazione sulla base del piano educativo individualizzato (PEI)”. Pertanto, in sede di GLOI sentite tutte le figure previste dal DI 182/2020 e dal suo correttivo DI 153/2023, come modificate e integrate dal d.lgs. 66/2017 e dal recente d.lgs. 96/2019, può essere adottata la decisione di un’eventuale ripetenza dell’alunno con disabilità con motivazioni adeguate che poggiano su una fondata analisi clinico – evolutiva dello studente. A parere dello scrivente, si sconsiglia la ripetenza perché la scuola deve garantire una crescita “negli apprendimenti scolastici”, secondo le effettive capacità di ciascuno. Stando ai più recenti protocolli clinici e pedagogici, di norma è consigliabile inserire il ragazzo con disabilità in un gruppo classe dell’età anagrafica a lui più vicina. Il corretto sviluppo evolutivo, infatti, lo si raggiunge con il gruppo dei pari. In questo caso, il ragazzo con disabilità avrebbe già dovuto frequentare le scuole secondarie di secondo grado. In base al d.lgs. 62/2017, al D.M. n° 741/17 e alla Nota ministeriale esplicativa prot. n° 1865/17 gli studenti con disabilità hanno diritto al diploma conclusivo del primo ciclo, purché effettuino l’esame su tutte le materie, anche se svolti con prove differenziate, perché basate sugli obbiettivi del proprio PEI e volte a verificare “il progresso dell’alunno in rapporto alle sue potenzialità e ai livelli di apprendimento iniziali”. Una ripetenza di un alunno con disabilità, in particolare se sono previsti percorsi curricolari non globalmente corrispondenti alla programmazione della classe, non trova adeguate motivazioni didattico - educative, poiché la normativa prevede le ripetenze solo per far raggiungere allo studente gli obiettivi essenziali previsti dai singoli consigli di classe in un tempo più lungo, mentre il PEI personalizzato non pone questo specifico traguardo e deve essere adattato alle reali capacità dello studente con disabilità. Si ricorda che le decisioni prese in sede di GLOI debbano poi essere ratificate nello scrutinio finale al termine dell’anno scolastico. Purtuttavia, è possibile non ammettere lo studente alla classe successiva nell'interesse esclusivo dell’alunno stesso, a condizione che tale decisione sia supportata da adeguate motivazioni didattiche e da una precisa procedura. La normativa di riferimento sull'inclusione (L. 104/92 e D.Lgs. 66/2017) impone di agire sempre nel migliore interesse dello studente. Far frequentare il grado superiore senza la preparazione minima necessaria per affrontare quel contesto, o quando il cambiamento di ambiente è ritenuto dannoso per l'equilibrio psicofisico, potrebbe giustificare la decisione di una ripetenza. La non ammissione deve essere un atto formale, non discrezionale, basato su una documentata valutazione didattica. Il Gruppo di Lavoro Operativo (GLO) deve essere convocato per analizzare l'attuazione del Piano Educativo Individualizzato (PEI) e valutare gli obiettivi raggiunti. Si deve verificare e documentare in particolare che gli obiettivi di autonomia e comunicazione stabiliti dal PEI non sono stati raggiunti in misura sufficiente a garantire un inserimento proficuo nel nuovo contesto della Scuola Secondaria di II grado ed evidenziare se ci sono altri aspetti da tenere in considerazione, per esempio, se in base all’ICF vi siano ostacoli a un inserimento ambientale nuovo e non adeguato alle caratteristiche psicofisiche dell’alunno con disabilità. Fondamentale è l’acquisizione del parere del neuropsichiatra. Infine, il CdC, nella seduta di scrutinio finale, deve formulare una proposta motivata di non ammissione. La motivazione deve essere estremamente dettagliata e non può limitarsi al mancato raggiungimento degli obiettivi disciplinari (dato che si tratta di condizione di disabilità avente necessità di sostegno intensivo). Deve invece concentrarsi sulla decisione di non ammissione deve essere facendo riferimento al dlgs 62/2027 e alla normativa sulla valutazione, che consente la non ammissione in casi eccezionali e motivati, applicandolo con la flessibilità richiesta dall'inclusione.
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Data di pubblicazione: 25/11/2025
Come redazione e in generale, il personale ATA a tempo determinato con un contratto di 6 ore settimanali (lavora solo il venerdì) è da considerare come un dipendente in part-time verticale. Al riguardo, in diversi Orientamenti per altri Comparti (cfr. M24 -M19 del 24/05/2011 comparto Ministeri), l’ARAN precisa che "il permesso per matrimonio, il congedo parentale, i permessi per maternità e i permessi per lutto, spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi (vedi art. 23, comma 11, del CCNL integrativo del 16 maggio 2001 del Comparto Ministeri)." Elemento comune a tutti questi istituti è la modalità con cui essi vengono conteggiati, ossia facendo riferimento ai giorni di calendario e non ai giorni lavorativi rientranti nel periodo richiesto. Di conseguenza, in caso di part-time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato e i permessi sono computati con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno. La stessa ARAN, con l’O.A. 13 aprile 2021 CIRS79, specificatamente per il comparto scuola, per quanto concerne l’esatto computo del periodo di congedo parentale chiesto da un dipendente a tempo determinato in regime di part time verticale, ha ribadito che il calcolo di tale periodo di assenza deve effettuarsi tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nel periodo di congedo richiesto. Tuttavia ciò premesso, si ribadisce che non ci sono precise regole contrattuali per il personale scolastico, quindi, alla luce degli Orientamenti ARAN sopra citati, in caso di part-time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato e il congedo (sia parentale che per malattia del bambino) è computato con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno. Pertanto, secondo questi orientamenti le assenze dovute a congedo parentale e malattia del bambino si computano tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nell’intero periodo richiesto. In caso di fruizione frazionata, il periodo di congedo verrà calcolato partendo dal primo giorno lavorativo e concludendo con l’ultimo giorno lavorativo precedente l’effettivo rientro in servizio. Infatti, come detto nelle nostre ultime risposte in argomento, dal momento che non viene previsto il riproporzionamento, teoricamente il dipendente dovrebbe essere considerato in congedo per tutta la durata del periodo richiesto e ciò vale per tutti i periodi di congedo parentale indipendentemente se indennizzati o meno. Per evitare ciò le domande di assenza del dipendente dovrebbero e possono essere riferite solo alle giornate in cui ha servizio a scuola e non per un intero periodo temporale. Pertanto, in riferimento al caso di specie, se la dipendente ha presentato una unica richiesta di assenza a titolo di congedo parentale dal 20 novembre 2025 al 20 febbraio 2026, sarà considerata assente - a titolo di congedo – per l’intero periodo in cui avrebbe avuto servizio a scuola e, quindi, a nostro avviso anche la procedura SIDI è corretta.
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Data di pubblicazione: 25/11/2025
Come già sostenuto in altre risposte presenti in banca dati, l’orario del supplente temporaneo deve seguire quello del titolare sostituito. Ciò significa che, in caso di personale ATA, se il titolare svolge un orario di 7 ore e 12 minuti giornalieri, anche il supplente rispetterà tale orario; in caso di personale docente della scuola dell’infanzia invece, il supplente sarà tenuto a svolgere l’orario di 5 ore giornaliere al pari del sostituito. Infatti l’orario assegnato al personale non è funzionale alle esigenze del lavoratore ma a quelle organizzative della istituzione scolastica: è dunque il dirigente scolastico a stabilire l’organizzazione del servizio cui il personale deve attenersi e questa non varia a seconda del fatto che esso sia erogato continuativamente da personale titolare oppure da personale nominato con incarichi di supplenza breve e temporanea. Si tenga infine presente che il riposo settimanale spetta – per l’appunto – se il supplente completa l’orario settimanale del titolare, come disposto dall’articolo 40, comma 3 e dall’articolo 60, comma 2 del CCNL 29/11/2007, tuttora vigenti, secondo cui “Nel caso di completamento di tutto l’orario settimanale ordinario, si ha ugualmente diritto al pagamento della domenica ai sensi dell’articolo 2109, comma 1, del codice civile”.
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Data di pubblicazione: 25/11/2025
Una docente dell'istituto ha terminato in data 30 settembre 2025 un congedo straordinario per dottorato di ricerca svolto presso un'università...
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Data di pubblicazione: 25/11/2025
L'Accordo Stato-Regioni del 17 aprile 2025 – “Accordo, ai sensi dell’articolo 37, comma 2, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, tra il Governo, le regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, finalizzato alla individuazione della durata e dei contenuti minimi dei percorsi formativi in materia di salute e sicurezza, di cui al medesimo decreto legislativo n. 81 del 2008”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 maggio 2025 – introduce importanti modifiche alla formazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro. In particolare, ha previsto la formazione obbligatorie riservata ai datori di lavoro ai sensi dell’art. 37 del decreto legislativo n. 81 del 2008. In ambito scolastico essa riguarda tutti i dirigenti a capo delle istituzioni. Fino all’entrata in vigore dell’Accordo detti dirigenti erano tenuti a riceverla solo nell’ipotesi in cui svolgessero direttamente i compiti del servizio di prevenzione e protezione ai sensi dell’articolo 34 del D.lgs. n. 81 del 2008. A regime la formazione obbligatoria ha una durata minima di 16 ore, mentre l’aggiornamento deve essere effettuato con cadenza quinquennale e con durata minima di 6 ore, in relazione agli specifici compiti in materia di salute e sicurezza del lavoro assunti. Resta fermo che i corsi in materia di sicurezza già effettuati, se conformi all’Accordo del 17 aprile 2025, sono considerati pienamente validi. In via generale e di regola, spetta all’Amministrazione l’erogazione di tale formazione ai dirigenti scolastici, in coerenza con l’articolo 24 del CCNL dell’area “istruzione e ricerca” 2016-2018 il cui comma 2 dispone che “[…] la formazione e l'aggiornamento professionale del dirigente sono assunti dalle amministrazioni come metodo permanente teso ad assicurare il costante aggiornamento tecnico e lo sviluppo delle competenze organizzative e manageriali necessarie allo svolgimento efficace del ruolo. Le iniziative di formazione sono destinate a tutti i dirigenti, compresi quelli in distacco sindacale.” L’Amministrazione, qui rappresentata dall’Ufficio Scolastico Regionale di riferimento, deve dunque farsi carico di provvedere a detta formazione obbligatoria per tutti i dirigenti scolastici avvalendosi di enti qualificati affinché sia svolta in conformità con la normativa vigente. I commi 4 e 5 del medesimo articolo, inoltre, specificano che gli interventi formativi, secondo le singole finalità, devono prevedere sia contenuti di formazione al ruolo sia contenuti specialistici in correlazione con specifici ambiti e funzioni su cui insiste l’azione dirigenziale. A tal fine, l’amministrazione, secondo i rispettivi strumenti di bilancio e le specifiche sfere di autonomia e di flessibilità organizzativa ed operativa, definisce annualmente le risorse da destinare ai programmi di aggiornamento e di formazione dei dirigenti tenendo conto dei propri obiettivi di sviluppo organizzativo, dell’analisi dei fabbisogni formativi e delle direttive generali in materia di formazione. La direttiva più recente del Ministro della Pubblica Amministrazione in materia di valorizzazione delle persone e produzione di valore pubblico attraverso la formazione è quella del 14 gennaio 2025. In essa, viene ricordato che “Numerose discipline di settore hanno previsto, nel tempo, specifici piani o obblighi formativi, declinati in termini generali o quali requisiti di qualificazione per lo svolgimento di determinate funzioni, per l’efficace realizzazione di alcune attività amministrative e, più in generale, il rafforzamento della capacità amministrativa. Ciò, in ossequio al principio generale secondo il quale la programmazione autonoma, da parte delle amministrazioni, delle attività formative correlate ai propri specifici fabbisogni, è bilanciata dal dovere di pianificare ed attuare interventi formativi previsti e imposti dalla legge o da altre fonti normative, generali e di settore. Senza pretesa di esaustività, in questa sede si richiama l’obbligatorietà, per tutte le amministrazioni, della formazione in materia di: a) attività di informazione e di comunicazione delle amministrazioni (l. n. 150 del 2000, art. 4); b) salute e sicurezza sui luoghi di lavoro (d.lgs. n. 81 del 2008, art. 37); c) prevenzione della corruzione (l. n. 190 del 2012, art. 5); d) etica, trasparenza e integrità; e) contratti pubblici; f) lavoro agile; g) pianificazione strategica.” La Direttiva evoca esplicitamente il dovere di ciascuna amministrazione di porre in essere interventi formativi “previsti e imposti dalla legge o da altre fonti normative, generali e di settore” e, tra le iniziative obbligatorie per tutte le amministrazioni pubbliche, cita anche quelle in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro di cui all’articolo 37 del D.lgs. n. 81/2008 oggetto della novella nell’ambito dell’Accordo Stato-Regioni del 17 aprile 2025. Tuttavia, qualora l’Amministrazione non provvedesse a ciò oppure nel caso in cui il dirigente scolastico, richiesto formalmente al proprio Ufficio Scolastico Regionale l’accesso al percorso formativo per datori di lavoro, acquisisse in modo altrettanto formale riscontro negativo a tale istanza, a parere della redazione egli potrebbe disporne le relative spese a carico del bilancio dell’istituzione scolastica. Infatti, considerata la necessità di adempiere al nuovo obbligo formativo introdotto dal citato Accordo e tenuto conto che trattasi di spese che lo Stato dovrebbe comunque sostenere a fronte del vincolo normativo da cui discende, si ritiene che il dirigente, così facendo, non incorra nel rischio di determinare alcun danno erariale.
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