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    Data di pubblicazione: 14/11/2025

  • Aspettativa per motivi personali e di studio nel part-time verticale: criteri di calcolo dei giorni e compatibilità con altre attività lavorative...
  • Una dipendente in regime di part time verticale su 3 giorni lavorativi chiede aspettativa dal 10.11.205 al 10.07.2025. Tolta 8 mesi. E' stato effettuato...

    Data di pubblicazione: 14/11/2025

  • Un parere in merito alla conservazione delle verifiche originali e alle procedure di accesso agli atti da parte delle famiglie...
  • Si risponde di seguito ai quesiti formulati. 1) Le verifiche, in quanto atti amministrativi, non possono essere inviate ai genitori a casa in originale. Tale affermazione è corretta. L’originale delle verifiche non deve essere consegnato alle famiglie, poiché documento amministrativo che l'istituto ha l'obbligo di detenere stabilmente. Per tale si intende infatti, ai sensi dell’art. 22, c. 1, lettera d) della legge n. 241/1990, “ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti, anche interni o non relativi ad uno specifico procedimento, detenuti da una pubblica amministrazione e concernenti attività di pubblico interesse, indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale”. Come risulta chiaro, quindi, il “documento amministrativo” non è solo quello formato dall’amministrazione ma anche quello da essa detenuto in relazione a un’attività di pubblico interesse come è, pacificamente, il procedimento di valutazione degli alunni in cui le verifiche scritte si inseriscono. Acclarato che queste ultime costituiscono documento amministrativo, esse non possono che essere sottoposte alla disciplina prevista per detti documenti, non solo dal punto di vista dell’accesso, ma anche della conservazione e scarto. Ciò significa, in altri termini, che le verifiche sono accessibili con le modalità e nei termini previsti dalla legge n. 241/1990 e dal D.P.R. n. 184/2006 e devono essere conservate e scartate secondo quanto disposto dal Massimario di conservazione e scarto delle istituzioni scolastiche disponibile al link: https://www.istruzione.it/responsabile-transizione-digitale/allegati/MI%20-%20RTD_Gestione%20documentale_Massimario%20di%20conservazione%20e%20scarto_versione%20finale.pdf. Riguardo agli elaborati delle prove scritte, grafiche e pratiche degli alunni (esclusi quelli prodotti per l’esame di Stato), ivi si dispone infatti: “Scartabili dopo un anno, conservando illimitatamente a campione una annata ogni 10”. E lo scarto deve avvenire con le modalità riportate nello stesso Massimario che non contemplano la consegna a privati. 2) La richiesta di visione delle prove va fatta tramite procedura di accesso agli atti per consentire alle scuole di effettuare tabulazione registro accessi da inserire nel sito. Il procedimento di accesso agli atti è la modalità che garantisce la tracciabilità degli accessi stessi. Tuttavia, la normativa prevede anche forme semplificate e l'interesse del genitore è particolarmente tutelato. Il diritto di accesso presuppone che il richiedente sia portatore di "un interesse diretto, concreto e attuale", corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento. I soggetti esercenti la responsabilità genitoriale hanno per principio diritto a conoscere gli atti e i documenti della carriera scolastica del figlio e la richiesta, in tal caso, non necessita di una specifica motivazione, essendo funzionale al diritto/dovere dei genitori di vigilare sull’istruzione dei figli. Per quanto riguarda le modalità, esistono due forme di accesso: 1. accesso informale (art. 5, D.P.R. n. 184/2006). Qualora non ci siano controinteressati (come nel caso delle verifiche del proprio figlio), l'accesso può essere esercitato in via informale, anche con richiesta verbale o tramite messaggistica o diario (come previsto dal regolamento dell'istituto). La richiesta viene accolta "immediatamente e senza formalità" mediante esibizione del documento o estrazione di copie, ovvero altra modalità idonea. L'invio di scansioni o fotografie tramite registro elettronico rientra in questa modalità semplificata e idonea a soddisfare il diritto di accesso. Si ritiene, in buona sostanza, che il regolamento di istituto sia conforme alla disciplina normativa dell’accesso (informale), con l’unica eccezione della possibilità di disporre “per i docenti che lo ritengano opportuno, la consegna a casa e il successivo ritiro delle verifiche.” Nell’ottica dell’accesso informale ma soprattutto in vista di non alimentare ulteriori polemiche con le famiglie, che – come detto – hanno per principio diritto di accesso alle verifiche dei propri figli, può per il momento risultare pure accettabile una richiesta iniziale che copra l'accesso per l'intero anno scolastico, cercando di bilanciare la legalità formale (necessità di un procedimento di accesso) con l'economicità e l'efficacia richieste per l'attività amministrativa. Ovviamente, a poco a poco, il procedimento di accesso dovrà essere attuato nella sua interezza e, dunque, i genitori saranno richiesti di formulare la richiesta di accesso, di volta in volta. Si suggerisce tuttavia di attuare questo successivo passaggio con gradualità (ad esempio, a partire dal prossimo anno scolastico) per non alimentare, come detto, le polemiche; 2. accesso formale (art. 6, D.P.R. n. 184/2006). Si ricorre a questa modalità solo se non è possibile l'accoglimento immediato o se sorgono dubbi sulla legittimazione, sull'interesse o sull'accessibilità. Per quanto riguarda poi la corretta tenuta del registro degli accessi, esso non è strumento obbligatorio. La delibera ANAC n. 1309/2016 lo prevede nell’ottica di favorire il monitoraggio, principalmente delle richieste di accesso civico, ma resta comunque rimessa all’apprezzamento dell’amministrazione la soluzione tecnico-organizzativa ritenuta più efficace a questo riguardo. Anche da tale punto di vista, comunque, si conferma che – gradualmente – i genitori devono essere condotti, attraverso una opportuna modifica del regolamento di istituto che lo conformi a quello della scuola sull’accesso, a formulare richiesta di volta in volta. In tal modo sarà più semplice tenere conto delle richieste pervenute e dell’esito relativo. Ovviamente, si richiama alla necessità che nel manuale di gestione documentale della scuola si riporti quanto previsto per il monitoraggio di simile istanze, in alternativa al loro inserimento sul registro degli accessi (report semestrali dei docenti, ad esempio o rilevazione dei dati mediante registro elettronico). In conclusione, il regolamento di istituto detta disposizioni coerenti con la disciplina dell’accesso informale, applicabile alla fattispecie di cui al quesito; deve invece essere esclusa – come già detto – la possibilità di consegnare alle famiglie gli originali delle prove. 3) Ogni delibera e, in questo caso quella del nostro regolamento che prevede una determinazione contraria alla norma è nulla. L’affermazione è fondata. Una delibera o un regolamento interno che contravvenga ai principi fondamentali del diritto amministrativo in materia di accesso e conservazione degli atti è illegittimo e annullabile per violazione di legge (art. 21-octies della legge n. 241/1990). Nel caso di specie, il regolamento di istituto contiene la seguente previsione illegittima: 1. "Resta possibile, per i docenti che lo ritengano opportuno, la consegna a casa e il successivo ritiro delle verifiche": Questa clausola, se interpretata nel senso di permettere l'uscita dell'originale dalla disponibilità dell’istituzione scolastica, contrasta con il principio di conservazione del documento amministrativo presso l’amministrazione e con la disciplina del diritto di accesso. Pertanto, le disposizioni del regolamento d'istituto citate sono illegittime e annullabili per violazione di legge. Occorre poi tenere conto del fatto che il regolamento interno là dove offre una modalità di accesso "informale" (messaggistica o diario per scansione) contraddice il regolamento interno sull’accesso che richiede una procedura formale di accesso agli atti. Sebbene l'accesso informale sia previsto dalla legge, il conflitto normativo interno crea incertezza sulla procedura da seguire. Purtuttavia, poiché sono sicuramente scaduti i termini di impugnazione dell’atto invalido, ovvero il regolamento di istituto (termini che si compendiano in 60 giorni dalla sua pubblicazione), entrambi i regolamenti (di istituto e sull’accesso) sono attualmente in vigore e inoppugnabili benché contrastanti: occorre dunque un intervento dell’organo collegiale che li ha adottati affinché essi vengano allineati tra di loro e alla legge n. 241/1990. Alla luce di quanto fin qui detto, si procede dunque a rispondere agli ulteriori due quesiti circa la regolamentazione da adottare e la condotta che i docenti possono tenere per garantire trasparenza e tempestività della valutazione: - le azioni intraprese dalla scuola e volte a garantire l’accesso con modalità semplificate al testo delle verifiche mediante il registro elettronico appaiono conformi alla normativa sull’accesso informale; - le uniche disposizioni del regolamento di istituto che devono essere espunte riguardano la possibilità di consegnare alle famiglie l’originale delle prove e la possibilità di presentare un’unica istanza di accesso, all’inizio dell’anno, anche per tutte le prove e per tutte le discipline. La richiesta di accesso agli atti richiede comunque la valutazione sull’attualità dell’interesse, anche quando presentata in via informale e dai genitori. Per questo le richieste devono essere formulate di volta in volta e non in via preventiva e generalizzata. Ciò richiede l’adozione di una delibera del consiglio di istituto che modifichi l’attuale disposto del regolamento. Tale delibera deve essere tuttavia attuata gradualmente per non alimentare polemiche (ad esempio, facendone decorrere l’efficacia dal prossimo anno scolastico); - anche le azioni intraprese dalla scuola per assicurare trasparenza e tempestività della valutazione appaiono congrue (incremento dei colloqui periodici, possibilità di rendere disponibile copia delle verifiche effettuate su accesso informale e mediante registro elettronico così come durante i colloqui con i docenti). Si potrebbe aggiungere anche la necessità di commentare in classe le prove, dedicando almeno parte della lezione alla discussione degli errori più frequenti e – prima ancora – consegnando agli studenti il testo della prova somministrata o trascrivendolo/caricandolo sul registro elettronico, in modo che sia visibile a tutte le famiglie e disponibile per la rielaborazione dei suoi contenuti da parte dello studente. Non deve dimenticarsi, infatti, che la prima restituzione della valutazione deve avvenire proprio nei suoi confronti: è lui a dover comprendere per primo le motivazioni poste a base di una certa valutazione. Non solo; la scuola deve prevedere modalità di recupero delle competenze carenti e una restituzione delle prove di tal genere può esservi ricondotta nella misura in cui consente di “ritornare” sulle competenze non ancora acquisite. Essa deve tuttavia essere condivisa con il collegio dei docenti e trasposta nel PTOF tra quei “criteri” e quelle “modalità” della valutazione che spetta all’organo collegiale deliberare (cfr., ad esempio, art. 1, c. 2, D.Lgs. n. 62/2017). Una volta recepita nel PTOF questa modalità più articolata di “restituzione” delle prove, essa risulterà vincolante per tutti i docenti e contribuirà alla trasparenza della valutazione. Si rileva infine che il riportare la questione all’interno del consiglio di istituto – in vista della modifica del regolamento – può aprire la strada a una condivisione con le famiglie a tutto tondo delle misure adottate dalla scuola per consentire la trasparenza e la tempestività della valutazione, anche in forza della competenza intestata al medesimo consiglio dal comma 5 dell’art. 44 del CCNL comparto istruzione e ricerca 2019-2021 (“Per assicurare un rapporto efficace con le famiglie e gli studenti, in relazione alle diverse modalità organizzative del servizio, il consiglio d’istituto sulla base delle proposte del collegio dei docenti definisce le modalità e i criteri per lo svolgimento dei rapporti con le famiglie e gli studenti, assicurando la concreta accessibilità al servizio, pur compatibilmente con le esigenze di funzionamento dell'istituto e prevedendo idonei strumenti di comunicazione tra istituto e famiglie.”) In altri termini, la discussione in consiglio di istituto delle modalità di accesso alle prove contribuisce alla condivisione delle soluzioni adottate sul punto con le famiglie stesse e può condurre anche alla individuazione di ulteriori misure “compensative” della mancata consegna delle prove originali mediante la definizione di ulteriori strumenti di comunicazione scuola-famiglia.

    Data di pubblicazione: 14/11/2025

  • La gestione dell’uscita degli alunni durante lo sciopero del personale scolastico...
  • L’accordo Aran-organizzazioni sindacali del 2 dicembre 2020 prevede la seguente procedura. "5. L'istituzione scolastica comunica alle famiglie nelle forme adeguate (ad esempio, siti internet, comunicazioni via email, registro elettronico), almeno cinque giorni prima dell'inizio dello sciopero, le seguenti informazioni: a) l'indicazione delle organizzazioni sindacali che hanno proclamato l'azione di sciopero, le motivazioni poste a base della vertenza di cui all'art. 10, comma 1, unitamente ai dati relativi alla rappresentatività a livello nazionale, alle percentuali di voti, in rapporto al totale degli aventi diritto al voto, ottenuti da tali organizzazioni sindacali nelle ultima elezione delle RSU avvenuta nella singola istituzione scolastica, nonché alle percentuali di adesione registrate, a livello di istituzione scolastica, nel corso di tutte le astensioni proclamate nell'anno scolastico in corso ed in quello precedente, con l'indicazione delle sigle sindacali che hanno indetto tali astensioni o vi hanno aderito; b) l'elenco dei servizi che saranno comunque garantiti; c) l'elenco dei servizi di cui si prevede l'erogazione, anche sulla base delle comunicazioni rese ai sensi del comma 4 e/o delle informazioni di cui alla lett. a).” Come richiamato nelle circolari con cui il MIM comunica alle istituzioni scolastiche gli scioperi proclamati, è sulla base delle informazioni di cui al punto a) del soprariportato art. 5 dell’Accordo, nonché – a nostro avviso- tenendo opportunamente conto di altre fondate previsioni personali, che il dirigente fa una “valutazione prognostica” del servizio che potrà essere erogato il giorno dello sciopero. Conseguentemente comunica alle famiglie il servizio che sarà erogato secondo i punti b) e c) dell’art. 5., secondo la riprogrammazione dello stesso. Detto questo, venendo alla questione posta nel quesito, se il dirigente prevede che in alcune classi il servizio sarà svolto fino alle 10 o alle 11 potrà/dovrà comunicare alle famiglie di quelle classi, per tempo e con tutti i mezzi a disposizione, che le lezioni avranno termine alla predetta ora: e questa è la procedura corretta che mette la scuola al riparo da responsabilità. I genitori assumeranno le loro decisioni circa la frequenza o meno del /la figlio/a. Non è conforme alle predette disposizioni, invece, anche ai fini dell’esonero da responsabilità, una comunicazione “generica” alle famiglie circa la mera “possibilità” che gli alunni minorenni, una volta ammessi a scuola, siano congedati anticipatamente in un’ora intermedia rispetto all’orario ordinario o a quello riprogrammato.

    Data di pubblicazione: 14/11/2025

  • Un parere sulla compatibilità tra l'incarico di supplenza breve per un docente già impiegata part-time presso un Ente Locale...
  • Il comma 6 dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che la normativa in materia di incompatibilità disciplinata dal medesimo articolo si applica ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, oltre che dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero professionali. Pertanto, un temperamento “soggettivo” del principio di esclusività risulta dalle disposizioni contenute nella legge 23 dicembre 1996 n. 662, recante norme di razionalizzazione della finanza pubblica, laddove, all’art.1 comma 56 e seguenti viene consentito ai dipendenti pubblici con prestazione di lavoro part-time non superiore al 50% di quella a tempo pieno di svolgere attività libero- professionale ed attività di lavoro subordinato o autonomo. In tali ipotesi, pertanto, il cumulo di rapporto lavorativo viene legislativamente consentito, con la conseguenza che, per i dipendenti in regime di tempo parziale, non superiore al 50% di quello a tempo pieno, le disposizioni di cui all’art. 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001, nonché quelle contenute in leggi o regolamenti che vietano l’iscrizione in albi professionali, risultano inapplicabili. Va, tuttavia, precisato che ai sensi dell’art. 1, comma 58, della legge n. 662/96, l’attività lavorativa subordinata, prestata in aggiunta a quella intercorrente con l’amministrazione scolastica, non può, in alcun caso, essere costituita con altra amministrazione pubblica. In argomento, si è pronunciato anche il Dipartimento della Funzione Pubblica con parere del 15 dicembre 2005 n.220/05 avente ad oggetto “quesito su regime incompatibilità dipendenti pubblici in regime di tempo parziale”, con il quale è stato ribadito che, al di fuori del regime previsto per i dipendenti in regime di tempo parziale non superiore al 50 % di quello a tempo pieno, al personale è fatto divieto di svolgere qualsiasi altra attività di lavoro subordinato o autonomo tranne che la legge o altra fonte normativa ne prevedano l'autorizzazione rilasciata dall'amministrazione di appartenenza e l'autorizzazione sia stata concessa. Per quanto concerne i dipendenti della Scuola detta disposizioni il CCNL 2007 all' art. 58 comma 9 per il Personale ATA ed all'art. 39 comma 9 con riferimento ai docenti ( detti articoli non sono stati modificati dal CCNL Istruzione e Ricerca del 2024). La Cassazione, con la Sentenza del 18/07/2022 n° 22497, ha affermato che i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale superiore al 50 per cento non possono essere implicitamente autorizzati, in via generale, allo svolgimento di attività extralavorativa retribuita, in quanto la normativa in esame consente una deroga al principio di incompatibilità in caso di svolgimento di lavoro part-time solo quando il lavoratore svolga una prestazione ad orario ridotto non superiore al 50 per cento Ad ogni modo, oggi è prevista, in via generale, la possibilità per i pubblici dipendenti di accedere al part-time ed è regolata nel dettaglio la procedura di trasformazione del rapporto a tempo pieno in rapporto a tempo parziale. Detta trasformazione può essere rifiutata dalla P.A., qualora comporti un conflitto di interessi con la specifica attività di servizio svolta dal dipendente ovvero, nel caso vi sia, in relazione alle mansioni e alla posizione organizzativa ricoperta dal dipendente, un pregiudizio per la funzionalità dell'amministrazione stessa. Essa non può essere comunque concessa qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica. In senso più estensivo si muove la recente giurisprudenza. Ad esempio (cfr Cassazione civile sez. lav., 18/07/2022, n.22497 seppur con riferimento ad un dipendente di un ente locale) ha affermato che i dipendenti pubblici con un part time non superiore al 50% possono instaurare rapporti con altri enti anche in assenza di autorizzazione da parte della pubblica amministrazione di appartenenza. Nella motivazione si richiama Cass., Sez. L, n. 28757 del 7 novembre 2019, "In tema di pubblico impiego privatizzato, alla stregua della disciplina di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53 (applicabile "ratione temporis"), D.P.C.M. n. 117 del 1989, art. 6, comma 2, e della L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 58-bis, si deve escludere che i dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale superiore al 50 per cento possano essere implicitamente autorizzati, in via generale, allo svolgimento di attività extralavorativa retribuita, in quanto la normativa in esame consente una deroga al principio di incompatibilità in caso di svolgimento di lavoro part-time solo quando il lavoratore svolga una prestazione ad orario ridotto non superiore al 50 per cento" (per lo sviluppo giurisprudenziale in materia, cfr. Cass., Sez. L, n. 8642 del 12 aprile 2010)". Inoltre, sempre secondo la Sentenza 18/07/2022, n.22497 la L. n. 662 del 1996, art. 1, comma 58, che vieta la trasformazione del rapporto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale qualora l'attività lavorativa di lavoro subordinato debba intercorrere con un'amministrazione pubblica, non può riferirsi ai "dipendenti delle pubbliche amministrazioni con rapporto di lavoro a tempo parziale, con prestazione lavorativa non superiore al 50 per cento di quella a tempo pieno". Quindi, alla luce del recente quadro giurisprudenziale, riteniamo che possa essere conferita la supplenza con spezzone orario 9/18 seppur abbia già un contratto in part time con un ente locale.

    Data di pubblicazione: 14/11/2025

  • Criteri di calcolo dell’indennità sostitutiva delle ferie per una docente a t.d. in presenza di variazioni stipendiali e orario part-time...
  • Una docente di scuola primaria che ha prestato servizio in questo Istituto per alcuni anni scolastici con contratti a t.d. fino al 30/06, ha presentato ricorso...

    Data di pubblicazione: 14/11/2025

  • Alcune questioni legate all'applicazione e alle tempistiche del CCNL 2022-2024 nelle relazioni sindacali d’Istituto...
  • Il CCNL del comparto Istruzione e ricerca, valido per il triennio 2022/24, è stato sottoscritto come Ipotesi di contratto ed è quindi stato inoltrato agli organi di controllo per la sua certificazione. L’Ipotesi potrebbe essere soggetta a variazioni o a rilievi, esattamente come avviene per l’Ipotesi del contratto integrativo d’istituto. Pertanto, al momento, l’Ipotesi non produce effetti giuridici e non può avere ricadute e conseguenze sui livelli inferiori di contrattazione integrativa. Soltanto dopo la sua stipula, e cioè a certificazione acquisita, il CCNL diverrà vigente e comincerà a produrre gli effetti giuridici prodotti dal suo articolato. Al momento la contrattazione di livello regionale e di livello di singola istituzione scolastica deve tenere conto di quanto stabilito nel CCNL di comparto 2019/21. Conseguentemente ai singoli quesiti possono essere date le seguenti risposte. 1. I tavoli contrattuali ai diversi livelli dovranno tenere conto della composizione della delegazione trattante soltanto dopo la stipula del nuovo CCNL. Solo a partire da quella data potranno partecipare al sistema delle relazioni sindacali le organizzazioni sindacali che sono rappresentative nel comparto e che apporranno la loro firma sotto la stipula del CCNL. Fino all’atto di stipula i dirigenti scolastici, nelle vesti di parte pubblica a livello d’istituto, dovranno continuare ad invitare al tavolo i rappresentanti delle cinque organizzazioni che hanno sottoscritto il CCNL 2019/21. La UIL-Scuola RUA, al momento, può partecipare, a seguito di sentenza, all’informazione e al confronto, ma le è preclusa la partecipazione alla contrattazione integrativa. È stato comunicato che, riguardo al nuovo CCNL, la situazione è cambiata, nel senso che stavolta è la FLC-CGIL che non ha firmato l’Ipotesi, ma anche in questo caso converrà aspettare la fase della stipula per capire quali saranno le decisioni che avranno una ricaduta effettiva sulla composizione della delegazione trattante. 2. Verificare eventuali modifiche alle fasi dell’informazione e del confronto può essere un esercizio non particolarmente utile dal momento che l’Ipotesi potrebbe subire correzioni o integrazioni in fase di certificazione da parte degli organi di controllo. È consigliabile ragionare sulle novità contrattuali quando l’Ipotesi sarà sostituita dal CCNL.

    Data di pubblicazione: 14/11/2025

  • Attribuzione di incarico di formatore a personale in quiescenza: aspetti normativi e fiscali...
  • L'art. 5, comma 9, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135 (come modificato dall'art. 6, comma 1, della legge n. 114 del 2014 e da ultimo dall’art. 17 (comma 3) della Legge n. 124 del 7 agosto 2015 prevede che è fatto divieto alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2011 (tra le quali, come noto, rientrano anche le scuole), di attribuire incarichi di studio e di consulenza a soggetti già lavoratori privati o pubblici collocati in quiescenza. Gli incarichi di cui sopra sono comunque consentiti a titolo gratuito. In definitiva è stato introdotto che è fatto divieto per le Amministrazioni Pubbliche, ivi comprese le scuole, di conferire a ex lavoratori privati o pubblici collocati ora in quiescenza: a) incarichi di studio e di consulenza b) incarichi dirigenziali o direttivi o cariche in organi di governo delle amministrazioni. Il Dipartimento della Funzione Pubblica, con la Circolare n. 6 del 4 dicembre 2014, ha fornito chiarimenti sull'interpretazione e applicazione dell'articolo 5, comma 9, del decreto-legge n. 95 del 2012, come modificato dall'articolo 6 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90 recante il divieto di incarichi a soggetti in quiescenza; chiarimenti che confermano quanto da noi sopra sostenuto. Incarichi vietati, ad avviso della Funzione Pubblica, sono solo quelli espressamente contemplati: incarichi di studio e di consulenza, incarichi dirigenziali o direttivi, cariche di governo nelle amministrazioni e negli enti e società controllati. Il legislatore ha voluto perseguire gli obiettivi sopra ricordati, vietando il conferimento a soggetti in quiescenza di incarichi e cariche che, indipendentemente dalla loro natura formale, consentono di svolgere ruoli rilevanti al vertice delle amministrazioni. Gli incarichi di studio e consulenza sono quelli che presuppongono competenze specialistiche e rientrano nelle ipotesi di contratto d'opera intellettuale, di cui agli articoli 2229 e seguenti del codice civile. Costituiscono incarichi di studio quelli consistenti nello svolgimento di un'attività di studio, che possono essere individuati con riferimento ai parametri indicati dal decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 338. Costituiscono consulenze le richieste di pareri a esperti (così Corte dei conti, Sezioni riunite in sede di controllo, delibera 15 febbraio 2005, n. 6/CONTR/05). Tutte le ipotesi di incarico o collaborazione non rientranti nelle categorie finora elencate sono da ritenersi sottratte ai divieti di cui alla disciplina in esame. Pertanto la normativa di cui alla legge n. 135 riteniamo non sia applicabile al caso di specie (incarico per attività di formazione). Ovviamente dovrà trattarsi di effettiva attività di formazione nell'ambito di uno specifico progetto formativo e previo accertamento, ai sensi dell’art.7 comma 6 del D.Lgs. n. 165 del 2001, della mancanza di personale interno competente e disponibile. Ammessa la possibilità, in via generale, di conferire l'incarico a un ex dipendente si ritiene quanto segue. Il dipendente di cui al quesito rileverebbe ora quale “esperto esterno”, in quanto con il pensionamento non ha più lo status di dipendente pubblico. In sostanza trattandosi di dipendente in quiescenza si tratta di esperto esterno con cui andrà stipulato un contratto di prestazione d'opera di lavoro autonomo ai sensi degli artt. 2222 e segg. c.c. con applicazione della r.a. e ritenute previdenziali della Gestione Separata INPS allorchè il collaboratore superi nell’anno solare i 5000 euro ad anno solare a titolo di lavoro autonomo occasionale. Ciò premesso, per quanto concerne la selezione di esperti esterni (previa ovviamente l'impossibilità di personale interno competente e disponibile) l'art. 7, comma 6-bis, del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che le amministrazioni pubbliche disciplinano e rendono pubbliche, secondo i propri ordinamenti, le procedure comparative per il conferimento degli incarichi di collaborazione. Quindi, rilevata in via generale la necessità dell'espletamento di una procedura comparativa ogni volta che una amministrazione deve conferire incarichi a esperti esterni, la circolare n. 2 del 2008 della Funzione Pubblica ha precisato che le collaborazioni meramente occasionali che si esauriscono in una sola azione o prestazione, caratterizzata da un rapporto "intuitu personae" che consente il raggiungimento del fine, e che comportano, per loro stessa natura, una spesa equiparabile ad un rimborso spese, quali ad esempio la partecipazione a convegni e seminari, la singola docenza, la traduzione di pubblicazioni e simili, non debbano comportare l'utilizzo delle procedure comparative per la scelta del collaboratore. La Corte dei Conti, con interpretazione più rigorosa, ha precisato che il ricorso a procedure comparative può essere derogato con affidamento diretto nei seguenti casi: 1) unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo (C. Conti, sez. contr. Piemonte, 20 giugno 2014, n. 122); 2) interventi formativi che si svolgono nell’arco di una sola giornata (Corte Conti Emilia Romagna Delib. n. 50/2016). Con la Deliberazione n. 122/2014 sopra citata è stato precisato che la materia è estranea a quella degli appalti di lavori, di beni o servizi e, pertanto, non può farsi ricorso a detti criteri; pertanto, il ricorso a procedure concorsuali deve essere generalizzato e che può prescindersi solo in circostanze del tutto particolari, come per esempio procedura concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale. Ne consegue che in caso di esperti esterni, con i quali sono stati stipulati contratti di lavoro autonomo, le uniche condizioni per non porre in essere una procedura comparativa sono quelle di cui alla circolare Funzione Pubblica e della Corta dei Conti sopra ricordate. L'impossibilità del ricorso alla procedura comparativa, a causa della peculiarità o specificità dell'attività oggetto dell'incarico, si dovrà evincere con chiarezza dalla determina dirigenziale. In giurisprudenza è stato ulteriormente affermato che: - è illegittima una generica esclusione del principio concorsuale che, prescindendo da circostanze particolari, si basi in modo generalizzato sul modico valore del corrispettivo o sulla individuazione di una soglia di valore (cfr CC Lombardia deliberazione n. 162/2010/REG; CC Calabria deliberazione n. 36/2009/REG, CC Piemonte 34/2018/REG) - C.C. Piemonte Deliberazione n. 24/2019: al di fuori della ricorrenza di quelle specifiche e peculiari circostanze tipizzate dalla giurisprudenza, quali, ad esempio, l’unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, cui potrebbero ricondursi a titolo esemplificativo gli incarichi di docenza, deve escludersi che la natura meramente occasionale della prestazione o la modica entità del compenso corrisposto possano giustificare una deroga alle ordinarie regole di pubblicità, trasparenza e parità di trattamento nell’assegnazione dell’incarico - non può costituire in nessun modo esimente dalla regola della comparazione il riferimento all’esiguità dell’erogazione” (Corte Conti, sez. Contr. Lombardia, 3.7.2013 n. 294). I suddetti principi sono stati riportati anche nel Quaderno n. 3 del MI ove è stato ribadito che l’obbligo di ricorrere a procedure comparative potrà essere derogato a favore dell'affidamento diretto solo in casi eccezionali e congruamente motivati (a titolo esemplificativo, nei casi di unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, di assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità di conferire l’Incarico o di procedura comparativa andata deserta). Sul punto, rileva quanto ribadito dalla Deliberazione della Corte di Conti, Sez. regionale di controllo per il Piemonte n. 39/2018 «[…] Come sottolineato a più riprese dalla giurisprudenza contabile, infatti, le deroghe a tale principio hanno carattere eccezionale e sono sostanzialmente riconducibili a circostanze del tutto particolari quali “procedura concorsuale andata deserta, unicità della prestazione sotto il profilo soggettivo, assoluta urgenza determinata dalla imprevedibile necessità della consulenza in relazione ad un termine prefissato o ad un evento eccezionale” (Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 122/2014/REG ed in senso analogo, ex multis, Sezione regionale di controllo per il Piemonte, n. 61/2014; Sezione regionale di controllo per la Lombardia n. 59/2013 n. 59; Sezione regionale di controllo per il Piemonte, deliberazione n. 22/2015/REG; Sezione regionale di controllo per l’Emilia Romagna, deliberazione n. 28/2013/REG) […]». Pertanto, a meno che non si tratti di un incarico di formazione per un solo evento formativo o sporadici (o eventualmente di attività formativa caratterizzata da peculiarità tale da dover essere affidata necessariamente al soggetto individuato), si ritiene che la scuola debba procedere con avviso di selezione.

    Data di pubblicazione: 13/11/2025

  • Un docente a t.d. chiede autorizzazione a svolgere la carica di presidente di un'associazione sportiva dilettantistica: sussiste incompatibilità?
  • Nel caso di specie non trattasi di attività di lavoro sportivo e quindi non è applicabile il regime più favorevole previsto dall’art. 53 comma 6 lett. fter del D.Lgs. n. 165 del 2001 ai sensi del quale per le prestazioni sportive fino ad un importo complessivo annuo di 5000 euro non è necessario richiedere l’autorizzazione preventiva ma esclusivamente la comunicazione. L'art. 53 del D.Lgs. 165/2001 dispone che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettata dagli articoli 60 e seguenti del DPR 10/01/1957, n. 3. Lo stesso articolo prevede che gli incarichi retribuiti conferiti ai pubblici dipendenti devono essere previamente autorizzati dall'Amministrazione di appartenenza. Tali incarichi sono quelli, anche occasionali, non compresi nei compiti e doveri di ufficio, per i quali è previsto, sotto qualsiasi forma, un compenso. Per poter svolgere attività ed incarichi extraistituzionali è necessaria l'autorizzazione del dirigente scolastico (cfr art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001). A meno che non si tratti di personale in part time con prestazione lavorativa non superiore al 50% i presupposti per il conferimento di incarichi extraistituzionali a dipendenti pubblici sono l'occasionalità, la saltuarietà, la mancanza di conflitto di interessi anche potenziale, la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento, con l'ulteriore precisazione che l’attività deve essere svolta necessariamente al di fuori dell’orario di servizio (cfr Circolare Funzione Pubblica n. 3 del 1997; Parere Funzione Pubblica 24 gennaio 2012, n. 1). Più in generale la normativa prevede che possono essere autorizzati altri incarichi di lavoro che rispondano a tali condizioni: - la temporaneità e l’occasionalità dell’incarico; - il non conflitto con gli interessi dell’amministrazione e con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione; - la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento. Ricordiamo, inoltre, che a chiusura dei lavori del tavolo tecnico, a cui hanno partecipato il Dipartimento della Funzione Pubblica, la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l'ANCI e l'UPI, avviato ad ottobre 2013 in attuazione di quanto previsto dall'intesa sancita in Conferenza unificata il 24 luglio 2013, è stato formalmente approvato il documento contenente "Criteri generali in materia di incarichi vietati ai pubblici dipendenti". Nel Documento è precisato che sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche a tempo pieno e con percentuale di tempo parziale superiore al 50% (con prestazione lavorativa superiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche della abitualità e professionalità nonchè che si pongano in conflitto di interessi. Sono da considerare vietati ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con percentuale di tempo parziale pari o inferiore al 50% (con prestazione lavorativa pari o inferiore al 50%) gli incarichi che presentano le caratteristiche del conflitto di interessi. Gli incarichi che presentano i caratteri della abitualità e professionalità ai sensi dell'art. 60 del d.P.R. n. 3/57, sicché il dipendente pubblico non potrà "esercitare attività commerciali, industriali, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro". L'incarico presenta i caratteri della professionalità laddove si svolga con i caratteri della abitualità, sistematicità/non occasionalità e continuità, senza necessariamente comportare che tale attività sia svolta in modo permanente ed esclusivo (art. 5, d.P.R. n. 633 del 1972; art. 53 del d.P.R. n. 917 del 1986; Cass. civ., sez. V, n. 27221 del 2006; Cass. civ., sez. I, n. 9102 del 2003). Sono altresì vietati gli incarichi che, sebbene considerati singolarmente e isolatamente non diano luogo ad una situazione di incompatibilità, considerati complessivamente nell'ambito dell'anno solare, configurano invece un impegno continuativo con le caratteristiche della abitualità e professionalità, tenendo conto della natura degli incarichi e della remunerazione previsti. Ricordiamo che già la Circolare n. 3 del 19 febbraio 1997 del Dipartimento della Funzione Pubblica, aveva chiarito che le attività consentite sono un’eccezione rispetto al prevalente e generale principio di incompatibilità, con la conseguenza che il potere di autorizzazione delle amministrazioni deve essere esercitato secondo criteri oggettivi e idonei a verificare la compatibilità dell’attività extra istituzionale in base alla natura della stessa, alle modalità di svolgimento e all’impegno richiesto. Conseguentemente, le attività extra istituzionali sono da considerarsi incompatibili quando oltrepassano i limiti della saltuarietà e occasionalità. Pertanto i requisiti per autorizzare un incarico sono: - la temporaneità e l’occasionalità dell’incarico. Sono, quindi, autorizzabili le attività esercitate sporadicamente ed occasionalmente, anche se eseguite periodicamente e retribuite, qualora per l’aspetto quantitativo e per la mancanza di abitualità, non diano luogo ad interferenze con l’impiego; - la necessità che l’attività svolta non sia in conflitto con gli interessi dell’Amministrazione e con il principio del buon andamento della Pubblica Amministrazione; - la compatibilità dell’impegno lavorativo derivante dall’incarico con l’attività lavorativa di servizio cui il dipendente è addetto tale da non pregiudicarne il regolare svolgimento, con la ulteriore precisazione che l’attività deve essere svolta necessariamente al di fuori dell’orario di servizio. La carica in questione è compatibile - e quindi potrà essere concessa l'autorizzazione - se connotata da temporaneità e saltuarietà della prestazione, secondo quanto sopra precisato. ( in tal senso si potranno chiedere chiarimenti sulle modalità di effettuazione dell'incarico). Non si applica infatti la previsione dell'incompatibilità assoluta prevista per le cariche in società con scopo di lucro ( cfr. l'art. 60 sopra citato). Ad ogni modo non deve mai esserci la sussistenza di conflitto di interessi (es. attività della associazione con alunni delle classi del docente). In tal senso ricordiamo anche l'art. 5 del DPR 62/2013 ai sensi del quale "Nel rispetto della disciplina vigente del diritto di associazione, il dipendente comunica tempestivamente al responsabile dell’ufficio di appartenenza la propria adesione o appartenenza ad associazioni od organizzazioni, a prescindere dal loro carattere riservato o meno, i cui ambiti di interessi possano interferire con lo svolgimento dell’attività dell’ufficio. Il presente comma non si applica all’adesione a partiti politici o a sindacati".

    Data di pubblicazione: 13/11/2025

  • Ferie residue dell’anno precedente per una dipendente in assegnazione provvisoria: come procedere?
  • Preliminarmente si rileva che la materia delle ferie non rientra in quelle oggetto di contrattazione integrativa. Per quanto concerne la traslazione delle ferie, l'art. 13, comma 10, del CCNL 2007, non modificato dal CCNL 2024, prevede che in caso di particolari esigenze di servizio ovvero in caso di motivate esigenze di carattere personale e di malattia, che abbiano impedito il godimento in tutto o in parte delle ferie nel corso dell'anno scolastico di riferimento, le ferie stesse saranno fruite dal personale docente, a tempo indeterminato, entro l'anno scolastico successivo nei periodi di sospensione dell'attività didattica. In analoga situazione, il personale ATA fruirà delle ferie non godute di norma non oltre il mese di aprile dell’anno successivo, sentito il parere del DSGA. Il nuovo CCNL 2024 non ha introdotto ulteriori disposizioni in materia. L'ARAN, nelle raccolte sistematiche degli Orientamenti Applicativi, ha precisato che la mancata fruizione delle ferie per motivi di servizio, entro i termini contrattualmente previsti, deve rappresentare un fatto eccezionale in quanto il diritto alle ferie viene qualificato, nell’ambito del nostro ordinamento giuridico (in primo luogo dall’art. 36 della Costituzione) come un diritto irrinunciabile per il lavoratore. L’assegnazione delle ferie rientra tra i compiti gestionali del datore di lavoro a cui, pertanto, verrebbe imputata, in caso di mancato godimento delle stesse, la relativa responsabilità, con le eventuali conseguenze anche sotto il profilo del risarcimento del danno; l’onere della prova spetta al datore di lavoro, il quale deve dimostrare di aver fatto il possibile per consentire ai lavoratori la fruizione delle ferie. Pertanto, in via ordinaria, l’amministrazione è tenuta ad assicurare il godimento delle ferie ai propri dipendenti, nel rispetto delle scadenze previste dal contratto, attraverso la predisposizione di appositi piani ferie. In via generale (e quindi per tutti i dipendenti), la recente giurisprudenza della Cassazione (cfr. Corte di Cassazione - Lavoro - Ordinanza 27/11/2023, n. 32807) prevede che la perdita del diritto alle ferie, ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro, può verificarsi soltanto qualora il datore di lavoro offra la prova di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie (se necessario formalmente) e di averlo nel contempo avvisato - in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire - che, in caso di mancata fruizione, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato. Infatti, la perdita del diritto alle ferie ed alla corrispondente indennità sostitutiva alla cessazione del rapporto di lavoro può verificarsi soltanto nel caso in cui il datore di lavoro offra la prova: i) di avere invitato il lavoratore a godere delle ferie, se necessario formalmente; ii) di averlo nel contempo avvisato in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie siano ancora idonee ad apportare all'interessato il riposo ed il relax cui esse sono volte a contribuire iii) del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato. Quindi, la prescrizione del diritto del lavoratore all'indennità sostitutiva delle ferie e dei riposi settimanali non goduti decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro, salvo che il datore di lavoro non dimostri che il diritto alle ferie ed ai riposi settimanali è stato perso dal medesimo lavoratore perché egli non ne ha goduto nonostante l'invito ad usufruirne; siffatto invito deve essere formulato in modo accurato ed in tempo utile a garantire che le ferie ed i riposi siano ancora idonei ad apportare all'interessato il riposo ed il relax cui sono finalizzati, e deve contenere l'avviso che, in ipotesi di mancato godimento, tali ferie e riposi andranno persi al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato. (Corte di Cassazione - Lavoro - Ordinanza 20/06/2023, n. 17643). Un’attenta pianificazione delle ferie, infatti, è diretta a garantire, da un lato, il diritto dei dipendenti al recupero delle proprie energie psicofisiche e, dall’altro, ad assicurare la funzionalità degli uffici. L'ARAN (Orientamento 8.4 della Raccolta Sistematica sulle Ferie e Festività del dicembre 2015), ha precisato, in riferimento all’espressione “motivate esigenze di carattere personale” contenuta nel comma 10 dell’art. 13 del CCNL 2007, che qualunque esigenza, purché motivata, del dipendente può dar luogo al rinvio all’anno successivo e non deve trattarsi quindi necessariamente di impossibilità di fruizione delle stesse da parte dell’interessato. Infatti, il concetto di ” motivate esigenze personali” è sicuramente più ampio e generico di quello di “impossibilità”, e quindi può ricomprendere ipotesi riconducibili alle più diverse motivazioni e non solo quelle di impedimento oggettivo o soggettivo alla fruizione delle ferie, come avveniva precedentemente in virtù dell’art. 4 del DPR n. 395/1988. Le ipotesi di rinvio dovrebbero, tuttavia, rappresentare un’eccezione che, in virtù del richiamo all’art. 2109 c.c. ed ai principi di buona organizzazione, consente alle amministrazioni di procedere ad una adeguata programmazione annuale dei calendari feriali del personale, in modo da evitare ogni possibile disfunzione, ed anche, in caso di inerzia o di resistenza dei dipendenti rispetto tali piani, di fissare essa stessa i periodi di fruizione delle ferie. La formulazione letterale della norma "il personale ATA fruirà delle ferie non godute di norma non oltre il mese di aprile dell’anno successivo, sentito il parere del DSGA" depone nel senso che il termine del 30 aprile non è perentorio ed in presenza, di adeguata motivazione, può anche essere oltrepassato. L'ARAN con l' Orientamento Applicativo SCU_093 del 15 luglio 2015 ha ribadito che la mancata fruizione delle ferie per motivi di servizio, entro i termini contrattualmente previsti, deve rappresentare un fatto eccezionale in quanto il diritto alle ferie viene qualificato, nell’ambito del nostro ordinamento giuridico (in primo luogo dall’art. 36 della Costituzione) come un diritto irrinunciabile per il lavoratore. Pertanto, in via ordinaria, l’amministrazione è tenuta ad assicurare il godimento delle ferie ai propri dipendenti, nel rispetto delle scadenze previste dal contratto, attraverso la predisposizione di appositi piani ferie e, in caso di inerzia dei lavoratori o di mancata predisposizione dei piani stessi, anche mediante l’assegnazione d’ufficio delle stesse. Un’attenta pianificazione delle ferie, infatti, è diretta a garantire, da un lato, il diritto dei dipendenti al recupero delle proprie energie psicofisiche e, dall’altro, ad assicurare la funzionalità degli uffici. Atteso che la regola ordinaria della fruizione delle ferie durante il periodo di riferimento può subire delle eccezioni, dovute tanto a motivate esigenze di servizio che ad eventi oggettivi (malattia, infortunio, etc), soccorre la possibilità di traslare le ferie secondo la disciplina del comma 10 dell'art. 13 che, come detto sopra, stabilisce che la fruizione della ferie non godute a causa di particolari esigenze di servizio o in caso di motivate esigenze di carattere personale e di malattia dal suddetto personale possa essere differita all'anno scolastico successivo con tempistiche diverse per personale ATA e docente. L'ARAN, con l'O.A. SCU_085 del 2015, ha precisato altresì che le ferie, essendo un diritto irrinunciabile e indisponibile del lavoratore, qualora siano maturate e non godute per causa indipendente dalla sua volontà, come può essere una grave patologia, potranno essere fruite dallo stesso, anche per motivate esigenze, al di là dei termini stabiliti dall’art. 13 del CCNL sopra citato, ma sarà l’amministrazione, eventualmente, a fissare i termini di fruizione delle stesse in applicazione dell’art. 2109 cc (le ferie sono assegnate dal datore di lavoro tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del lavoratore). Pertanto: 1) gestione ordinaria delle ferie: l’amministrazione è tenuta ad assicurare il godimento delle ferie ai propri dipendenti, nel rispetto delle scadenze previste dal contratto, attraverso la predisposizione di appositi piani ferie e, in caso di inerzia dei lavoratori o di mancata predisposizione dei piani stessi, anche mediante l’assegnazione d’ufficio delle stesse; 2) recupero entro il 30 aprile: solo in caso di particolari esigenze di servizio ovvero in caso di motivate esigenze di carattere personale e di malattia, che abbiano impedito il godimento in tutto o in parte delle ferie nel corso dell'anno scolastico di riferimento, le ferie stesse saranno fruite dal personale ATA di norma non oltre il mese di aprile dell’anno successivo, sentito il parere del DSGA. Non c'è un limite di giorni di ferie da poter recuperare se si è in presenza di una legittima ipotesi di traslazione secondo quanto sopra precisato; 3) recupero oltre il 30 aprile: il dipendente, in caso di ferie maturate e non godute per causa indipendente dalla sua volontà, come può essere una grave patologia, potrà fruirle, anche per motivate esigenze, al di là dei termini stabiliti dall’art. 13 del CCNL ( 30 aprile), ma sarà il Dirigente, eventualmente, a fissare i termini di fruizione delle stesse. Nel caso di specie – non trattandosi di assegnazione a t.d. ai sensi dell’art. 70 del CCNL 2024 -, pur condividendo quanto espresso nel quesito, si ritiene che le ferie maturate e non godute nell’A.S. 2024/2025 debbano essere recuperate e fruite entro il 30 aprile 2026. Se poi, stante la necessità del recupero delle ferie pregresse, la dipendente non potrà fruire delle ferie maturate nel corrente A.S. queste andranno recuperate nel prossimo anno scolastico in virtù del meccanismo della traslazione che deve ora applicare la scuola di attuale servizio.

    Data di pubblicazione: 13/11/2025

  • Congedo per donne vittime di violenza e anno di prova: giorni utili o esclusi dal computo dei 180?
  • Il superamento del percorso di formazione e periodo annuale di prova in servizio per il personale docente è subordinato allo svolgimento di un servizio effettivamente prestato per almeno centottanta giorni nel corso dell'anno scolastico, di cui almeno centoventi dedicati alle attività didattiche. È l’art. 3 del D.M. n. 226/2022 a delineare con nettezza ciò che concorre e ciò che non concorre al calcolo dei 180 giorni di servizio effettivamente prestato, stabilendo che: “1. Il superamento del percorso di formazione e periodo annuale di prova in servizio è subordinato allo svolgimento del servizio effettivamente prestato per almeno centottanta giorni nel corso dell’anno scolastico, di cui almeno centoventi per le attività didattiche. 2. Sono computabili nei centottanta giorni tutte le attività connesse al servizio scolastico, ivi compresi i periodi di sospensione delle lezioni e delle attività didattiche, gli esami e gli scrutini ed ogni altro impegno di servizio, ad esclusione dei giorni di congedo ordinario e straordinario e di aspettativa a qualunque titolo fruiti. Va computato anche il primo mese del periodo di astensione obbligatoria dal servizio per gravidanza. 3. Sono compresi nei centoventi giorni di attività didattiche sia i giorni effettivi di insegnamento sia i giorni impiegati presso la sede di servizio per ogni altra attività preordinata al migliore svolgimento dell’azione didattica, ivi comprese quelle valutative, progettuali, formative e collegiali. 4. Fermo restando l'obbligo delle attività disciplinate dal presente decreto, i centottanta giorni di servizio e i centoventi giorni di attività didattica sono proporzionalmente ridotti per i docenti con prestazione o orario inferiore su cattedra o posto.” Da ciò si evince che i giorni di congedo ordinario e straordinario e di aspettativa a qualunque titolo fruiti sono esclusi dal computo, con l’unica eccezione esplicitamente menzionata del primo mese di astensione obbligatoria dal servizio per gravidanza. Con riferimento al congedo per donne vittime di violenza, il CCNL del comparto istruzione e ricerca 2019-2021, all’art. 17 – intitolato “Congedi per le donne vittime di violenza” – stabilisce che: - il personale docente ne fruisca su base giornaliera; - la lavoratrice, inserita nei percorsi di protezione relativi alla violenza di genere, abbia diritto ad astenersi dal lavoro per un periodo massimo di 120 giorni lavorativi (da fruire nell'arco temporale di tre anni); - il periodo di congedo sia retribuito secondo le disposizioni previste per il congedo di maternità e computato ai fini dell'anzianità di servizio a tutti gli effetti, non riduca le ferie e sia utile ai fini della tredicesima mensilità. Dato che la normativa sul periodo di prova sopra citata esclude dal computo dei 180 giorni i periodi di "congedo ordinario e straordinario e di aspettativa a qualunque titolo fruiti", tra di essi non può non ricomprendersi il congedo per donne vittime di violenza. Sebbene il CCNL stabilisca che tale periodo è utile a tutti gli effetti per l'anzianità di servizio, la normativa specifica del periodo di prova (che richiede "servizio effettivamente prestato") impone un criterio di esclusione generale per i congedi, senza prevedere un'eccezione esplicita per il congedo per vittime di violenza a differenza di quanto accade per il primo mese di astensione obbligatoria per maternità. In sintesi, i giorni di congedo per donne vittime di violenza: - non sono utili ai fini del raggiungimento dei 180 giorni di servizio effettivamente prestato richiesti per il superamento del periodo di prova, in quanto rientrano nella categoria generale dei congedi esclusi; - sono per contro utili ai fini dell'anzianità di servizio e della maturazione di ferie e tredicesima.

    Data di pubblicazione: 13/11/2025

  • Richiesta di accesso ai titoli e servizi dichiarati da un altro docente nelle GPS: chiarimenti sull’iter amministrativo...
  • In via preliminare, occorre precisare che l’inerzia dell’UAT di riferimento non trasferisce automaticamente la competenza alla scuola che può agire in via autonoma sulla richiesta di accesso agli atti di cui trattasi solo se detiene i documenti richiesti. Qualora infatti gli stessi non siano nella disponibilità dell’istituzione scolastica, la stessa dovrà motivare alla docente richiedente il diniego per difetto di competenza. Quanto al merito della domanda, e partendo dal presupposto che la scuola nell'ambito della gestione del contratto di supplenza, sia in possesso dei documenti richiesti (tutti i titoli e i servizi dichiarati dalla docente in posizione poziore rispetto all'istante), si evidenzia quanto segue: Nell’ambito delle procedure concorsuali come nel caso di specie, finalizzate al conferimento di una supplenza in virtù della posizione occupata in graduatoria per titoli culturali e servizi posseduti, le domande e i documenti prodotti dai candidati rientrano tra i documenti amministrativi soggetti alla disciplina dell’accesso per i quali va riconosciuta la preminenza della trasparenza rispetto alla riservatezza posto che i concorrenti partecipando alla procedura, acconsentono di misurarsi in una competizione nella quale la comparazione dei valori di ciascuno costituisce l’essenza ( Tar puglia, Bari, sez. II, 29 dicembre 2008 n.3007;Tar Lazio, Roma, sez. II, 15 dicembre 2008, n.11358). Nel caso di specie, la docente istante avendo partecipato ad una procedura concorsuale , ha un interesse qualificato e differenziato diretto a verificare la regolarità della procedura di assegnazione della supplenza e l’imparzialità di giudizio nell’applicazione dei criteri di valutazione, richiesti quali presupposti per il riconoscimento del diritto di accesso. Inoltre, tutti gli atti di coloro che partecipano ad un concorso /selezione o comunque ad un procedimento volto al conferimento di un incarico presso un’amministrazione, una volta acquisiti alla procedura, escono dalla sfera di disponibilità dei partecipanti, con la conseguenza che questi in un giudizio relativo all’accesso ai documenti, non assumono neanche la veste di controinteressati in senso tecnico. Per le ragioni surriferite, si ritiene che la scuola non sia tenuta a comunicare (ex art. 3 DPR n.184/2006, regolamento attuativo della Legge n. 241/1990, e, art. 5, comma 5, del D.Lgs 33/2013) al docente controinteressato il ricevimento dell’istanza di accesso relativa ad atti che lo riguardano per consentirgli di presentare (entro 10 giorni dalla ricezione della presente comunicazione) motivata opposizione . Tuttavia, anche nel caso in cui la scuola ai fini di una maggiore tutela della docente assegnataria di supplenza, preferisse attivare nei suoi riguardi il contraddittorio procedimentale, decorso il termine dei 10 giorni, anche in presenza di eventuale opposizione all’accesso, dovrà provvedere sulla richiesta di accesso -a condizione che gli atti richiesti siano nella sua disponibilità- limitatamente ai documenti sopra elencati ( titoli e servizi dichiarati all’ atto di inserimento in GPS ed eventualmente all’atto di stipula del contratto di supplenza) con eventuale oscuramento dei dati personali non pertinenti e comunque sensibili, quali ad es. informazioni attinenti lo stato di salute della candidata-supplente. L’ostensione potrà avvenire mediante presa visione presso la segreteria dell’istituto, previo appuntamento, oppure mediante rilascio di copie conforme dei documenti, previo pagamento dei costi di riproduzione.

    Data di pubblicazione: 13/11/2025

  • Richiesta di ore di potenziamento per esonero del collaboratore del dirigente: limiti e modalità di attribuzione...
  • Il fabbisogno dell’organico di potenziamento viene formulato all’interno del PTOF in coerenza con le esigenze e le scelte espresse in quel piano. Lo dice chiaramente l’art. 3, comma 2 del D.P.R. n. 275/1999, secondo cui: “2. Il piano è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi e indirizzi di studi, determinati a livello nazionale a norma dell'articolo 8, e riflette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenendo conto della programmazione territoriale dell'offerta formativa. Esso comprende e riconosce le diverse opzioni metodologiche, anche di gruppi minoritari, valorizza le corrispondenti professionalità e indica gli insegnamenti e le discipline tali da coprire: a) il fabbisogno dei posti comuni e di sostegno dell'organico dell'autonomia, sulla base del monte orario degli insegnamenti, con riferimento anche alla quota di autonomia dei curricoli e agli spazi di flessibilità, nonché del numero di alunni con disabilità, ferma restando la possibilità di istituire posti di sostegno in deroga nei limiti delle risorse previste a legislazione vigente; b) il fabbisogno dei posti per il potenziamento dell'offerta formativa.” Dunque, è innanzitutto nel PTOF che la istituzione scolastica deve sostanziare le sue scelte circa l’organico di potenziamento in coerenza con quelle organizzative e didattiche ivi operate. Nell’effettuarle, essa non incontra apparentemente alcun limite, se non quello della coerenza interna al PTOF. Le disposizioni normative applicabili, in altri termini, non replicano con riferimento all’organico di potenziamento quanto affermato, ad esempio, in relazione all’insegnamento della seconda lingua comunitaria nella scuola secondaria di primo grado. A tale riguardo, l’art. 5, comma 10 del D.P.R. n. 89/2009 dispone infatti:” A decorrere dall'anno scolastico 2009/2010, a richiesta delle famiglie e compatibilmente con le disponibilità di organico e l'assenza di esubero dei docenti della seconda lingua comunitaria, è introdotto l'insegnamento dell'inglese potenziato anche utilizzando le 2 ore di insegnamento della seconda lingua comunitaria o i margini di autonomia previsti dai commi 5 e 8. Le predette ore sono utilizzate anche per potenziare l'insegnamento della lingua italiana per gli alunni stranieri non in possesso delle necessarie conoscenze e competenze nella medesima lingua italiana nel rispetto dell'autonomia delle scuole.” Qui, in buona sostanza, si pone direttamente in capo alle scuole il vincolo di non creare esubero con le proprie scelte; per quanto riguarda invece le richieste relative all’organico di potenziamento uguale vincolo sulle scuole non sussiste. Per contro, nella nota annuale sugli organici – per l’anno scolastico corrente si tratta della Nota prot. n. 93862 del 17/4/2025 – si legge riguardo all’organico dell’autonomia: “Il fabbisogno espresso dalle istituzioni scolastiche, tenuto conto di quanto già individuato nel corso dell’anno scolastico 2024/25 da parte degli Uffici scolastici regionali, potrà essere ridefinito nel limite dei posti vacanti e disponibili di ciascuna istituzione scolastica. Si raccomanda, in proposito, una attenta valutazione, da parte degli uffici competenti, delle esigenze delle istituzioni scolastiche, col preminente indirizzo di favorire, per quanto possibile e nei limiti noti della normativa vigente, l’attuazione delle scelte didattico-pedagogiche delle istituzioni scolastiche, con particolare riferimento alla “qualificazione” dei posti cosiddetti “di potenziamento”, i quali comunque entrano a far parte indistintamente dell’organico dell’autonomia.” Con riferimento al potenziamento dell’offerta formativa, poi, viene affermato: “Le SS.LL. avranno cura di vagliare le richieste delle istituzioni scolastiche autonome, tenendo conto dell'individuazione delle discipline di insegnamento e delle relative classi di concorso. Tale processo non deve in alcun modo creare situazioni di esubero e tiene conto dei posti resisi vacanti e disponibili a seguito delle cessazioni. Per questa ragione, è operabile una ridistribuzione dell’organico, che sarà gestita direttamente dagli Uffici scolastici regionali tramite le proprie diramazioni territoriali, tra le diverse istituzioni scolastiche autonome, ai fini di rendere il più possibile coerente la distribuzione dei posti tra le diverse classi di concorso con gli indirizzi di studio, le tipologie di insegnamento, le scelte delle istituzioni scolastiche.” Dal complesso della Nota sugli organici si evince che gli Uffici scolastici regionali possono accogliere le richieste delle istituzioni scolastiche circa l’assegnazione dell’organico di potenziamento solo a patto che non si creino situazioni di esubero, utilizzando a tal fine i posti resisi vacanti e disponibili a seguito di cessazioni. Risulta tuttavia necessario sottolineare che la nota in commento è rivolta, per l’appunto, ai Direttori generali dell’USR, titolari del potere di assegnazione dell’organico alle scuole ex art. 8, comma 1, lettera n) del DPCM n. 208/2023, sulla base delle direttive impartite dal MIM e nei limiti dei contingenti loro assegnati. Sono gli Uffici a non dover creare esubero, non le richieste delle scuole a trovare in tale vincolo un limite. E ciò implica pure che sono quei medesimi Uffici a dover individuare in cosa consista l’esubero, potendosi ritenere che esso ricorra solo nel caso in cui l’accoglimento della richiesta della scuola determini la perdita di un posto intero. In altri termini, in disparte la possibilità che con l’accoglimento della richiesta della scuola si determini la perdita di un posto intero, è l’USR a dover dare attuazione – e ancora prima a dover interpretare – il disposto per cui non si deve dar luogo a esubero. Alla luce di quanto precede, in conclusione, si ritiene che la scuola: - debba – in occasione dell’approvazione del PTOF – individuare il fabbisogno di organico di potenziamento in coerenza con le scelte organizzative e didattiche formulate all’interno di quel medesimo piano; - possa poi formulare una richiesta di organico di potenziamento coerente con il PTOF e che, pur senza andare nella direzione della perdita di un intero posto (quello di pianoforte), si muova in quella di una rimodulazione del posto stesso e della conseguente riduzione delle ore attribuite a pianoforte e dell’assegnazione di uno spezzone ad altra classe di concorso (quella di italiano). L’interpretazione invalsa presso il competente Ufficio organici circa la gestione dell’organico di potenziamento depone per l’accoglimento di una simile istanza.

    Data di pubblicazione: 13/11/2025

  • Gestione della supplenza breve su malattia: prima docente impossibilitata alla presa di servizio e nomina del secondo aspirante...
  • Gentile utente, la prima docente in graduatoria ha inviato l'accettazione della supplenza nei tempi indicati dalla scuola e ha giustificato la mancata presa di servizio inviando lo stesso giorno previsto in data 7/11 la comunicazione di malattia, con certificato medico che copriva il giorno stesso dell'assunzione. La docente ha quindi diritto al differimento della presa di servizio, perchè impossibilitata ad essere presente il giorno dell'assunzione, come disposto dalla circolare sulle supplenze n. 157048/2025. La supplente ha diritto al contratto con riconoscimento solo giuridico e all'assunzione allo scadere della malattia, con decorrenza economica al momento della presa di servizio. La scuola avrebbe dovuto disporre il differimento dell'assunzione e stipulare un contratto con la seconda supplente con clausola risolutiva, condizionata alla presa di servizio della prima docente. Se nel contratto non è stata inserita tale clausola e la prima supplente termina la malattia prima del giorno 20, le due supplenti devono essere mantenute in servizio fino alla scadenza della supplenza, la prima perchè secondo la tempistica sopra riportata aveva diritto al differimento e la seconda perchè ha stipulato un contratto senza clausola risolutiva.

    Data di pubblicazione: 13/11/2025

  • Assenze per malattia e congedo parentale nel part-time verticale: conteggio dei sabati e delle domeniche...
  • Per quanto concerne i dipendenti in part-time verticale, in diversi Orientamenti per altri Comparti (cfr. M24 -M19 del 24/05/2011 comparto Ministeri), l’ARAN precisa che "il permesso per matrimonio, il congedo parentale, i permessi per maternità e i permessi per lutto, spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi (vedi art. 23, comma 11, del CCNL integrativo del 16 maggio 2001 del Comparto Ministeri)." Elemento comune a tutti questi istituti è la modalità con cui essi vengono conteggiati, ossia facendo riferimento ai giorni di calendario e non ai giorni lavorativi rientranti nel periodo richiesto. Di conseguenza, in caso di part-time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato e i permessi sono computati con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno. La stessa ARAN ha dato un suo preciso orientamento per il comparto Enti Locali RAL 349 anche in merito al congedo per malattia del bambino caso di part-time verticale che di seguito si riporta integralmente. "Come si applica la previsione dell’art. 6, comma 8 del CCNL del 14/09/2000 in caso di congedo per malattia del figlio ai sensi dell’art. 47 del D.Lgs. n. 151/2001? Riteniamo utile precisare quanto segue: 1. in base all'art. 6, comma 8, in presenza di un rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale "Il permesso per matrimonio, l'astensione facoltativa ed i permessi per maternità (tra i quali rientra il congedo per malattia del figlio di cui all'art. 47 del D.Lgs. n. 151/2001) spettano per intero solo per i periodi coincidenti con quelli lavorativi … "; 2. tale regola comporta che la dipendente, ove si determini l'evento preso in considerazione e tutelato nell'ambito di un periodo lavorativo, potrà sicuramente beneficiare dell'istituto secondo i limiti quantitativi stabiliti dal contratto (o dalla legge) assentandosi dal servizio per la durata prevista dalla certificazione medica; tuttavia, poiché la stessa lavoratrice presta la sua attività solo in alcuni giorni della settimana, pur utilizzando 12 giorni di congedo per malattia, (essendo questi previsti come periodo unico e continuativo dalla stessa certificazione medica), riceverà la retribuzione solo per quei giorni all'interno dei 12 per i quali era prevista la sua presenza al lavoro; in sostanza pur consumando 12 giorni (del monte giorni di congedo retribuito previsto dall'art. 17, comma 6, del CCNL del 14/9/2000), si vedrà effettivamente riconosciuto il beneficio solo relativamente al numero ridotto di giorni nei quali doveva rendere la sua prestazione lavorativa. Es.: in data lunedì 1/01/2002, una lavoratrice a tempo parziale verticale, e con l'articolazione dell'orario di lavoro su tre giorni settimanali (lunedì, martedì, mercoledì), si assenta per malattia del bambino, con certificato medico di 12 giorni; applicando quanto sopra detto la lavoratrice utilizza 12 giorni di congedo per malattia del bambino ed ha titolo ad assentarsi fino al giorno venerdì 12 (il periodo è unico e abbraccia anche il sabato e la domenica in esso compresi, secondo le regole comuni alle assenze per malattia); tuttavia, poiché nell'ambito di tale arco temporale la stessa lavoratrice lavora solo il lunedì, martedì e mercoledì di ogni settimana, pur avendo consumato 12 giorni riceverà la retribuzione solo per 6 giorni (lunedì, martedì e mercoledì delle due settimane interessate); naturalmente dopo tale evento la lavoratrice potrà disporre di ulteriori 18 giorni di assenza per malattia del figlio, con la retribuzione limitata ai soli giorni coincidenti con le prestazioni lavorative; 1. quindi, i giorni di congedo per malattia del bambino, pur essendo esclusi in astratto dal riproporzionamento, risultano ugualmente riproporzionati sulla base della corretta applicazione della clausola contrattuale; 2. se in luogo di un unico certificato medico, vengono presentati più certificati medici concernenti periodi di malattia che si saldano fra di loro, l'effetto è lo stesso di quello dell'unico certificato; diverso è il caso in cui la lavoratrice presenti singoli certificati medici concernenti singoli casi di malattia limitati ai soli giorni in cui la lavoratrice avrebbe dovuto prestare servizio (malattia bambino insorta il lunedì con certificato medico di 3 giorni); infatti, in tal caso saranno utilizzati solo 3 giorni del monte giorni a disposizione della lavoratrice". Dello stesso avviso è l'INPS per il settore privato in merito al congedo parentale (cfr. circolare n. 87/1999 - n. 41/2006 - n. 30/2010) ma, con le stesse tutele del congedo per malattia del bambino. Da ultimo l’ARAN, con l’O.A. 13 aprile 2021 CIRS79, per quanto concerne l’esatto computo del periodo di congedo parentale chiesto da un dipendente a tempo determinato in regime di part time verticale, ha ribadito che il calcolo di tale periodo di assenza deve effettuarsi tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nel periodo di congedo richiesto. Premesso che non ci sono precise regole contrattuali per il personale del comparto scuola, alla luce degli Orientamenti ARAN sopra citati, in caso di part-time verticale, il periodo massimo concedibile non viene riproporzionato e il congedo (sia parentale che per malattia del bambino) è computato con le medesime modalità utilizzate per il personale a tempo pieno. Pertanto, secondo questi orientamenti le assenze dovute a congedo parentale e malattia del bambino si computano tenendo conto di tutti i giorni di calendario ricadenti nell’intero periodo richiesto. In caso di fruizione frazionata, il periodo di congedo verrà calcolato partendo dal primo giorno lavorativo e concludendo con l’ultimo giorno lavorativo precedente l’effettivo rientro in servizio. Infatti, come detto nelle nostre ultime risposte in argomento, dal momento che non viene previsto il riproporzionamento, teoricamente il dipendente dovrebbe essere considerato in congedo per tutta la durata del periodo richiesto e ciò vale per tutti i periodi di congedo parentale indipendentemente se indennizzati o meno. Per evitare ciò le domande di assenza del dipendente dovrebbero e possono essere riferite solo alle giornate in cui ha servizio a scuola e non per un intero periodo temporale. Unica peculiarità nel caso di tratti di assenza continuativa per malattia personale. Per quanto concerne le assenze per malattia del personale in part-time verticale, l'ARAN con l'orientamento applicativo Comparto Scuola del 27 febbraio 2013, in merito a come debba essere effettuato il computo dei giorni di assenza per malattia, ha specificato che occorre andare a considerare se l’assenza sia giustificata da un unico certificato medico o da più certificati medici rilasciati solo per i giorni per i quali il dipendente in part-time è tenuto a svolgere la prestazione lavorativa, senza ricomprendere le giornate intermedie non lavorate; solo in quest’ultimo caso l’ARAN ritiene che essi vadano considerati separatamente, in quanto attestanti eventi morbosi distinti. Per completezza, va altresì osservato che in nostre risposte precedenti abbiamo sempre applicato il principio del riproporzionamento per le assenze per malattia (cioè di considerare solo i giorni di assenza coincidenti con le giornate di servizio del dipendente) anche a prescindere dal fatto che si fosse in presenza di certificati separati e distinti; a detta modalità di calcolo corrispondeva il riproporzionamento del periodo di comporto che conseguiva, per l’appunto, dal fatto di considerare malattia solo i giorni in cui il dipendente avrebbe servizio con l'Amministrazione indipendentemente dalla unicità o meno del certificato medico. Infatti, l'ARAN con il successivo Orientamento SCU_070 del 14 giugno 2013 ha così precisato: "Il periodo massimo di comporto relativo alle assenze per malattia deve essere rapportato al periodo lavorato presso l’Amministrazione in caso di regime di part-time verticale? ...Sulla base quindi dei principi desumibili dalla normativa di legge, dalla contrattazione collettiva e dalla giurisprudenza (vedi in particolare le sentenze di Cassazione Sez. lavoro, 30/12/2009 n. 27762 e 14 dicembre 1999 n. 14065 che hanno affermato il principio del riproporzionamento del periodo di comporto in caso di part time verticale) si ritiene che il trattamento del lavoratore a tempo parziale verticale debba necessariamente tenere conto della ridotta entità della prestazione lavorativa, relativamente sia ai trattamenti economici per malattia, sia alle assenze dovute a malattia, sia ai permessi retribuiti che al periodo massimo di conservazione del posto, tutti elementi che dovranno essere rideterminati tenendo conto di tale criterio". L'ARAN, con l'Orientamento Applicativo M_256 del 5 aprile 2016 (applicabile analogicamente anche al Comparto Scuola) ha precisato che in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, trova applicazione un principio di riproporzionamento che, in relazione alle assenze per malattia, avrà ad oggetto tre elementi che compongono la fattispecie: il periodo massimo di conservazione del posto (cd. periodo di comporto); il triennio di riferimento, entro il quale calcolare il predetto periodo di conservazione del posto; i periodi di retribuzione intera e ridotta. Nel medesimo Orientamento viene altresì precisato che: "In proposito, si precisa che, ai fini della verifica dell’eventuale superamento del periodo di comporto, vengono presi in considerazione esclusivamente i giorni di malattia coincidenti con quelli in cui il dipendente avrebbe dovuto rendere la prestazione lavorativa. In relazione ai giorni festivi e non lavorativi, ricadenti in tale periodo, si ritiene applicabile la medesima presunzione di continuità, alla quale si ricorre per calcolare il periodo di comporto del personale con rapporto di lavoro a tempo pieno. Sussiste, infatti, un orientamento giurisprudenziale consolidato, secondo il quale, in mancanza di una diversa previsione contrattuale, nel calcolo del periodo di assenza per malattia, devono essere computati anche i giorni festivi o non lavorativi, che ricadano all’interno di tale arco temporale (Cass. Civ., sez. lavoro, sentenza 10/11/2004, n. 21385, sentenza 18/10/2000, n. 13816; sentenza 14/12/1999, n. 14065)". L'ARAN, con Orientamento RAL del 05/06/2011, ha affermato che in conseguenza di tale riproporzionamento del periodo massimo di conservazione del posto, ai fini della verifica del suo eventuale superamento si computano solo i giorni di malattia del lavoratore coincidenti con quelli nei quali, in base all'articolazione dell'orario del rapporto di lavoro a tempo parziale, è tenuto a rendere la sua prestazione lavorativa. Pertanto, alla luce degli Orientamenti ARAN, in caso di rapporto di lavoro a tempo parziale di tipo verticale, trova applicazione il principio di riproporzionamento che, in relazione alle assenze per malattia, ha ad oggetto tre elementi che compongono la fattispecie: - il periodo massimo di conservazione del posto (cd. periodo di comporto) che per i dipendenti della Scuola è disciplinato dall’art. 17 comma 1 del CCNL 2007 e dall'art. 35 del CCNL 2024 per il personale a t.d.); - il triennio di riferimento, entro il quale calcolare il predetto periodo di conservazione del posto (o il diverso periodo stabilito per il personale a t.d); - i periodi di retribuzione intera e ridotta (cfr art. 17 comma 8 del CCNL 2007 e art. 35 CCNL 2024 per il personale a t.d.). Ciò premesso, in riferimento al caso di specie, atteso che il dipendente presenta singole richieste di assenza per malattia del bambino e/o parentale ( nonché di malattia personale) sarà considerato assente solo per le giornate in cui avrebbe avuto servizio. Tra l'altro trattasi di assenze a titolo diverso e quindi, a nostro avviso, non essendoci continuità tra gli istituti, le giornate del sabato e della domenica ricompresi tra le assenze, sono da considerare neutri. Unica eccezione sarebbe se le giornate del sabato e della domenica fossero comprese tra due assenze per malattia personale; in questo caso alla luce di quanto detto sopra anche dette giornate sarebbero imputabili a malattia personale.

    Data di pubblicazione: 12/11/2025

  • Compatibilità di contratto di supplenza con altro impiego part-time nel settore privato e possibilità di accettazione parziale dell’incarico...
  • In merito al quesito posto si ritiene che possa essere conferita la supplenza ad un aspirante che già ha un rapporto di lavoro con un'azienda privata (indipendentemente dalle ore lavorative presso il datore di lavoro privato) solo se si trattasse di spezzone orario non superiore alla metà dell’orario ordinario di servizio del titolare (la metà dell’orario del titolare rappresenta quindi il massimo delle ore accettabili). Precisiamo meglio. Il comma 6 dell’art. 53 del D.Lgs. n. 165 del 2001 prevede che la normativa in materia di incompatibilità disciplinata dal medesimo articolo si applica ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche con esclusione dei dipendenti con rapporto di lavoro a tempo parziale con prestazione lavorativa non superiore al 50% di quella a tempo pieno, oltre che dei docenti universitari a tempo definito e delle altre categorie di dipendenti pubblici ai quali è consentito da disposizioni speciali lo svolgimento di attività libero professionali. Pertanto, un temperamento “soggettivo” del principio di esclusività risulta dalle disposizioni contenute nella legge 23 dicembre 1996 n. 662, recante norme di razionalizzazione della finanza pubblica, laddove, all’art.1 comma 56 e seguenti viene consentito ai dipendenti pubblici con prestazione di lavoro part-time non superiore al 50% di quella a tempo pieno di svolgere attività libero- professionale ed attività di lavoro subordinato o autonomo. In tali ipotesi, pertanto, il cumulo di rapporto lavorativo viene legislativamente consentito, con la conseguenza che, per i dipendenti in regime di tempo parziale, non superiore al 50% di quello a tempo pieno, le disposizioni di cui all’art. 53 del decreto legislativo n. 165 del 2001, nonché quelle contenute in leggi o regolamenti che vietano l’iscrizione in albi professionali, risultano inapplicabili. Infatti, riteniamo che la normativa suesposta per il personale in part time è applicabile anche al personale titolare di spezzone orario. Detto personale è, in sostanza, titolare di un contratto con orario inferiore a quello ordinario; ne consegue che il suo rapporto di lavoro, ai fini del regime delle incompatibilità, è equiparabile ad un part time. Ciò premesso, sel’aspirante è destinatario di una supplenza piena a nostro avviso, non è possibile il conferimento della supplenza in questione. Nè, a nostro avviso, rileva il fatto che l'aspirante si collocherebbe in aspettativa in quanto l'essere collocato in aspettativa non retribuita non interrompe la titolarità del rapporto lavorativo presso l'azienda privata. Infine, si ritiene che non sia facoltà dell’aspirante chiedere il frazionamento delle disponibilità orarie della supplenza per esigenze di carattere personale. Tra l’altro si ricorda che, riguardo alla possibilità di frazionare la cattedra o posto intero per completare, l'orario di servizio, l'O.M. 88/2024, modificando quanto previsto nelle precedenti ordinanze, non ha più consentito tale frazionamento e nelle premesse dell'ordinanza è stato specificato che: "RITENUTO di non accogliere la richiesta del CSPI di prevedere, all’articolo 12, comma 12, e all’articolo 13, comma 20, che il completamento possa attuarsi anche mediante il frazionamento orario delle relative disponibilità, al fine di salvaguardare l’unicità dell’insegnamento nella classe e nelle attività di sostegno ed evitare la creazione di ulteriori frazionamenti orari".

    Data di pubblicazione: 12/11/2025

  • Alcune questioni legate all'organizzazione dell’orario delle lezioni e adattamento alle esigenze del territorio...
  • La mia domanda riguarda in realtà due questioni che però si intrecciano. La mia scuola ha diversi percorsi. Uno di questi consta di 35 ore...

    Data di pubblicazione: 12/11/2025

  • Alcune questioni legate alla retribuzione e al periodo di comporto di una dipendente con malattia professionale riconosciuta e inidoneità temporanea assoluta...
  • L’assenza per infortunio e per malattia dovuta a causa di servizio sono distinte seppur disciplinate entrambe dall’art. 20 del CCNL 2007 non modificato o abrogato dal CCNL 2024. L’art. 20, prevede che: “In caso di assenza dovuta ad infortunio sul lavoro, non si computa ai fini del limite massimo del diritto alla conservazione del posto il periodo di malattia necessario affinchè il dipendente giunga a completa guarigione clinica. In tale periodo al dipendente spetta l'intera retribuzione di cui all’art. 17, comma 8, let. a). 2. Fuori dei casi previsti nel comma 1, se l'assenza è dovuta a malattia riconosciuta dipendente da causa di servizio, al lavoratore spetta l'intera retribuzione per tutto il periodo di conservazione del posto di cui all'art. 17, commi 1, 2 e 3. 3. Le disposizioni di cui al presente articolo sono dirette alla generalità del personale della scuola e pertanto si applicano anche ai dipendenti con contratto a tempo determinato, nei limiti di durata della nomina, e anche a valere su eventuale ulteriore nomina conferita in costanza delle patologie di cui sopra”. In sintesi, l’art. 20 prevede un trattamento economico più favorevole per tutto il periodo di conservazione del posto. La malattia per causa di servizio è, però, cumulabile con le malattie ai fini del raggiungimento del periodo di comporto. Si ritiene utile richiamare l'Orientamento ARAN SCU_086_del 4 febbraio 2015: “L’art. 20, comma 2, del CCNL del 29.11.2007 del comparto scuola richiama in modo esplicito i primi tre commi dell’art. 17, relativo all’assenza per malattia tout court, e, quindi, la concessione dell’ulteriore periodo di 18 mesi di malattia al dipendente richiedente, deve ritenersi soggetta alla procedura di cui al medesimo terzo comma dell’art. 17. Per quanto concerne la retribuzione, invece, l’art. 20, comma 2 su citato, prevede che per questa specifica assenza dovuta a causa di servizio, il dipendente ha diritto alla retribuzione intera senza operare le differenti retribuzioni previste per la semplice malattia. Sull’accertamento della malattia da causa di servizio, occorre rilevare che l’art. 6 del D.L. n. 201 del 6 dicembre 2011, convertito con modificazioni dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, ha disposto, dalla data di entrata in vigore del decreto legge, l’abrogazione degli istituiti dell’accertamento della dipendenza dell’infermità da causa di servizio, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, dell’equo indennizzo e della pensione privilegiata”. Riassumendo: 1. l'assenza per causa di servizio rileva ai fini del comporto; 2. l’assenza, quindi, è cumulabile con le malattie ai fini del raggiungimento del comporto; 3. il trattamento retributivo è pieno La spunta sul certificato telematico è sufficiente a ricondurre l’assenza a causa di servizio fermo restando che per completezza la scuola dovrebbe avere agli atti il riconoscimento della causa di servizio – nel caso di specie si presume riconosciuta prima dell’abrogazione del 2011 - operato dal Comitato di verifica per le cause di servizio ai sensi del D.P.R. n. 461 del 29.10.2001. Ciò premesso, stante che la dipendente ha superato il comporto, la scuola dovrà inviarla a visita collegiale ai sensi del combinato disposto dell'art. 17 del CCNL 2007 e del DPR 171/2011. Infatti, il dipendente che ha superato il periodo di comporto deve essere comunque inviato a visita collegiale indipendentemente se ha richiesto o meno l'ulteriore periodo di comporto di 18 mesi di cui all'art. 17, comma 2, del CCNL 2007. La nuova visita collegiale, prevista dalla normativa vigente, non è in contraddizione con eventuali precedenti accertamenti medici; infatti, il dirigente deve sottoporre il dipendente a visita medica collegiale allo scopo di accertare se il medesimo, allo scadere dei 18 mesi, è o meno in una condizione di inidoneità permanente ed assoluta che comporterebbe la risoluzione del rapporto di lavoro. In tal senso, visto che è pendente la visita collegiale di revisione stante il precedente giudizio di inidoneità temporanea ed assoluta, nel chiedere quella nuova il DS dovrà specificare che la nuova richiesta inerisce anche al fatto che ora la dipendente ha superato il periodo di comporto (quindi la visita non è più solo per accertamento della inidoneità ma per superamento del comporto - cfr. art. 3 DPR 171/2011 che declina le diverse fattispecie). Precisiamo meglio. L’art. 17, comma 1, del CCNL 2007 prevede che il dipendente assente per malattia ha diritto alla conservazione del posto per un periodo di diciotto mesi. Ai fini della maturazione del predetto periodo, si sommano, alle assenze dovute all'ultimo episodio morboso, le assenze per malattia verificatesi nel triennio precedente. Il secondo comma del citato articolo prevede che, superato il periodo previsto dal comma 1, al lavoratore che ne faccia richiesta è concesso di assentarsi per un ulteriore periodo di 18 mesi in casi particolarmente gravi, senza diritto ad alcun trattamento retributivo. Il terzo comma prevede che, prima di concedere su richiesta del dipendente l'ulteriore periodo di assenza di cui al comma secondo l'amministrazione procede all'accertamento delle sue condizioni di salute, per il tramite del competente organo sanitario ai sensi delle vigenti disposizioni, al fine di stabilire la sussistenza di eventuali cause di assoluta e permanente inidoneità fisica a svolgere qualsiasi proficuo lavoro. Superati i periodi di conservazione del posto previsti dai commi 1 e 2, oppure nel caso che, a seguito dell'accertamento disposto ai sensi del comma 3, il dipendente sia dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro, l'amministrazione può procedere, salvo quanto previsto dal successivo comma 5, alla risoluzione del rapporto corrispondendo al dipendente l'indennità sostitutiva del preavviso. In materia è successivamente intervenuto il DPR 27 luglio 2011, n. 171 con il quale, in ottemperanza alla previsione di cui all'articolo 55-octies del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, è stato introdotto il “Regolamento di attuazione in materia di risoluzione del rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche dello Stato e degli enti pubblici nazionali in caso di permanente inidoneità psicofisica”. Il citato regolamento disciplina la procedura, gli effetti ed il trattamento giuridico ed economico relativi all'accertamento della permanente inidoneità psicofisica dei dipendenti, anche con qualifica dirigenziale, delle amministrazioni dello Stato. Le disposizioni del citato DPR si applicano in via automatica, ai sensi dell’art. 2, comma 3 bis, del D.Lgs. n. 165/2001 e, pertanto, abrogano le precedenti disposizioni anche di natura contrattuale. Nel citato Regolamento viene previsto che la pubblica amministrazione avvia la procedura per l'accertamento dell'inidoneità psicofisica del dipendente, in qualsiasi momento successivo al superamento del periodo di prova, in caso assenza del dipendente per malattia, superato il primo periodo di conservazione del posto previsto nei contratti collettivi di riferimento. In detta ipotesi la scuola, prima di concedere l'eventuale ulteriore periodo di assenza per malattia, dandone preventiva comunicazione all'interessato, procede all'accertamento delle condizioni di salute dello stesso, per il tramite dell'organo medico competente, al fine di stabilire la sussistenza di eventuali cause di permanente inidoneità psicofisica assoluta o relativa. Ferma restando la possibilità di risoluzione del rapporto di lavoro in caso di superamento del periodo di comporto previsto dal CCNL vigente, la scuola procede alla risoluzione del rapporto di lavoro se a seguito all'accertamento medico emerge un'inidoneità permanente psicofisica assoluta. La richiesta di visita va effettuata superato il primo periodo di comporto anche se non vi è stata richiesta di proroga. Per quanto concerne gli adempimenti in caso di superamento del primo periodo di 18 mesi già forniva utili precisazioni la C.M. 13 marzo 2000, n. 69 la quale prevedeva che “…i Provveditorati agli Studi, allo stato attuale, e le Istituzioni Scolastiche, per effetto del D.P.R. dell'8 marzo 1999, n. 275, dal 1° settembre 2000, nel caso in cui il dipendente non si sia avvalso della facoltà disciplinata dal succitato secondo comma (richiesta della proroga eccezionale dell’assenza per malattia dopo il superamento dei 18 mesi), devono attivare la procedura per l'accertamento tecnico della sussistenza dell'eventuale inidoneità allo svolgimento del servizio…". Quindi, anche alla luce delle suesposte indicazioni ministeriali la scuola, anche nel caso non vi fosse la richiesta del dipendente del secondo periodo di comporto, deve sottoporre comunque il dipendente stesso a visita medica collegiale allo scopo di accertare se il medesimo, allo scadere dei 18 mesi, è in grado o meno di riassumere servizio; questo adempimento è indispensabile per stabilire che la conseguente risoluzione del rapporto di impiego non è attribuibile alla volontà dell'interessato ma a causa di forza maggiore (il che potrebbe comportare delle conseguenze anche dal punto di vista pensionistico). L’ulteriore periodo di comporto può essere concesso in casi particolarmente gravi, intendendosi per tali le situazioni di malattia che non consentono il rientro in servizio ma che comunque escludono una inidoneità assoluta e permanente. L'ARAN con gli Orientamenti Applicativi del 30 settembre 2020 CIRU27 e CIRU29 ha precisato che: - il lavoratore che intenda fruire degli ulteriori 18 mesi di assenza non retribuita (cfr. art. 17, comma 2, CCNL 2007), alla relativa istanza, deve allegare idonea certificazione medica attestante la gravità della patologia che non consente la ripresa dell’attività lavorativa; - per quanto riguarda le modalità di fruizione del secondo periodo di comporto (ulteriori 18 mesi), la formulazione adottata nel CCNL non consente un utilizzo dello stesso in misura frazionata. Al lavoratore è, comunque, consentita la ripresa del servizio nel caso sopraggiunga la completa guarigione prima che scadano i diciotto mesi. In definitiva, al momento del superamento del comporto, la scuola dovrà comunque attivare la visita collegiale. Il dipendente potrà chiedere di assentarsi per ulteriore periodo di comporto ai sensi dell'art. 17, comma 2, del CCNL ma la scuola dovrà comunque richiedere la visita collegiale; nelle more delle risultanze della visita il dipendente sarà comunque assente per malattia a zero fermo restando poi che, all'esito della visita, potrà essere confermata l'assenza per ulteriore periodo di comporto (in caso il dipendente lo abbia chiesto) o, in caso di giudizio di inidoneità assolta e permanente, si procederà con la risoluzione del rapporto di lavoro. All'esito della visita, nel caso di idoneità l'interessato dovrà essere invitato a riassumere servizio ed in caso di rifiuto il rapporto di lavoro si risolverà per superamento del comporto, a meno che il dipendente non faccia richiesta dell'ulteriore periodo di 18 mesi non retribuito previsto dall'art. 17, comma 2. Qualora invece venga ritenuta inidonea in modo assoluto e permanente si procederà alla risoluzione del rapporto di lavoro ai sensi del DPR 171/2001 con corresponsione dell'indennità sostitutiva del preavviso. La Corte di Cassazione, con la Sentenza 14 ottobre 2015 n. 20722, ha precisato che per effettuare un licenziamento per superamento del periodo di comporto è indispensabile la tempestività della comunicazione. Per contro la riammissione in servizio del lavoratore, dopo che quest’ultimo ha superato il periodo massimo di tutela del posto di lavoro, è da considerare come una implicita manifestazione di volontà del non volersi avvalere del potere recessivo. La Cassazione ha, infatti, affermato che: - una volta superato il periodo di comporto, il lasciar passare del tempo tra la riammissione in servizio del lavoratore e il licenziamento fa perdere a quest’ultimo la motivazione legata al superamento del periodo di comporto; - se la risoluzione non è tempestiva viene meno il nesso causalità tra superamento del periodo di tutela e il licenziamento; - l'intervallo di tempo tra il superamento del periodo di comporto per malattia e la comunicazione del recesso da parte del datore di lavoro non deve superare limiti di adeguatezza e ragionevolezza. Mentre nel licenziamento disciplinare vi è l'esigenza della immediatezza del recesso, volta a garantire la pienezza del diritto di difesa all'incolpato, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto per malattia la tempestività del licenziamento non può risolversi in un dato cronologico fisso e predeterminato, ma costituisce valutazione di congruità che il giudice di merito deve fare caso per caso, con riferimento all'intero contesto delle circostanze significative. Pertanto, pur non essendo possibile, in caso di superamento del comporto, che il rapporto rimanga in uno stato di risolubilità, in contrasto con il regime di stabilità previsto dalla legge, costituisce però onere del lavoratore provare che l'intervallo di tempo tra il superamento del periodo di comporto per malattia e la comunicazione del recesso da parte del datore di lavoro abbia superato i limiti di adeguatezza e ragionevolezza, sì da far ritenere - eventualmente in concorso con altre circostanze di fatto significative - la volontà tacita del datore di lavoro di rinunciare alla facoltà di recedere dal rapporto. La Cassazione ha altresì precisato che la valutazione del tempo decorso tra il superamento del periodo di comporto e l'intimazione del licenziamento, al fine di stabilire se la durata di esso sia tale da risultare oggettivamente incompatibile con la volontà di porre fine al rapporto, non può risolversi nella mera individuazione del dato cronologico e va condotta con criteri che tengano conto di tutte le circostanze all'uopo significative, così da contemperare da un lato l'esigenza del lavoratore alla certezza della vicenda contrattuale e, dall'altro, quella del datore di lavoro circa l'opportunità della prosecuzione del rapporto (Cass. 7 febbraio 2014 n. 2835). Anche l'ARAN ha ricordato che le decisioni dell'Amministrazione, relativamente alla conservazione o meno del rapporto di lavoro (anche attraverso la concessione dell'ulteriore periodo di assenza non retribuito) siano adottate nel più breve tempo possibile, ove sia stato già superato il periodo massimo di conservazione del posto (si tratta dei 18 mesi previsti dall'art. 17, comma 1, del CCNL 2017) perché il ritardo può valere come rinuncia tacita al diritto di risolvere il rapporto di lavoro. La rinuncia espressa o tacita del datore di lavoro alla facoltà di recedere dal rapporto per avvenuto superamento del periodo massimo di conservazione del posto comporta rilevanti conseguenze. Infatti, secondo la Corte di Cassazione (Cass. 4.12.1986, n. 7201): "…..chiuso un periodo caratterizzato dal superamento del comporto, non seguito da licenziamento, se ne apre un altro di uguale entità, nel quale rientrano gli eventi morbosi verificatisi dopo la chiusura, senza effetti rescissori, del precedente periodo...". Nel caso di specie la dipendente è stata dichiarata inidonea in modo assoluto e temporaneo fino al 31 gennaio 2026 e quindi dovrà essere collocata in malattia d’ufficio a zero stante che ha superato il primo periodo di comporto. Tuttavia, come detto sopra, stante il superamento del comporto, la scuola dovrà comunque richiedere visita collegiale ( e si è anche in ritardo stante che il suddetto superamento è avvenuto in data 8 settembre 2025) ma è necessario, a nostro avviso, che la dipendente presenti la richiesta del secondo periodo di comporto a zero ( art. 17 co. 2 CCNL 2007) per evitare la risoluzione del rapporto di lavoro.

    Data di pubblicazione: 12/11/2025

  • Un docente ha apposto la firma sul registro elettronico anticipatamente rispetto all'ora di lezione: come procedere?
  • Un docente ha apposto la firma sul registro elettronico anticipatamente rispetto all'ora di lezione. Nel raggiungere l'Istituto ha fatto....

    Data di pubblicazione: 12/11/2025

  • Una docente in part-time richiede autorizzazione a collaborare con un'agenzia di viaggi già partner dell’Istituto: valutazione di compatibilità e conflitto d’interessi...
  • Il comma 15 dell’art. 508 del D.Lgs. n. 297 del 1994 prevede che al personale docente (senza distinzione tra docenti di ruolo e a t.d.; nè tra docenti a tempo pieno e docenti in part time) è consentito, previa autorizzazione del Dirigente Scolastico, l’esercizio della libera professione a condizione che non sia di pregiudizio all’ordinato e completo assolvimento delle attività inerenti alla funzione docente. I presupposti richiesti dalla norma di cui all’art. 508 comma 15 citato sono quindi: a) esercizio di una libera professione; b) l’autorizzazione del dirigente scolastico. Quindi, le attività libero professionali (anche quelle non regolamentate di cui alla L. 4/2013) possono essere svolte dal personale docente anche a tempo pieno, purché: 1. non siano di pregiudizio alla funzione docente; 2. siano compatibili con l'orario di insegnamento e di servizio; 3. siano esplicate previa autorizzazione del Dirigente scolastico (ovviamente, si deve trattare di attività rientranti effettivamente nel concetto di libera professione). Per quanto concerne i margini di manovra spettanti al dirigente scolastico in sede di rilascio della prescritta autorizzazione, il Ministero ha precisato che il dirigente "è tenuto a richiedere le informazioni che ritiene opportune in merito all'attività che l'interessato intende svolgere, proprio al fine di valutare se l'esercizio dell'attività medesima possa arrecare pregiudizio al rendimento della professione di docente, ovvero se sussistano situazioni di conflitto, anche potenziale, di interessi e in tal caso, lo stesso dirigente scolastico può negare l’autorizzazione” (cfr la Circolare n. 480 del 2015 del Consiglio nazionale degli ingegneri (CNI) sull’attività libero professionale dei docenti, diffusa a seguito delle risposte ottenute dalla direzione generale per il personale scolastico del Ministero dell'Istruzione, Università e Ricerca (MIUR ora MIM). In giurisprudenza è stato affermato che il rilascio o il diniego di autorizzazione, ai sensi dell'art. 508 comma 15, D.Lgs. n. 297 del 1994, richiede che si valuti e conseguentemente si motivi la ricorrenza del presupposto della compatibilità con le attività inerenti alla funzione docente e con l'orario di insegnamento e di servizio, oltre che, a monte, sia verificata la natura libero — professionale dell'attività da espletare (cfr. TAR Campania 3 luglio 2012, n. 3163). Più in generale l'autorizzazione ad incarichi extraistituzionali o all'esercizio di libera professione deve valutare l'insussistenza di situazioni di conflitto di interessi anche potenziale. La P.A. deve verificare ex ante la sussistenza di eventuali conflitti di interessi in capo al dipendente pubblico Infatti, in tutti i casi di conferimento di incarichi retribuiti ai dipendenti pubblici, la P.A. è tenuta a verificare necessariamente "ex ante" le situazioni, anche solo potenziali, di conflitto di interessi, al fine di assicurare il più efficace rispetto dell'obbligo di esclusività, funzionale al buon andamento, all'imparzialità e alla trasparenza dell'azione amministrativa, ne consegue che il privato conferente l'incarico e il dipendente pubblico, anche se in part-time, hanno entrambi comunque l'obbligo di comunicare al datore il conferimento dell'incarico onde consentire all'ente di concedere la relativa autorizzazione previa valutazione dell'assenza di una possibile situazione di conflitto di interessi dell'incarico con l'attività lavorativa. (Cassazione civile sez. II, 07/04/2023, n.9552) Quindi, in presenza di incarico retribuito ai sensi dell'art. 53, comma 7, d.lg. n. 165 del 2001, è necessaria da parte dell'Amministrazione datrice di lavoro una previa verifica puntuale, di volta in volta, in ordine alla insussistenza di situazioni di d'interessi nell'attività espletata all'esterno e dell'impegno, in termini di energie intellettuali e lavorative, richiesto al proprio dipendente dalla medesima attività. (Cassazione civile sez. lav., 29/03/2023, n. 8846) E' stato altresì affermato (cfr. Cassazione civile sez. lav., 03/08/2021, n.22188) che nel regime dell'incompatibilità assoluta, di cui all'art. 60 del d.P.R. n. 3 del 1957 (richiamato prima dall'art. 58 del d.lgs. n. 29 del 1993, e poi dall'art. 53 del d.lgs. n. 165 del 2001), non occorre valutare l'esistenza di riflessi negativi sul rendimento e sull'osservanza dei doveri d'ufficio, essendo sufficiente, per la preminenza dell'interesse pubblico, la mera potenzialità del conflitto, senza che rilevi l'eventuale conoscenza del fatto da parte dell'amministrazione, stante l'indisponibilità della materia. Nel caso di specie il rischio di conflitto di interessi, almeno sotto il profilo potenziale, sussiste. Pertanto, a nostro avviso, potrà essere concessa l’autorizzazione all’esercizio della libera professione condizionata nel senso che la docente dovrà evitare situazioni che coinvolgono alunni della scuola ove presta servizio.

    Data di pubblicazione: 12/11/2025

  • Un parere sulla concessione di un'ulteriore aspettativa a un docente di ruolo che svolge il periodo di prova presso il Conservatorio di musica...
  • L’art. 23-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 il quale prevede che "in deroga all'articolo 60 del testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato, di cui al d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ivi compresi gli appartenenti alle carriere diplomatica e prefettizia e, limitatamente agli incarichi pubblici, i magistrati ordinari, amministrativi e contabili e gli avvocati e procuratori dello Stato sono collocati, salvo motivato diniego dell'amministrazione di appartenenza in ordine alle proprie preminenti esigenze organizzative, in aspettativa senza assegni per lo svolgimento di attività presso soggetti e organismi, pubblici o privati, anche operanti in sede internazionale, i quali provvedono al relativo trattamento previdenziale. Resta ferma la disciplina vigente in materia di collocamento fuori ruolo nei casi consentiti. Il periodo di aspettativa comporta il mantenimento della qualifica posseduta. È sempre ammessa la ricongiunzione dei periodi contributivi a domanda dell'interessato, ai sensi della legge 7 febbraio 1979, n. 29, presso una qualsiasi delle forme assicurative nelle quali abbia maturato gli anni di contribuzione. Quando l'incarico è espletato presso organismi operanti in sede internazionale, la ricongiunzione dei periodi contributivi è a carico dell'interessato, salvo che l'ordinamento dell'amministrazione di destinazione non disponga altrimenti". Il riferimento allo svolgimento di "attività" presso "soggetti pubblici" è generico e, in mancanza di indicazioni contrarie da parte delle Amministrazioni competente, si può applicare anche al caso di un docente che vuole svolgere docente presso una Istituzione AFAM. Si ricorda, altresì, che il Dipartimento della Funzione Pubblica, con il Parere n. 7147 del 3 febbraio 2021, pubblicato in data 8 marzo 2021, ha fornito chiarimenti in merito al fatto se - alla luce delle previsioni dell’art. 23-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 - sia possibile concedere al pubblico dipendente l’aspettativa per lo svolgimento di un contratto di lavoro subordinato a tempo determinato presso altra Pubblica Amministrazione o organizzazione privata. La Funzione Pubblica, dopo aver ricordato che è vigente nel nostro ordinamento il divieto di cumulo di impieghi pubblici posto dall’art. 65 del DPR n. 3 del 1957, ritiene che - in ragione della sua specialità - l’aspettativa di cui all’art. 23-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 possa trovare applicazione esclusivamente in termini di residualità rispetto ad altri istituti previsti da norme di rango legislativo che disciplinano con maggior dettaglio fattispecie in cui il dipendente pubblico può prestare servizio per un’amministrazione diversa da quella nei cui ruoli è inquadrato e, comunque, subordinatamente alla previa valutazione dell’esigenze organizzative e in funzione del perseguimento di obiettivi di crescita professionale del dipendente interessato. Più specificamente, ad avviso del Dipartimento, l’aspettativa di cui all’art. 23-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 per espressa previsione del legislatore costituisce una deroga del principio dell’esclusività del lavoro alle dipendenze dell’amministrazione. In assenza di previsioni espresse sul rapporto con il divieto generale di cumulo degli impieghi, la Funzione Pubblica è del parere che tale aspettativa non sia utilizzabile nell’ipotesi di instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato a tempo determinato con altra amministrazione conseguente al positivo esperimento di procedure a carattere selettivo. È opportuno che le amministrazioni che si debbano esprimere sulla richiesta di aspettativa di cui all’art. 23-bis del D.Lgs. n. 165 adottino criteri generali per assicurare la regolare prosecuzione delle attività istituzionali e scongiurare la sussistenza di potenziali conflitti di interesse. La ratio sottesa alla norma, ossia quella di favorire lo sviluppo di esperienze lavorative più articolate da parte dei dipendenti pubblici, dovrebbe riferirsi a situazioni e contesti contigui ma non identici, in modo tale da generare esperienze professionali diverse non altrimenti conseguibili nell’organizzazione di provenienza. La previsione normativa, che pone a carico del soggetto presso cui è svolta la diversa esperienza lavorativa gli oneri relativi al trattamento previdenziale, è sintomatica dell’applicabilità dell’istituto in situazioni non coperte da discipline già tipizzate che consentono il lavoro presso altre amministrazioni. La previsione normativa non attribuisce, pertanto, in capo al dipendente un diritto potestativo al collocamento in aspettativa a fronte di un obbligo di disposizione in capo al datore di lavoro, ma configura un onere dell'amministrazione a valutare in concreto la sussistenza delle condizioni di sostenibilità organizzativa. Pertanto, alla luce dei chiarimenti della Funzione Pubblica: - il possibile ricorso al regime di aspettativa previsto dall'art. 23-bis del D.Lgs. n. 165 del 2001 deve essere considerato sulla base delle esigenze organizzative dell'amministrazione che la dispone; - in ordine alla possibilità di collocare in aspettativa un dipendente che, avendo partecipato alla selezione per unità di personale non dirigenziale, è stato convocato per la sottoscrizione del relativo contratto di assunzione a tempo determinato, l'Amministrazione dovrà valutare in concreto, sulla base del ponderato esercizio del proprio potere datoriale, l'opportunità della concessione dell'aspettativa di cui trattasi, avuto riguardo, in ogni caso, alle specifiche esigenze organizzative. In conclusione, come evidenziato in nostre precedenti risposte, anche se l'aspettativa ne esce molto ridimensionata per quanto concerne il campo di applicazione, si ritiene che comunque possa essere utilizzata nella fattispecie di cui al quesito (docenza al Conservatorio). Per quanto concerne la durata il comma 4 dell'art. 23-bis si limita a prevedere che "nel caso di svolgimento di attività presso soggetti diversi dalle amministrazioni pubbliche (ma nel caso di specie il Conservatorio è amministrazione pubblica), il periodo di collocamento in aspettativa di cui al comma 1 non può superare i cinque anni, è rinnovabile per una sola volta e non è computabile ai fini del trattamento di quiescenza e previdenza"; quindi la durata non deve coincidere con l'anno scolastico o comunque concludersi nello stesso AS come per l'art. 18, c. 3 e del CCNL 2007. Pertanto, per l'aspettativa per incarichi presso soggetti pubblici non c'è un limite massimo e può essere concessa, quindi, anche a scavalco di due anni scolastici. In merito al rinvio dell’anno di prova l’art. 2, c. 3 del D.M. n. 226/2022 stabilisce espressamente che: “Il percorso di formazione e periodo annuale di prova in servizio è rinviabile nei casi di fruizione di assegno di ricerca o di frequenza di dottorato di ricerca, sino al primo anno scolastico utile dopo la fine dell’impegno, oltre che in tutti gli altri casi previsti dalla normativa vigente.” La disciplina del periodo di prova del personale docente è attualmente contenuta nei cc. 116-120 dell’art. 1 della legge n. 107/2015 e, per quanto compatibili con essi, negli artt. 437-440 del D.Lgs. n. 297/1994 nonché, infine, nel citato D.M. n. 226/2022. Dal complesso di queste disposizioni, si evince chiaramente che si accede alla valutazione del comitato di valutazione solo se si realizzano i presupposti dei 180 giorni di servizio effettivo di cui almeno 120 di attività didattica. In questo senso risultano chiari sia il c. 116 della legge n. 107/2015, sia l’art. 3 del D.M. n. 226/2022 che subordinano il superamento del periodo di prova al compimento di detti presupposti, sia infine l’art. 438, c. 5, D.Lgs. n. 297/1994 secondo cui: “Qualora nell'anno scolastico non siano stati prestati 180 giorni di effettivo servizio, la prova è prorogata di un anno scolastico, con provvedimento motivato, dall'organo competente per la conferma in ruolo.” A differenza della ripetizione del periodo di prova, “non rinnovabile” e pertanto possibile solo una volta in caso di esito sfavorevole del primo periodo di prova (cfr. art. 439 D.Lgs. n. 297/1994; c. 119 legge n. 107/2015 e art. 14, c. 4, D.M. n. 226/2022), la proroga di cui parla l’art. 438, c. 5, D.Lgs. n. 297/1994 non incontra tale limite. Ciò significa, in buona sostanza, che non vi è un numero predeterminato di proroghe del periodo di prova di cui il personale docente può fruire Fino a quando non raggiunge 180 giorni di servizio effettivo, di cui almeno 120 di attività didattiche non accede alla valutazione del comitato e ha diritto alla proroga. Ovviamente, tuttavia, come affermato da Cassazione, sez. lav., n. 40406/2021, fa eccezione il superamento del periodo di comporto che impone di sottoporre il personale docente a visita medico-collegiale per accertare la idoneità al servizio, cui può conseguire la risoluzione del rapporto di lavoro ex art. 8 D.P.R. n. 171/2011. Infine, una ultima precisazione. L'art. 23 bis è applicabile se i contratti con il conservatorio sono a td mentre non è possibile avere contemporaneamente due contratti a tempo indeterminato con due Amministrazioni diverse. Si rileva, infatti, la previsione dell' 65 del DPR 3 del 1957 ai sensi del quale: "Gli impieghi pubblici non sono cumulabili, salvo le eccezioni stabilite da leggi speciali. ..... L'assunzione di altro impiego nei casi in cui la legge non consente il cumulo importa di diritto la cessazione dall'impiego precedente, salva la concessione del trattamento di quiescenza eventualmente spettante, ai sensi dell'art. 125, alla data di assunzione del nuovo impiego". L'art. 65 t.u. imp. civ. St. (DPR 10 gennaio 1957, n. 3), nel porre il divieto esplicito di cumulo di pubblici impieghi, predispone un meccanismo automatico che richiede solo un'attività ricognitiva da parte dell'amministrazione, in base al quale meccanismo l'assunzione di un nuovo impiego da parte dell'impiegato determina di diritto la cessazione di quello precedente, sul presupposto che il dipendente, accettando il secondo rapporto, abbia inteso dismettere il primo con la cessazione di diritto del precedente rapporto a seguito dell'assunzione del nuovo, il legislatore vuole garantire che il pubblico dipendente presti la propria attività a favore di un solo datore di lavoro pubblico (cfr Consiglio di Stato, sez. VI, 14/10/2004, n. 6667). In definitiva, l'art. 65, t.u. 10 gennaio 1957, n. 3, prevede la cessazione "ipso jure" dell'impiego precedente con l'assunzione di un nuovo impiego, solo nel caso in cui i due rapporti si equivalgano, sicché è legittimo ritenere che il dipendente preferisca conservare quello intervenuto successivamente, considerandosi in sostanza indifferenti per lo stesso; per cui, nel caso in cui manchi fra i due rapporti la necessaria equivalenza qualitativa e quantitativa, non ricorre la situazione descritta (T.A.R. Emilia-Romagna sez. II, 04/05/1995, n. 190). Ciò premesso, a nostro avviso, una volta superato il periodo di prova presso la nuova Amministrazione, con assunzione a t.i. presso il Conservatorio, non essendo possibili due contratti a t.i. con due Amministrazioni diverse, si applica il disposto dell'art. 65 TU 3/1957 sopra richiamato e quindi non può essere richiesto un nuovo periodo di aspettativa.

    Data di pubblicazione: 12/11/2025

  • Elezioni del CdI: criteri per l’attribuzione dei seggi e per la surroga in assenza di rappresentanti di un ordine scolastico...
  • L’O.M. 215/1991, che disciplina in via permanente la procedura elettorale degli organi collegiali della scuola, regolamenta in modo dettagliato la questione del posto riservato a ciascuna delle componenti (docenti, genitori e ATA) delle scuole secondarie di secondo grado confluite per aggregazione in una nuova istituzione scolastica (art. 44, comma 8), non specifica le modalità secondo cui dare attuazione, negli istituti comprensivi, alla riserva di un posto per ogni ordine della componente docenti e genitori. Procedendo per via interpretativa all’esame delle due questioni poste nel quesito, si osserva quanto segue. L’ipotesi fatta nel quesito si riferisce alla presenza di un'unica lista dei docenti o dei genitori; supponiamo dei genitori. L’ultimo dei genitori risultati eletti (purché non sia l’unico rappresentante dell’ordine nel consiglio) cede il posto al primo dei genitori della lista appartenente all’ordine risultante, dall’esito delle preferenze, senza rappresentante nel consiglio. Se poi l’anno successivo il/la figlio/a di questo genitore passa all’ordine superiore, il genitore, divenuto consigliere per la procedura di cui sopra, conserva il seggio. Ciò in quanto la garanzia della rappresentanza di docenti e genitori di tutti gli ordini nel consiglio di un comprensivo va garantita, se possibile, al momento della elezione del consiglio e della nomina dei consiglieri; le cause di decadenza dei consiglieri sono fissate in termini tassativi (perdita dell’elettorato attivo e passivo nella scuola) dalla norma e non si prestano a applicazioni ulteriori, come sarebbe l’ipotesi prospettata nella descrizione del quesito.

    Data di pubblicazione: 12/11/2025

  • Assenza prolungata di una dipendente beneficiaria di L. 104/92 in modalità oraria: diritto della supplente alla permanenza in servizio...
  • Gentile utente, Se il contratto della supplente è stato stipulato per tutto l'anno fino al termine delle lezioni e non vi è stata apposta alcuna clausola risolutiva, la supplente ha diritto a mantenere le 12 ore fino alla scadenza del contratto. Per il restante orario di servizio in cui la titolare sarà assente per malattia, la supplente può completare le 12 ore fino al raggiungimento dell'orario settimanale obbligatorio di 36 ore , ai sensi del regolamento delle supplenze n. 430/2000 art. 4, sempre che sia in posizione utile in graduatoria per tale completamento. La sostituzione per le ore di malattia però non può essere attribuita immediatamente, ma solo dal trentesimo giorno di assenza dell'assistente, stante le norme della legge 205/2017 art. 1, comma 602. Si precisa che il diritto al completamento di orario è garantito sia dalle norme del CCNL di comparto che dal regolamento delle supplenze e pertanto la supplente che conserva le 12 ore di sostituzione fino al termine delle lezioni, può accettare il completamento dopo il trentesimo giorno e fino alla scadenza della malattia, se la posizione in graduatoria lo consente.

    Data di pubblicazione: 11/11/2025

  • Richiesta di rimborso spese di viaggio: come procedere in caso di mancata preventiva autorizzazione all’uso del mezzo proprio?
  • Il M.I.M., con il Quaderno 3, ha ricordato che i criteri di determinazione dei compensi degli esperti esterni ed i relativi limiti devono essere definiti all’interno del regolamento di cui si dota la singola istituzione scolastica per l’affidamento di incarichi individuali. In linea generale, si evidenzia che per tutti i destinatari di incarico (sia interni che esterni all’Amministrazione): - in caso di attività per le quali esistono riferimenti normativi/contrattuali specifici, si applicano i compensi da essi previsti (ad esempio, tabelle allegate al CCNL, parametri e indicazioni contenute nel D.I. n. 326/95 ovvero compensi previsti dalla Circolare del Ministero del lavoro n. 101/97 del 17/07/1997); - è possibile stabilire un compenso forfettario, il quale tenga conto della complessità dell’incarico e del tempo presumibilmente necessario per espletarlo, dell’impegno e delle competenze professionali richieste all’esperto e delle disponibilità finanziarie programmate, qualora ciò sia economicamente più conveniente all’Amministrazione. Sono fatti salvi i compensi per i quali è escluso il regime di forfetizzazione (a titolo esemplificativo: compensi previsti in specifici progetti finanziati con fondi comunitari e/o regolamentati dagli stessi enti erogatori). Il M.I.M, con la Nota 4 novembre 2021, n. 25415, facendo seguito alla prima pubblicazione del Quaderno n. 3 di cui alla Nota n. 3201 del 10 febbraio 2021, ha trasmesso lo Schema di Regolamento per il conferimento di incarichi individuali, ai sensi dell’art. 45, comma 2, lett. h), del D.I. n. 129/2018. L'art. 12 dello Schema di Regolamento sopra citato così prevede "Art. 12 - Fissazione del compenso 1. Il Dirigente Scolastico provvede alla determinazione del compenso tenendo conto della complessità dell’incarico e del tempo presumibilmente necessario ad espletarlo, dell’impegno e delle competenze professionali richieste all’esperto e delle disponibilità finanziarie programmate. 2. Si applicano, in ogni caso, le norme o i CCNL che disciplinano nel dettaglio i compensi (ad esempio: tabelle allegate al CCNL in vigore, parametri e indicazioni contenute nel D.I. n. 326/95). 3. La liquidazione del compenso avviene dopo le necessarie verifiche sulla corretta esecuzione delle prestazioni". Pertanto, in merito all'entità dei compensi da attribuire agli esperti si osserva quanto segue: 1. i compensi con gli esperti esterni non sono determinati da regole fisse ma il limite massimo è stabilito dal regolamento della scuola ai sensi dell'art. 45, comma 2 del D.I. n. 129/2018; 2. i compensi per il personale interno e per quello in collaborazione plurima è quello delle tabelle allegate al CCNL 2007 e sono soggetti a tutte le ritenute; 3. solo per la formazione i compensi sono quelli stabiliti dal D.I. n. 326 del 1995; 4. per esperti impegnati nei PON e PNRR i relativi compensi sono quelli fissati dalla normativa specifica Ciò premesso si osserva che: - la scuola non è obbligata a prevedere rimborsi spese o a provvedere direttamente al pagamento dell'albergo potendo benissimo essere pattuito un compenso forfettario comprensivo anche delle spese; - se previsti, nella determinazione della misura dei rimborsi spese e delle relative modalità giustificative, trattandosi di contratti di prestazione d'opera, la scuola può liberamente decidere l’entità tali rimborsi (in osservanza dei criteri fissati dal C.d.I.) non essendo vincolata ad alcuna normativa né potendo applicarsi direttamente al caso di specie quella per le missioni o quella relativa all’autorizzazione al mezzo proprio. Stante che nell'incarico era stata inserita la previsione che: "al compenso si aggiunge l'eventuale rimborso delle spese sostenute per viaggio, vitto e alloggio (da attestare con documenti in originale), si ritiene che all’esperto spetti il suddetto rimborso.

    Data di pubblicazione: 11/11/2025

  • Gara noleggio bus: possibilità, a determinate condizioni, di usufruire della procedura di gara svolta da un'altra scuola...
  • Si chiede se è possibile usufruire degli esiti di una gara di noleggio bus per l’intero a.s. per uscite didattiche e viaggi di istruzione, come da art. 108 del Codice...

    Data di pubblicazione: 11/11/2025

  • Programmazione dell'open day di sabato con recupero ore a fine anno: verifica della conformità al calendario scolastico regionale...
  • Effettivamente, la circolare della regione Lazio relativa al calendario scolastico dell’anno 25/26 (nota 0166487 del 10/2/2025, in applicazione dell’allegato A del DGR 42 del 30/1/2025, in ordine all’adeguamento del calendario da parte delle scuole, fissa un termine perentorio per la eventuale comunicazione. Così infatti precisa: “Vista la DGR n.42 del 30 gennaio 2025 recante ad oggetto “Modifica dell’allegato alla DGR 288 del 31 maggio 2016 concernente le disposizioni relative al Calendario scolastico” la comunicazione delle variazioni al calendario, proposte dalle scuole, dovrà essere inoltrata, dal ricevimento della circolare e improrogabilmente entro e non oltre il 31 maggio 2025, alla Regione Lazio esclusivamente per via telematica dalla PEC dell’Istituto scolastico alla casella di posta elettronica certificata (PEC): programmazione.istruzione@pec.regione.lazio.it unitamente alla delibera del Consiglio d’Istituto con la variazione del calendario, indicando, inoltre, date e modalità di recupero di eventuali sospensioni. Tutte le comunicazioni presentate successivamente a tale data non saranno, per alcun motivo, prese in esame”. Tuttavia la modalità organizzativa di cui al quesito non è riconducibile alla tipologia dell’adattamento del calendario previsto dall’art. 5 del DPR 275/1999. Questo infatti consiste nella effettuazione di attività didattiche in giorni o ore non di lezione secondo il calendario scolastico regionale ( o l’orario dell’istituto )e sospensione, da parte della scuola stessa, delle lezioni in un uguale numero di giorni o, meglio, nel corrispondente monte orario, L’ipotesi presentata nel quesito non comporta infatti una variazione dei giorni di lezione (o del monte orario) previsti dal calendario regionale, articolandosi su una riduzione delle ore di lezione l’ultimo giorno di scuola a compensazione dalle prestazioni dei docenti e dalla presenza degli alunni a scuola per corrispondenti ore in una giornata di sabato per l’open day. Ovviamente la riduzione delle ore l’ultimo giorno di scuola potrà essere attuata solo per le classi e il personale docente effettivamente impegnati nel progetto dell’open day: il personale ATA potrà compensare con ore di riposo compensativo le ore eccedenti prestate nella settimana dell’open day.

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